In margine a un testo esplicito

: Intro :  

bsasQuanto segue (lo trovate in versione pdf – più agile nella lettura delle note – nel box azzurro nella colonna di destra) è maturato in due luoghi diversi, tra l’autunno tiepido – tiepidissimo – bolognese e l’estate australe porteña.
A Buenos Aires, una città difficile da raccontare perché è un racconto, frequento compulsivamente le librerie e i caffè letterari di Palermo Viejo, di Recoleta, del Microcentro, di Belgrano e del Barrio Norte.
Qui, narrativa italiana significa due cose: ricordi letterari di una generazione di immigrati con Italo Svevo sul comodino, che ancora oggi chiedono a chi arriva di portare racconti e romanzi pubblicati nella prima parte del XX secolo perché non hanno idea di cosa si scriva oggi; oppure, per i più curiosi, scaffale di letteratura straniera alla voce Italia in cui si trovano alcune cose dell’immarcescibile Calvino, dell’onnipresente Eco, di V.M. Manfredi, di Baricco e di Camilleri.
Mi rendo conto, stando da questa parte dell’oceano, che la prospettiva sul lavoro di Wu Ming 1 cambia. Cambia perché è il lavoro stesso a essere stato scritto con una finalità diversa rispetto a molto di quanto recepito finora: offrire una possibilità di guardare dall’esterno.
Al momento la riflessione sul NIE è stata di carattere quasi esclusivamente poetico, ad appannaggio di autori e scrittori. Un approccio che per quanto fenomenologicamente critico possa essere, risente di un coinvolgimento diretto inevitabile che dà adito a simpatie, invidie, convenienze, entusiasmi, partigianerie e rancori più o meno velati, più o meno sottaciuti o involontari.
La sensazione, osservando gli scaffali qui (ma anche a New York, Londra e Madrid) è che in Italia ci sia qualcosa in movimento in ambito letterario, qualcosa di diverso rispetto agli altri paesi, in cui o c’è un eterogeneità caotica o c’è una stagnazione attorno a certi temi e a certi classici inossidabili. Troppo liquida o troppo solida la narrativa all’estero, o per lo meno negli ultimi luoghi da cui sono passato, sembra non vibrare mai. Cosa che entro i confini patrii è percettibile sensibilmente. E se c’è un punto a favore di questo sciagurato paese, è proprio quello di aver avuto sempre un panorama letterario in fermento, aperto alle sperimentazioni, alle collaborazioni, alle novità e alle dissacrazioni, (salvo poi mandare tutto a puttane per misere questioni). Non credo però alla geniale creatività degli italiani – più in là, nello scritto, affronto anche la questione “epica internazionale” – ci sarebbe da intraprendere un lungo studio a cavallo tra l’antropologia, la storia e il marketing per individuare alcune delle ragioni che separano le librerie nostrane da quelle di Baires.
Lo scaffale dedicato alla letteratura italiana è posticcio, qui come a Manhattan, e a chi mai all’estero, si chiedesse cosa stia succedendo tra le pagine dei nostri libri, il NIE fornisce una chiave di lettura. Un passe-partout in grado di aprire una porta chiusa dall’interno, che poi, nella stanza, ci sia o meno il proverbiale cadavere è un altro discorso.

newitalianepicDel New Italian Epic, della Kali Yuga e del punk rock. Di come sia fenomenologicamente rilevante e di come non lo sia. 1

La meditazione intensa delle molteplici imperfezioni e contraddizioni della mente umana ha tanto agito su di me… ch’io sono pronto a rigettare ogni credenza… a non riguardare più nessun’opinione come più probabile o verosimile di un’altra. Dove sono? Che cosa sono io? Donde deriva la mia esistenza?… Quali esseri mi circondano? Su quali ho io influenza, quali hanno influenza su di me? Io mi confondo… e comincio a credermi… avvolto dalle tenebre più profonde e privato interamente dell’uso di ogni senso e di ogni facoltà. Per mia grande fortuna, se la ragione è incapace di dissipare queste nubi, a ciò pensa la natura, la quale mi cura e guarisce di questa tristezza e di questo delirio filosofico: la tensione della mente si allenta, mi distraggo, un’impressione vivace dei miei sensi manda in fuga tutte queste chimere. Ecco, io pranzo, gioco a tric-trac, faccio conversazione, mi diverto con gli amici.
David Hume, Trattato sulla natura umana (1737)


Per lanciare un manifesto bisogna volere: A, B, C, scagliare invettive contro 1, 2, 3, eccitarsi e aguzzare le ali per conquistare e diffonder grandi e piccole a, b, c, firmare, gridare, bestemmiare, imprimere alla propria prosa l’accento dell’ovvietà assoluta, irrefutabile, dimostrare il proprio non-plus-ultra e sostenere che la novità somiglia alla vita tanto quanto l’ultima apparizione di una cocotte dimostri l’essenza di Dio. Scrivo un manifesto e non voglio niente, eppure certe cose le dico, e sono per principio contro i manifesti, come del resto sono contro i principi (misurini per il valore morale di qualunque frase). Scrivo questo manifesto per provare che si possono fare contemporaneamente azioni contraddittorie, in un unico refrigerante respiro; sono contro l’azione, per la contraddizione continua e anche per l’affermazione, non sono né favorevole né contrario e non dò spiegazioni perché detesto il buon senso.
Tristan Tzara, Manifesto del Dadaismo (1918)

 

 

: In margine a un testo esplicito :

Ma che diavolo è ‘sto New Italian Epic? Le risposte, provenienti da varie fonti, sono poliedriche, a tratti fantasiose, a tratti noiose e inconcludenti. Si passa dalla fantozziana cagata pazzesca al più iperbolico elogio del coraggio saggistico di Wu Ming 1. Bisognerebbe fare un passo indietro, sempre che se ne abbia voglia. Si tratta solo di cambiare il che diavolo con il come. Come è il New Italian Epic? Già questo piccolo, ma ontologico, cambio di prospettiva consente di ragionare oliando il cervello invece di farlo stridere tra grumi e scanalature inutili. I generi sono asfittici, eppure alle volte costituiscono una pratica ludica che rende la critica piacevole.

