Fin da bambino, purtroppo, sono stato abituato a sospettare di quelli che venivano identificati come “zingari”. “Stai lontano che quelli ti rubano i soldi” “Non farti prendere che poi ti rivendono all’estero!” Ecco, frasi di questo tipo rendevano solida e reale la mia paura verso quei ragazzetti dalla faccia sporca e i vestiti sgualciti che vedevamo aggirarsi in piccoli gruppi per la città. Io sono nato e cresciuto a Bolzano, non certo la città più ospitale d’Europa, forse la più pulita e ordinata, una città che comunque ha sempre nascosto sotto la sua patina di cortesia e civiltà una diffidenza e spesso un odio per tutto ciò che è diverso e incomprensibile. E agli occhi di bambini come noi, ben vestiti e anche un po’ viziati, gli “zingari” erano diversi e soprattutto incomprensibili: non capivamo i loro sorrisi, ci metteva a disagio la loro spigliatezza, ci infastidiva il loro vestire da pezzenti. Ero bambino, quindi forse scusabile, ma ora, trent’anni dopo, mi accorgo che la situazione è drasticamente peggiorata. Nessuno in Italia sembra più avere a cuore la sorte di queste persone e quasi nessuno sembra più interessarsi ai loro problemi, alle loro difficoltà di vivere in un paese che li ha dimenticati. Avrete notato che fino ad ora ho messo la parola “zingari” fra parentesi perché in realtà è un termine errato. Perché? Prima di tutto perché si tratta di un eteronimo. Cioè di un termine attribuito dall’esterno, imposto. Quindi comincerei col chiamare le persone con il loro nome.
La parola “zingaro” di per sé non è dispregiativa, come non lo sarebbe la parola “negro”. Negro, una volta, non era un dispregiativo. Ora lo è diventato. E se il termine “zingaro” non avesse un carattere negativo? Potrebbe pure essere corretto se nella trattazione ci si riferisse ad un insieme di gruppi molto eterogenei tra loro per lingua, cultura, valori, modi di vita. Se si vuole invece far riferimento a gruppi particolari, è appropriato utilizzare termini più specifici.
Se vogliamo riferirci ai gruppi presenti storicamente in Italia, dovremo parlare di rom e sinti. Ogni gruppo ha poi denominazioni specifiche. Ci sono i rom napulengre (di Napoli), i rom abruzzesi, i sinti piemontesi, lombardi, veneti, teich (tedeschi), marchigiani, emiliani. E poi ancora ci sono i roma harvati, detti anche istriani o sloveni, anch’essi cittadini italiani dal secondo dopoguerra. Rispetto a questi ultimi, infatti, va considerato che il rimescolamento geografico dei rom e sinti europei a causa delle due guerre mondiali è stato forte. Durante il nazifascismo, poi, sono stati deportati e sterminati, per non essere infine riconosciuti come vittime di persecuzione razziale neppure al processo di Norimberga.
Quindi vi accorgete da soli quanto è fuorviante e sbagliato chiamarli “zingari”. E invece quanto è sbagliato avere dei pregiudizi nei loro confronti? E poi siamo sicuri che tutti quelli che crediamo “zingari” lo siano veramente e viceversa??
Risponderò a queste domande con le parole di Lorenzo Monasta, un dottore in epidemiologia che da anni studia i rom e i sinti e che sull’argomento ha scritto diversi libri: “in realtà la stragrande maggioranza dei rom e sinti che vivono in Italia vogliono integrarsi. Ed è un dato di fatto. Se solo fossimo capaci di ascoltare, ci verrebbe detto da loro stessi.
Se inoltre fossimo capaci di vedere, ci accorgeremmo che quelli che noi etichettiamo come “zingari” sono solo una parte dei rom e sinti presenti in Italia. Molti rom e sinti sono assolutamente “integrati” e mai si sognerebbero di andare a dire in giro di essere “zingari”. Hanno una casa, un lavoro, le donne non portano le gonne lunghe. Nessuna di queste caratteristiche in realtà è fondamentale per essere rom o sinti.” Ma se chiedessimo all’italiano medio chi sono i rom e cosa ne pensa ci accorgeremmo che nel 79% dei casi risponderebbe che sono rumeni scappati dal loro paese e per vivere fanno i ladri e mendicano e quindi sono sporchi e pericolosi e per questo andrebbero cacciati. Una risposta chiara, semplice. E agghiacciante. E purtroppo ho sentito spesso anche in ambienti dove la tolleranza e la cultura dovrebbero essere di casa, vedi centri sociali oppure sedi di partiti di sinistra, parlare male degli “zingari”, dei rom. Fra l’altro tengo anche a precisare che il termine rom non centra nulla con il paese Romania. Rom è l’autonimo che la maggioranza della popolazione di lingua romanes/romani originaria dell’India del Nord utilizza per denominare il proprio gruppo. Si ritiene che questo termine sia strettamente correlato all’etnonimo Ḍom/Ḍomba, la cui prima apparizione nei testi sanscriti risale al “Sádhanamálá” (VII secolo d.C.), dove viene narrata l’esistenza di un re Ḍom, Heruka. Questa ipotesi si basa sull’analogia tra la popolazione dei ḍomba o ḍomari (in sanscrito ḍoma, ma anche Domaki, Dombo, Domra, Domaka, Dombar e varianti dalla stessa radice), ed i dom, un gruppo etnico dalle caratteristiche sedentarie e nomadiche del Medio Oriente. Tra le varie ipotesi, una delle più suggestive indicherebbe nella radice sanscrita Ḍom, onomatopeicamente connessa al suono del tamburo, che in sanscrito corrisponde alla parola Ḍamara e Ḍamaru, l’origine del termine.
E allora, alla fine, quale futuro potrà esserci per loro nel nostro paese? Verranno cancellati dalla storia come qualcuno in Europa propone in modo subdolo e meschino oppure saranno di nuovo costretti a tornare “nomadi” e vagare all’infinito per terre straniere? Come già accennato, nel secolo scorso i nazisti tentarono di sterminarli nei lager, quel momento si identifica in lingua romani col termine porajmos, devastazione. È un po’ l’equivalente della Shoah per gli ebrei. Si calcola che mezzo milione di nomadi di ogni paese ne siano stati vittima. Non sono in grado di sapere se e per quanto ancora i nomadi verranno bistrattati e emarginati dalla nostra società, penso solo che chi non è più voluto da nessuno e non trova pace e una casa debba sentirsi solo e a disagio e per questo meriti tutta la nostra attenzione, comprensione e aiuto. A tal proposito mi piace sempre ricordare le parole di Martin Niemoeller, un pastore morto pochi anni fa: Quando presero gli ebrei non dissi niente; non ero in effetti un ebreo/ Quando presero gli zingari non dissi niente: non ero in effetti uno zingaro/ Quando presero i comunisti non dissi niente, mica ero comunista/ Quando presero gli omosessuali non dissi niente, mica ero omosessuale/ Quando presero i socialisti non dissi nulla: non ero socialista/ Quando presero me, non c’era più nessuno che avrebbe potuto dire qualcosa.
FONTI:
LORENZO MONASTA in:
http://solleviamoci.wordpress.com/2008/06/02/i-pregiudizi-contro-gli-zingari-spiegati-al-mio-cane/
TULLIO DE MAURO in:
INTERNAZIONALE n°746 – “L’Italia e gli zingari” pag.19