wirePrendete un numero di “Blow Up”, di “Rumore”, di “Mucchio“, di “Wire” o di un’altra rivista musicale specializzata e lasciatevi accattivare dai vari folktronica, improacustica, intelligent dance music, darkindustrial, d-beat, crustpunk, abstract hip-hop, glitch, electronic body music, harsh, gabber, coldwave, garage, electroclash, folk apocalittico, death rock, black metal sinfonico, grime, death progressivo, free jazz, deephouse, delta blues e chi più ne ha più ne metta… Non sentite un piacevole brivido corrervi lungo la spina dorsale? No? Be’ allora significa che non siete dei fanatici o che semplicemente non avete ancora compreso a fondo il meccanismo. Mettiamo da parte l’essere o meno fanatici. Facciamo finta che lo siate già o che lo stiate per diventare. Vi siete immersi da poco nel fantastico mondo del suono, state scoprendo ogni giorno musicisti sempre più interessanti e vi state inoltrando nelle lande desolate del “lo conosco solo io” e “devo diffondere il verbo”. Bene, la band oscura che conoscete solo voi, viene recensita e viene infilata in un genere, facciamo uno di quelli sopra, il meccanismo è innescato. Il rapporto lettore – critico subisce una mutazione. Da quel punto in poi la terminologia vi diventa ogni volta più familiare, i richiami, i rimandi, le chiose, le iperboli della recensione vi appartengono sempre più, tanto che comincerete a parlare di glitch senza rendervene quasi conto. L’esperienza è gratificante, e lo è soprattutto quando ci si imbatte in qualcosa di nuovo, di inedito, eppure si ha la sensazione di essere di fronte a qualcosa di limpido. Il lettore dei magazine in questione ne diventa presto consapevole e se, poi, all’improvviso si trova davanti agli occhi il panegirico o la stroncatura di un nuovo, seminale, o inutile gruppo darklounge, le sinapsi faranno subito contatto per mettere assieme i pezzi e cercare di immaginare il genere e come possa suonare. Da lì in poi costruirà una serie di ipotesi su quali possano esserne gli esponenti, gli antenati, gli eretici, gli innovatori e gli iconoclasti e se la sua curiosità è stata solleticata a sufficienza dal critico, il lettore intraprenderà una personale quest per andare alla scoperta del fantastico mondo della darklounge. Lo scritto di Bui potrebbe allo stesso modo, trovare un primo “come” ancestrale, che preceda e abbracci l’intera riflessione sul New Italian Epic. È uno scritto dalle molte caratteristiche (di contenuto, di stile, di intenti ecc.), fra le quali non trascurerei quella che lo avvicina al meccanismo iniziatico di cui sopra: la lucidità. Non perché sia antropologicamente pedagogico (metto le mani avanti, anzi in alto, prima che i cecchini sparino) ma perché innesca un meccanismo di gioco tra autore e lettore come quello innescato dalle riviste musicali, e lo fa a partire proprio dall’oggetto della sua riflessione. New Italian Epic. Tre parole e le rotelle cominciano a girare, mettono assieme pezzi, catalogano forsennatamente i libri letti, provano a incastrarli nel genere, a immaginare se possono stare nei suoi scaffali, se sono della dimensione giusta, se le coste, perché no, sono in pendant e se qualcuno in verticale non entra si potrebbe provare in orizzontale, al limite davanti o sopra agli altri.

anobiiIl gruppo aperto sul social network dedicato ai libri, Anobii 2, è una prova empirica di quanto sopra, gli utenti hanno cominciato a inserire nella collezione, a torto o ragione (questo non importa, importa solo quale percezione abbia il lettore di come sia o meno il NIE) quello che secondo loro risponde alle caratteristiche o a una parte di esse del NIE e così ecco apparire, accanto a quelli segnalati nel saggio, alcuni degli scritti di Tullio Avoledo, Andrea Bajani, Gianni Biondillo, Marcello Fois, Pino Cacucci, Saverio Fattori, Angelo Petrella, Gianfranco Manfredi, Enrico Brizzi, Vanni Santoni, Alessandro Bertante, Matteo Collura, Alessandro Defilippi, Nino d’Attis, Massimo Rainer, Pietrangelo Buttafuoco, (il mio socio nel clan Kai Zen) Guglielmo Pispisa, e il saggio storico dall’allure narrativo di Carlo Costa e Lorenzo Teodonio Razza Partigiana. Io stesso, ho aperto una discussione in merito buttando nel calderone alcuni testi, lanciando il sasso e salutando con la mano. Mi sembra però che la tendenza sia quella di infilare libri di autori italiani contemporanei, vicini magari al noir o al romanzo storico, più che quella di individuare in essi la chiave di lettura NIE. La questione è: il memorandum è poco chiaro? La percezione di chi lo legge è diversa rispetto alle intenzioni di chi lo scrive? I frequentatori di Anobii non hanno voglia si sgobbare sul materiale di Bui e vanno un po’ a intuito o a simpatia? Un paio di titoli a caso “Per sempre giovane” di Biondillo, “L’elenco telefonico” di Atlantide di Avoledo o “Se consideri le colpe di Bajani”…3

La riflessione di WM1 è poetica e critica al contempo. È poetica perché è la riflessione interna di un artista sul proprio fare (per arte intendo Poiesi e Tekné e vi rimando allo noiosissima nota 4) ed è critica in quanto riflessione sul fare artistico da un punto di vista esterno. Insomma Bui allestisce due specchi che rimandano la stessa immagine della narrativa contemporanea, di una parte di essa, aggiungendo così un punto alla linea (che di punti è formata) dell’orizzonte. Allo stesso modo fa Tiziano Scarpa con il suo “pamphlet” sul romanzo d’eccellenza. Dico pamphlet, solo perché mi è parso che manchi della succitata lucidità. Si tratta di una caratteristica che in qualche modo Scarpa non sembra considerare più di tanto (perché mai coinvolgere il lettore e/o far sbiadire il confine che lo separa dall’autore?), quanto meno nel come fondante, la lucidità scarpiana è legata invece alla strizzata d’occhio verso il lettore. In fin dei conti si tratta comunque d’un coinvolgimento che fa scattare il meccanismo. Ma non è questo il punto. E allora qual è? Semplicemente Romanzo d’eccellenza e New Italian Epic sono interpretazioni della realtà entrambe vere, entrambe valide, entrambe parziali. Il come va allargato e spinto ancor più indietro. Com’è la narrativa italiana oggi? La linea dell’orizzonte è ampia, ampissima e tra i punti che la formano ci sono anche il NIE e il romanzo d’eccellenza. Non trovate forse straordinario che si riferiscano alla stessa cosa, cioè una parte della letteratura contemporanea estremamente caratterizzata, in modo opposto? Io sì. Ma questo solo perché mi crogiolo nel approccio neofenomenologico critico di cui mi vanto a ogni pie’ sospinto. Arrivati a questo punto, se ci siete arrivati, vi chiederete: e allora? E allora niente. Cioè, allora siamo solo all’inizio. Non ci sono risposte definitive, ma le uniche cose interessanti sono, al solito, le domande.

Proseguiamo con i come. È il turno di un come statistico. Il New Italian Epic, sia in sé secondo quanto scritto da Bui, sia come saggio, potrebbe essere considerato elitario 5 (in termini di contenuti e) in termini di cifre. Di cosa parla (come ne parla), a che libri si riferisce, a chi si rivolge, a quanti lettori, a quanti addetti ai lavori, a quanti scrittori? Decine di migliaia (mentre scrivo siamo attorno ai 30 mila) di download è una cifra impressionante, anche se mettiamo in conto quanti lo avranno scaricato senza leggerlo, leggendolo an passant o senza finirlo. Sono cifre impressionati dicevo ma sono cifre elitarie. Come lo sono le opere citate nello scritto. Fatta eccezione per alcuni libri, tutti gli altri vendono, chi più chi meno, un numero di copie che paragonato alle tirature di altre opere sono decisamente di diffusione aristocratica.

3msicSui comodini italiani è più probabile trovare “Tre metri sopra il cielo” che “Dies irae”. Il discorso sul NIE descrive una piccola parte del panorama letterario italiano, che ha poco a che fare con il lettore medio di questo paese e lo fa in modo elitario, con un saggio, che non solo riguarda le letture e le scritture di un élite ma che per sua natura usa un linguaggio elitario. La tendenza della narrativa italiana a essere epica è elitaria. Meno di un libro qualsiasi della Adelphi che non sia Simenon ma sicuramente molto più di quanto dovrebbe, potrebbe, vorrebbe, penserebbe di essere. La cosa suona quasi paradossale, vista la più o meno dichiarata discendenza, vicinanza e attenzione per la letteratura di genere, popolare addirittura feuillettonesca. Si tratta di una prospettiva naturalmente distorta, dovremmo aprire una parentesi enorme su cosa sia, e se esista davvero, la massa, ma comunque rimane una prospettiva da mettere in campo. Sul come: non è agilissimo seguire lo scritto nonostante le eleganze stilistiche di WM1 se non si ha dimestichezza con ciò che dice e tanto meno se non si conoscono i testi di cui parla.

Il come “destrutturante”. Il NIE è un genere? Il romanzo è un genere6. Il romanzo contemporaneo è, per mantenere il paragone con la musica, il pop. I vari filoni potrebbero adattarsi alla manfrina iniziale sul darklounge ecc.

never-mind-the-bollocksSpicco un salto nel vuoto e parlo di punk. La rivoluzione, l’implosione, l’esplosione ecc. ecc., eppure il punk è forse il più conservatore delle varie derive del rock ‘n’ roll che a sua volta altro non sarebbe che la radice quadrata del punk. Nel ‘77, rotti gli argini si stabiliscono nuovi canoni. Anno Domini 2008 i canoni del punk sono gli stessi. L’unica via di fuga da questa stagflazione sonica è stata, ed è tuttora, l’ibridazione. Il post del postpunk si è poi arenato a sua volta, il new della new wave idem ecc. ecc. Solo l’incrocio, le reciproche influenze, le contaminazioni hanno dato esiti sorprendenti. L’ibridazione non la darei per scontata o assimilata, tanto da saltarla a pie’ pari come fosse un discorso acquisito al limite della noia. Alla base delle contaminazioni, e come risultato di esse, c’è sempre stato e sempre ci sarà il pop. Se mettessimo sulla bilancia Sex Pistols e Beach Boys ci accorgeremmo con facilità che “Never Mind the Bollocks” è reazionario fino alla nausea, mentre “Pet Sounds” è gioiosamente rivoltoso. Si parte dal pop, lo si stravolge, ma a esso si torna, con un sano surplus tellurico, se si vogliono innescare davvero le nuove scoperte e il loro potenziale (lo stesso concetto potremmo applicare ai cosiddetti oggetti narrativi non identificati. Partono dal romanzo, evolvono, esplodono, implodono, si fanno reportage ecc. ecc., si fanno altro dal romanzo, ma al romanzo ritornano. Pompando nuova linfa. Sono davvero non identificabili? Questione di lana caprina.)

nonewyorkIl NIE, allora, quale funzione potrebbe ricoprire nella storia del rock ‘n’ roll? È il punk? È la new wave? È il crossover? Se dovesse ripercorrere la parabola del punk – e dei suoi postgemelli – e irrigidirsi dando il la a nuovi canoni e nuove regole, se dovesse assurgere allo status di genere, e se in questo modo aprisse le porte a una “seconda ondata” di narratori che scrivono partendo dall’idea di scrivere New Italian Epic, be’ forse assisteremmo a un proliferare di scritte sui muri NIE is not dead e come per il punk, sarebbe not dead perché undead, non perché alive and well. Il NIE quindi non dovrebbe rappresentare una riflessione a priori, ma semmai a posteriori, tuttalpiù una riflessione a interiori. Non un decalogo, non un filone, non un sotto-pseudo-post-pre genere ma una bussola critica in grado di puntare verso un fenomeno, quello di certe tendenze della narrativa contemporanea, e non di diventare fenomeno. Una riflessione, critica, poetica, estetica ma sempre una riflessione. Se diventasse prassi, potrebbe fare la fine del punk e tra un paio di anni ci troveremmo, non solo delle vecchie cariatidi come gli Stiff Little Fingers ancora in giro a suonare fino allo sfinimento gli stessi pezzi, ma pure le vecchie cariatidi della seconda ora come gli Exploited, le giovani vecchie cariatidi dell’hardcore e i (più o meno) giovani Green Day e Blink 182 di turno, fino alle ultimissime generazioni di cloni dei cloni dei cloni dei cloni. Strofa, strofa, ponte (se va bene), strofa, ritornello, strofa… Piatti insipidi e preriscaldati a base di carne secca di zombie.

Ibridazione, quintessenza del pop. La nebulosa del NIE accosta stili, generi, sensibilità, scrittori diversi. Thriller, reportage, noir, giallo, romanzo storico, romanzo sociale ecc. ecc. Poche volte fantasy (a cui avvicino, arditamente, anche fantascienza, horror e fantastico). Il confine con il New Weird 7 è talmente labile che le due cose quasi si sovrappongono. Potrebbero essere i casi che portano fuori pista, che lanciano ponti e sguardi verso orizzonti non contemplati che sembrano distanti e inconciliabili… New Italian Epic e fantasy! (ci torno più in là) I nomi nella nebulosa wuminghiana, a caldo, sono, al momento quattro- e qui mi bullo: noialtri Kai Zen, Valerio Evangelisti e Alan D. Altieri e Wu Ming 5 in solitaria.8

A mio modesto parere il NIE, dovrebbe rimanere liquido, vago nei suoi confini, in grado di muoversi come una massa di argento vivo sul marmo. Adattarsi, scivolare sulle superfici mantenendo comunque il suo scintillio, quindi ben vengano le versioni 2.0, 2.1, 3.0 fino a n.n. Chi si ferma è perduto diceva quel tale…

camusIl come epico. L’epica è la storia dalla parte giusta delle Storia per parafrasare il disclaimer di Manituana. Manituana potrebbe correre in parallelo all’Iliade se l’Iliade fosse raccontata dalla parte di Troia 9 e se l’Odissea fosse l’Ettorea: la narrazione delle gesta di un Ettore sopravvissuto alla morte e in viaggio nel cuore di tenebra della sconfitta. Epic in New Italian Epic allora avrebbe a che fare, non con l’epica in sé – o in senso classico – ma con un afflato epico della narrazione e/o con un’evoluzione del modo d’intendere l’epos filtrato attraverso la sacra trimurti della modernità, invero ormai piuttosto acciaccata, Nietzsche, Freud e Marx, in cui il ruolo fondamentale è quello ricoperto dall’hybris presocratica 10 e quindi mutuato dalla tragedia. Lo stesso valore etico, in senso morale, non di costume, che avrebbe il NIE deriva, a mio parere, dall’assenza di equilibrio dell’universo. La sacra trimurti deve fare i conti con l’oste. E l’oste potrebbe essere l’esistenzialismo di Albert Camus. Se così fosse, si potrebbe tracciare un parallelo tra la rivolta dell’individuo – mi rivolto dunque siamo – (individuale ma universale ed ecco il valore epico simbolico del solipsismo), e la lotta, sempre e comunque, solitaria, dell’eroe. Con Camus poi bisognerebbe fare i conti anche sul come esistenziale. Che senso ha il lavoro sul NIE? Nessuno, come tutto nella vita. È uno spreco di energia, fisica, mentale e finanche elettrica, degna di quella di Sisifo. E allora? Be’ proprio Camus considera Sisifo felice perché “anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo” 11. Il termine Epico allora potrebbe trovare, nella contemporaneità, il suo focus nell’hybris, nell’assurdo e nel fallimento con buona pace della santissima trinità, che ci andò vicino, ma forse con troppa convinzione e senza alcun dubbio. Dubbio. L’elemento fondamentale, talmente fondamentale da indurci a dubitare, in una sorta di nastro di Moebius, del dubbio stesso. Ma da qui in poi, il terreno si fa perniciosamente scivoloso, anzi da qui in poi non c’è più nessun terreno – forse. Meglio fermarsi e riservarsi un paio di belle falcate per il salto nel nulla, per un’altra volta. Hop, hop, hop, ecco che vado a ritroso. L’eroe solitario, epico, sì, ma non in senso epico. L’eroe solitario potrebbe essere l’uomo in rivolta – non in rivoluzione – scettico verso il destino e verso la conclusione della sua quest. Anzi addirittura scettico nei confronti stessi dell’esistenza di un quest. Non lo è forse il commissario Scialoja in Romanzo Criminale? o per non andare troppo lontano e per lavare i panni sporchi in pubblico, non lo è Shanfeng ne La Strategia dell’Ariete? E come loro moltissime delle ombre che si muovono tra le pagine della nebulosa individuata da Bui. Pseudo-kantianamente sono figure che non portano la legge morale in loro e il cielo stellato sopra di loro, ma bensì il cielo stellato in loro e la legge morale, non sopra, ma semmai fuori da loro. Se non è epico questo… Questo avviene ovviamente anche oltre i confini del NIE, anche perché come mi ha detto Valerio Evangelisti in una recente chiacchierata intervista telematica: “Wu Ming 1 […] d’altra parte non intendeva fondare una scuola, bensì individuare certe costanti in una parte della narrativa italiana recente.” Certe costanti. Non si tratta di valori assoluti. A quelle costanti se ne possono aggiungere altre e altrettante “incostanti”. L’argento vivo, la nebulosa quindi. Una nebbia fatta di singole stelle, che ruota, si espande e si ritira tra le spire della galassia narrativa, laddove ci sono anche stelle cadenti, asteroidi e meteoriti di passaggio con o senza scia, in attraversamento siderale. Interessante… Il come transmediale. Il multimediale, come la contaminazione tra filoni narrativi, scrive WM1 a pagina 23 della versione 2.0. del saggio è un pleonasmo. Concettualmente non fa una piega. Ma anche in questo caso non darei il multimediale, come il “crossover” così per scontato. E questa volta per una mera questione fisiologica. Tra le opere e gli autori (e qui, sono i secondi a contare più delle prime) della nebulosa NIE, già parlare di multimediale è azzardato.

culturaconvergenteNon mi sembra, per esempio, che un booktrailer, per quei pochi che lo hanno fatto, o per quei pochi in cui si è attivata la comunità di fan per farlo, sia una questione transmediale, lo stesso vale per un sito o un blog dedicato a un libro ecc. Per molti di loro il multimediale è già qualcosa di astruso, figuriamoci il transmediale. Se Romanzo Criminale si trasforma in film e poi in serie, se Carlo Lucarelli porta in TV i misteri d’Italia e via dicendo, non siamo di fronte alla transmedialità di cui parla Henry Jenkins in Cultura convergente. I casi di opere transmediali sono ancora pochi, e gli autori che hanno un approccio transmediale, si contano sulle dita di una mano monca. Simone Sarasso, Wu Ming e, mi ribullo, Kai Zen, in parte, forse, Evangelisti e Genna. Senza contare che qui, e ci vorrebbe una parentesi molto lunga, dovrebbe entrare in gioco la questione copyleft. L’opera transmediale per essere completamente tale, ha bisogno delle licenze Creative Commons. Ma questa è un’altra storia. Il succo della faccenda è che la transmedialità implica una volontà, di scrittore e di opera (in modo che si metta in moto un meccanismo collettivo che riguarda lettori, fruitori, fan, produttori di contenuti…), di transmedialità. Una volontà, consapevolezza, necessità, capacità che non tutti gli attori del copione hanno. Insomma, per molti versi siamo ancora, se va bene, dalle parti del multimediale. Forse, semplicemente non c’è ancora la giusta dimestichezza con le tecnologie o è una questione di mentalità, oppure alcuni autori sono un po’ vecchiotti, sta di fatto che le potenzialità della narrativa di “proseguire in modi ulteriori” sono ancora del tutto inespresse per la maggior parte dei casi. Siamo in alto mare. 12

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: Meridiani e paralleli. Abbozzi in attesa di qualche anima pia che ne voglia formulare un’extended version / “I”, l’accrescimento :

corto+ Il grande assente. Una tendenza simile a quella proposta da WM1 ha già calcato le scene narrative italiane. Quello che per molto tempo, e in qualche roccaforte ancora è considerato, come un fratello minore o addirittura come un lontano cugino un po’ suonato della letteratura: il fumetto ha solcato gli oceani del tempo evidentemente e con decenni di anticipo ha raccontato storie che oggi Bui potrebbe tranquillamente ascrivere al NIE. Tra i molti possibili esempi ne citerei almeno tre. Hugo Pratt, la coppia Berardi – Milazzo e Gianfranco Manfredi (anche come narratore tout court con Magia Rossa mi sembra si possa considerare della partita). Corto Maltese, Wheeling, Gli Scorpioni del deserto, i vari “uomini”, soprattutto L’Uomo della Somalia sul versante Pratt, Ken Parker per il dinamico duo e Magico Vento (e oggi Volto Nascosto) non hanno forse tutte le carte in regola per essere veri e propri casi ascrivibili a un eventuale nebulosa ante litteram?

giochi-sacri++ L’intervento sul NIE nasce (anche) dall’esigenza di raccontare il panorama narrativo italiano all’estero. Va da sé che il terreno fertile per la nascita di un’eventualità come quella del NIE non è solo italiana. La Kali Yuga, calma, calma, più sotto ci arrivo, è ovunque. Si potrebbe per traslato, ludicamente, individuare un nuovo epico internazionale partendo dai presupposti del memorandum. Mi viene in mente certa letteratura postcoloniale, molti autori americani, europei, sudamericani… Per buttare giusto due cose nel mucchio tra le opere più recenti: “Giochi Sacri” di Vikram Chandra, il “Ciclo barocco” – Argento Vivo, Confusione, Il Sistema Mondo – di Neal Stephenson, “Il Quinto Giorno” di Frank Schätzing (e non storcete il naso), “In caduta libera come in un sogno” di Leif Persson o l’inclassificabile, se non come new weird, “Perdido Street Station” di China Miéville. Andando a ritroso invece, in un’altra nebulosa ante litteram: Operazione Massacro di Rodolfo Walsh e Ricordo della Morte di Miguel Bonasso… e qui, come per la Kali Yuga, rimando al discorso sulla periferia del globo poco più avanti… Andrebbe tirato in ballo anche qui il fumetto: il lavoro di Osterheld, “L’Eternauta” e “Mort Cinder”, Alan Moore con “Watchmen” e “V for Vendetta”, Frank Miller con il suo “Bat Man”, il suo “Devil”, la sua “Elektra” 13 e naturalmente “300”.

il signore delgi anelli+++ Se c’è  un filone che dal crollo delle Due Torri 14, ha ritrovato vitalità e nuova linfa vitale, è il fantasy, 15 quando non ripete i canoni dettati dal buon vecchio caro Tolkien offrendo ai lettori pochi e rari spunti interessanti, il più vituperato (assieme al rosa) dei “generi della letteratura di genere” spazza via tutti i concorrenti, e non solo in termini di numeri e di vendite. In questo, senza scomodare Harry Potter, basta andare a curiosare tra gli indici di vendita delle Cronache del mondo emerso della Troisi, che però rientra nel fantasy di ispirazione tolkeniana e dei suoi innumerevoli derivati 16. Il fantasy si richiama all’epica classica e anzi trova la sua genesi proprio nel mito, nelle saghe 17, nell’epos e contemporaneamente è narrativa popolare, creatrice di mondi e cosmogonie. È forse il filone che da più tempo, e in modo più efficace, ha fatto della transmedialità una sua caratteristica propria attraverso tutte le sue derive espressive: le fan fiction e la fan art, i giochi di ruolo, i videogame, le pellicole, le serie tv, i fumetti, il cosplay, le parodie perché no, i MMORPG 18, le illustrazioni, la cartografia, i saggi, i blog, i forum, i software, i siti, le miniature, le action figure, i giochi da tavolo, ecc. ecc. attraverso le quali si sviluppano le storie (lo stesso si potrebbe dire di certa fantascienza, strettamente imparentata con il fantasy come quella di Dune o di Star Wars). In Italia, non c’è solo la trilogia troisiana, con i suoi sequel e prequel vari, derivati dal fantasy moderno di matrice anglosassone 19 naturalmente. Un caso emblematico, punta dell’Iceberg, è Pan di Francesco Dimitri 20 oppure la trilogia del Wunderkind di D’Andrea G.L. 21 Un’ulteriore parentesi andrebbe aperta sul connettivismo. 22

panDon’t keep it cool-and-dry, sguardo obliquo, complessità narrativa, attitudine popular, storie alternative, ucronie potenziali, sovversione “nascosta” di linguaggio e stile, oggetti narrativi non identificati, comunità e transmedialità… Quante di queste caratteristiche sono di certo fantasy à la Pan? Che sia new italian fantasy!? La questione etica si fa, oserei dire, intrigante, perché il fantasy ha sempre prestato il fianco a critiche facilone 23 che lo etichettavano, e lo etichettano 24, come mera rappresentazione della lotta mazdeista tra bene e male, messa in scena di un atteggiamento manicheo. Bianco e nero. Evidentemente è più facile liquidare in questo modo il Signore degli Anelli che leggerlo. Metteteci pure una certe dose di antipatia politica tutta italiana, una sequela infinita di scribacchini imitatori di bassa lega e la frittata è fatta. L’unico atteggiamento manicheo condivisibile è quello che divide, al di là di generi, filoni e del memorandum wuminghiano stesso, libri buoni da libri di merda.

bela++++ Oggetto narrativo è una definizione suggestiva anzichenò, ma un testo è un oggetto narrativo di per sé, o lo diventa? Una storia si trasfigura in oggetto narrativo quando incontra la transmedialità scavalcando gli argini del libro, tanto da non avere neppure più importanza il formato attraverso cui viene trasmessa lasciando spazio all’intero complesso di narrazioni che la narra all’infinito? Il fantasy si presta da sempre a sfornare oggetti narrativi allora (e quasi sempre senza impianto teorico)… Gli oggetti narrativi non identificati cosa sono quindi? A parte l’obiezione più scanzonata sul fatto che definendo oggetto narrativo non identificato qualcosa lo si identifica proprio come tale, è davvero non identificabile un libro come Gomorra per esempio? Non si potrebbe dire invece che il lavoro di Saviano sia identificabilissimo? Non è tutto sommato semplice docufiction? Nulla di inaudito o di sconvolgente quindi… E le altre opere citate dal memorandum? Non sono tutti romanzi? Alcuni, e torniamo alla scontata ibridazione, esulano e straripano nel reportage o in altre forme narrative certo, ma non sono in fondo romanzi? Sono molto meno identificabili, per rimanere in Italia, oggetti narrativi come “Praga Magica” di Angelo Maria Ripellino o “Bela Lugosi” di Edgardo Franzosini.

42+++++ Carl Gustav Jung chiese all’I-Ching cosa fosse. Lanciò le monete e l’oracolo rispose. La questione NIE, forse, fa già brillare gli occhi, anzi distorce la pupilla fino a strizzarla in una “€”, ad alcuni editori, pronti ai nuovi Cannibali o all’avvento del sostituto del noir. Da qui all’ammorbarci con le edizioni di “Repubblica” o del “Corriere” dei classici del NIE, il passo potrebbe non essere poi così lungo. 25 Sarebbe curioso e forse illuminante costruire un’antologia (annotata perché no) “dal basso”. Magari in rete, magari con brani di romanzi editi o con racconti scritti ad hoc, con estratti che mettano in scena le caratteristiche del NIE attraverso la narrazione ecc. Un testo che possa in qualche modo affiancare le discussioni in progress. Si parla di NIE ma ancora, e rimando al come statistico e alla questione dell’élite, non è chiarissimo come sia il NIE. Affiancare alla teoria la pratica aiuterebbe forse a fare chiarezza con buona pace degli editori che vorrebbero allungare le mani. L’antologia potrebbe fare quello che ha fatto Jung 26, chiedere al NIE come sia. 27

++++++ Rimanendo dalle parti degli endocetti e dell’inconscio collettivo, sarebbe plausibile pensare che, in questo particolare momento spaziotemporale, sia stia scrivendo un unico grande romanzo? 28

++++++ Sul postmoderno ha già scritto il mio socio Guglielmo Pispisa 29  

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: Kali Yuga :

Il deserto cresce. Guai a colui che favorisce i deserti!
Friedrich Nietzsche

Il deserto cresce. Guai a colui che non favorisce i deserti!

 

Il come “apocalittico”. La Kali Yuga. 30 La periferia 31 del globo. 32

melaPartiamo canonicamente dall’inizio. Da Adamo quindi. La scrittura come ogni altra arte è azione ed è l’azione che ha messo in moto il tempo. Quello di Adamo 33 fu un gesto scellerato e creativo che ci ha condannati a passare dall’eternità alla storia e a rincorrere di continuo l’eternità tramite l’arte. In particolare, per noi contemporanei la sensazione è quella di essere giunti agli sgoccioli del tempo. Una sensazione tipica di ogni epoca. Soprattutto nell’era della Kali Yuga 34 . La creatività è allora una forma di necessità, una ricerca compulsiva di eternità. Come notava il mio inevitabile punto di riferimento Emil Cioran stiamo per smettere di cadere nel tempo e ci apprestiamo a cadere dal tempo. Questo è valido per ogni epoca, ma la differenza sostanziale si trova nell’affermarsi del superuomo. Prima l’uomo aspettava e cantava la catastrofe (divina, cosmica, naturale) ora è pronto a procurarsela da solo. Ora siamo in presenza del troglodita dotato di armi atomiche. E questo è forse l’unico istante davvero trascorso da quando abbiamo fatto capolino sulla terra. La fine guadagna terreno e se i flagelli naturali non dovessero presentarsi rapidamente allo scopo di fermare lo sviluppo dell’uomo, quelli “artificiali” diventerebbero sicuramente seducenti. Non si può fare a meno nella vita di tutti i giorni di rendersi conto di vivere in quello che lo stesso Cioran, ossessionato dal tempo, non esita a definire un «clima da epilogo.» Non esiste gesto quotidiano, volto o rumore, parola o discorso che non ci faccia provare la sensazione di un termine incombente e non importa se questo dovesse accadere entro un secolo o se ci vorranno millenni. Ognuno di noi vive una sorta di piccola e personale apocalisse prossima, quella che potremmo definire Ipocalisse 35 . In questo “arrancare” tra le giornate prima della fine, ogni incidente, anche il più banale viene esaltato e soltanto chi rifiuta l’inevitabile sembra non rendersene conto. Quando la storia segue un itinerario ben preciso, ogni evento appare come un capriccio del divenire, ma non appena essa esce dai binari, il più piccolo fatto assurge allo status di segno. Ogni accadimento diventa un prodromo, un avviso della conclusione. Nelle epoche indifferenti, quasi nell’assoluto, il presente che si ripete in forma di accadimento rinchiude in sé un significato particolare e pare non svolgersi nel tempo, viceversa nei periodi in cui il divenire coincide con una sorta di rinnovamento tragico, non vi è nulla che non richiami una movenza verso l’inaudito. Questo è il caso della nostra epoca, la Kali Yuga. Guido Ceronetti ne fa un accenno in Pensieri del tè, a p. 48: «Il 18 febbraio 3012 avanti Cristo sarebbe cominciata questa età della Kali Yuga, destinata a durare 432 mila anni. Era un venerdì.» Insomma abbiamo ancora più o meno 430.996 anni di oscurità davanti a noi…

La scrittura, in quanto praxis e tekné deriva da un’azione. Abbiamo visto che l’azione ha fatto precipitare l’uomo nel tempo. La scrittura però è anche poiesi, e suo fine è quello di aspirare al contrario del tempo, all’eternità. Non è un caso quindi che XIX e XX secolo, epoche in cui l’apocalisse sembrava e sembra sempre più prossima, si sia non solo affermato il romanzo, ma abbia subito continue mutazioni genetiche senza risentirne come ne hanno risentito altri generi letterari. La scrittura è il mezzo che sembra prestarsi meglio a raccontare e a farsi ispirare da quest’epoca in cui il tempo è giunto agli sgoccioli. E il NIE, sembra trovare in quel suo Italian, la sua personale fonte di estrema creatività. L’Italia da “fine di mondo”, l’Italia agli sgoccioli con la casta, la questua, gli zombie che assaltano insanguinati il Trony – non ci sono paragoni – per un cellulare. I cui nervi scoperti non sono mai stati curati e anzi hanno partorito il presente. Sessantottini, settantasettini, fascisti, comunisti, squadristi, piazzisti, costituenti, pidduisti. Squallidi, miserabili del grande oriente di ‘sta minchia. Tutti hanno costruito, mattone su mattone, il presente. Sono i padri e i padri dei nostri padri. Tutto ciò non ha nulla a che fare con il male 36 ma solo e semplicemente con la pochezza umana e con l’ideologia. La stessa che in letteratura tende a dimostrare e non a mostrare, saltando a pie’ pari un concetto semplice quanto deflagrante: la realtà è quella che è, dire quello che dovrebbe essere è fare, appunto, dell’ideologia. 37

Con gli schermi accesi che proiettano magia nera allo stato etereo. Oggi, ora, in questo momento, la narrativa sguazza nello scavare dopo aver toccato il fondo. E con sorpresa scopre le pagliuzze d’oro tra il fango. Sembra che solo i momenti di maggior decadenza possano fornire materiale su cui affilare la creatività. Ed ecco perché, all’improvviso WM1 può individuare, e classificare, un fenomeno che accomuna scritti lontani e differenti. Tutti nascono, crescono, respirano l’età del ferro più del solito. Eppure stiamo vivendo un eterno momento simile. Cosa ha fermato o distratto la macchina narrativa, per un certo periodo, dal cantare la Kali Yuga allora? Il luogo. Forse. La sua centralità o la sua perifericità.

cioranSempre Cioran nel ritratto di Borges 38 scrive a proposito della periferia del globo, quale spazio culturale minore, anonimo, simile ai Balcani della sua giovinezza che esso non ha nulla da offrire e questo costituisce il dramma e il vantaggio di esserci nati: tutto ciò che è straniero ed estraneo si illumina di una luce diversa che conferisce una sete quasi malsana di peregrinazione attraverso le filosofie, le letterature, i suoni di tutto il mondo. Ai margini, come nell’Europa dell’est e in Sudamerica, il livello di curiosità e informazione è molto più elevato «[…] È il nulla di questi luoghi marginali, a rendere gli scrittori, i filosofi, i pensatori e le persone più aperte e vive degli altri, immobili, imprigionati dalle loro convinzioni immobili e incapaci di sfuggire alla «loro prestigiosa sclerosi.» 39 Allora se Italian ha senso in NIE, e se è possibile individuare una simile tendenza della narrativa in questo paese, allora significa che, dopo la sbornia del boom economico, dell’entrata nel G7 e nel G8 e del made in Italy, siamo di nuovo consapevoli, o per lo meno qualcuno lo è, di essere alla periferia desolata e desolante del globo. Gli altri moriranno davanti alla TV, pieni di merda fino alla cintola, con migliaia di canali tra cui scegliere e un cazzo da guardare. Non sarà la narrativa a salvarli. Non è il suo compito. Al limite può raccontarli. È pur (quasi) sempre buon materiale su cui lavorare di penna. Wu Ming sistema egregiamente intuizioni che erano nell’aria da tempo, un po’ come le scoperte scientifiche che avvengono in contemporanea in diverse parti del mondo, e che forse avevano bisogno di tirare le fila. Le sistema secondo il suo modus operandi e secondo la sua interpretazione fenomenica. In questo presumo che critiche, postille, chiose, destrutturazioni, lavori di fino e smantellamenti possano essere fondamentali, tanto alla questione New Italian Epic – che sia fondata oppure no – quanto alla piacevole sensazione di dibattere in profondità, con leggerezza, lontani da salotti, tromboni e parrucconi che ancora si dimenano e si contorcono tronfi in questioni putride. 40 Del resto se i critici facessero il loro lavoro ai narratori potrebbe bastare la poetica. Nonostante tutto, non sono riuscito per fortuna, a dissipare i dubbi che nutrivo nei confronti del New Italian Epic e i come restano sospesi a mezz’aria pronti a farsi sostituire, a farsi affiancare da molti altri come. Sono le domande, non le risposte, banalmente, a essere importanti. La selva è ancora oscura. È una selva di selve ma per mia grande fortuna, se la ragione è incapace di dissipare queste nubi, a ciò pensa la natura, la quale mi cura e guarisce di questa tristezza e di questo delirio filosofico: la tensione della mente si allenta, mi distraggo, un’impressione vivace dei miei sensi manda in fuga tutte queste chimere. Ecco, io pranzo, gioco a tric-trac, faccio conversazione, mi diverto con gli amici.

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: Appendice :


Cantare la Kaly Yuga / No Italian Epic

A Ferdinand mancava quel che farebbe un uomo più grande della sua povera vita, l’amore per la vita degli altri.

F.L. Céline

[…] e non mi convince Pasolini quando bacchetta gli intellettuali di sinistra, che in nome di Céline, si sono messi a distinguere tra le scelte ideologiche di uno scrittore e il suo valore letterario. Questa «dissociazione» a Pasolini è indigesta. Bah, non credo che le scomuniche politiche abbiano importanza in letteratura.

Alessandro Piperno

 

Simone Sarasso 41 affronta di petto la questione dell’apocalisse. Uno dei nervi scoperti, secondo lui, sta nel dopo:

«In sintesi: quale futuro dopo l’apocalisse? Più nel dettaglio: molti dei libri citati nel memorandum (quasi tutti, a dire il vero) raccontano la fine. La fine di un’epoca, d’un mondo, nel più ristretto dei casi dell’universo dei protagonisti. Fine quasi mai assoluta ma, come detto, annichilente. Data per scontata la fine: – Coloro che rimangono, sono semplici sopravvissuti o padri pellegrini? – Dopo aver raccontato l’annichilimento in tutte le salse, questa nuova generazione di scrittori sarà in grado (e, soprattutto, avrà voglia e necessità) di produrre una mitologia fondativa? A quando un’Eneide, dopo tante splendide Iliadi?» 42

eneideL’Eneide. Ridotto ai minimi termini, narrare significa riprodurre in eterno certi schemi, l’originalità dello scrittore sta nella modalità con cui li riproduce. Certo bisogna tenere conto di molte varianti socioculturali e bla bla bla, ma la mitopoietica, in soldoni, è legata agli endocetti, agli archetipi. Da Jung a Campbell, attraversando come un alfiere la scacchiera della narratologia da Todorov ai formalisti russi, si può identificare un certo numero di archetipi che corrispondono ad altrettante storie. Prendiamo i tre casi più semplici che si riferiscono all’endocetto del viaggio, quelli che si incontrano più spesso, puri o amalgamati, in lettura, insomma: il viaggio di formazione (in soldoni quello di molte fiabe à la Capuccetto Rosso), il viaggio dell’eroe, e il viaggio di fondazione – esodo. Se l’Odissea tanto per capirci rientra nel archetipo del viaggio dell’eroe, l’Eneide rientra in quello di fondazione. Ricordo che quando frequentavo le scuole medie c’era l’ora di epica. Il libro era un mattone inverosimile, che conduceva i giovani pupilli a un’inevitabile ernia a furia di trasportarlo nello zaino. Dal mito alla storia – questo il titolo del volume – racchiudeva in sé Iliade, Odissea, Eneide, Orlando Furioso, se non ricordo male La Gerusalemme Liberata e qualche stralcio da saghe nordiche varie. Nel corso di studi, si riuscivano ad affrontare solo le prime tre. Le altre, come la storia del XX secolo alle superiori, venivano elegantemente glissate. Epica era una delle poche materie che mi affascinava davvero. L’Iliade e l’Odissea erano esaltanti, stuzzicavano la fantasia e coinvolgevano la maggior parte della classe. Quando capitava di dover scrivere un tema, inventandosi un episodio dell’una o dell’altra (soprattutto dell’altra) sentivo quella scossa elettrica nelle mani e nella testa che ho provato solo anni dopo, quando scelleratamente ho deciso di darmi alla narrativa. Finita l’Odissea, in aula si mormorava già in attesa dell’Eneide, alla stregua di come si mormorava in attesa del Ritorno dello Jedi. Dopo poche lezioni ci rendemmo conto che L’Eneide, non solo non collimava con le aspettative, ma era di una noia brutale. Ben presto persi il filo delle gesta di Enea e del suo approdo sulle coste della Libia ecc. ecc. e i miei voti, a dire il vero sempre sulla soglia della sopravvivenza, vacillarono anche in epica. Sono la Kali Yuga, l’apocalisse e l’ipocalisse a fornire il combustile necessario alla narrazione. È il male, quella finzione che chiamiamo male, a rendere le storie degne di essere raccontate, ma soprattutto degne di essere lette. La quintessenza dell’affabulazione, l’ontologia dell’avvincente, la materia prima dell’avventura. L’alfa e l’omega di questa cosa che secondo alcuni è NIE, secondo altri è intrattenimento salgariano 43 (se vogliamo addizionato di spessore filosofico – sociale – psicologico) e secondo Tiziano Scarpa è romanzo d’eccellenza. Immaginare un’evoluzione, una rottura dell’incantesimo maligno, una Satya Yuga 44 e metterla in scena ha due grandi problemi.

1) rischia, come l’Eneide e gli altri testi chi trovano il loro humus nell’archetipo della fondazione e all’esodo, di essere maestosamente deboli, privi di spinta creativa e di dinamiche in grado di sezionare l’animo umano. È come se l’uomo esteticamente educato – per dirla con Schiller 45, l’uomo nuovo – per dirla con Marx e il superuomo – per dirla con Nietszche, prendesse il posto della cara vecchia scimmia senza peli, il troglodita armato di bomba atomica, alimentando la noia da perfezione 46 .

bsgSi tratta di materiale da maneggiare con cura. Un buon esempio di come farlo, arriva da una serie tv fantascientifica (pur sempre di narrazione si tratta): Battlestar Galactica 47. Il serial canadese trae spunto dalla storia delle Dodici Tribù di Israele (tribù perduta inclusa)48, dalla Diaspora e dall’Esodo verso la terra promessa. Il comandante Adama è una sorta di Mosé in effetti, con tanto di Mar Rosso spaziale da dividere e attraversare.

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Galactica però è circolare, parte da un’apocalisse – la distruzione della razza umana nei dodici pianeti, colonie di Kobol, da parte dei Cylon 49 – e arriva a un’apocalisse. La terra promessa, in questo caso La Terra, all’arrivo dei superstiti è completamente devastata. La fondazione, dopo l’esodo, non è un sogno, un’utopia da realizzare, ma semplicemente un incubo. In questo il sorriso amaro, folle e disincantato di Chief Tyrol, che ha da poco scoperto di essere un Cylon, un robot (un golem per rimanere in tema di ebraismo), di fronte alle rovine è emblematico (la sua personale ipocalisse).

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2) Come la letteratura utopica, rischia poi di essere pedagogica, indicando la via da percorrere per la salvezza morale dell’uomo. Si (s)cadrebbe così nel peccato mortale dell’ideologia. Cantare la Kali Yuga è narrativamente più efficace e forse lo si potrebbe fare con L’Eneide, come in Battlestar Galactica, ma non sarebbe allora come mascherare l’epopea virgiliana da Iliade / Odissea o viceversa? Non è forse più interessante occuparsi di personaggi come il celiniano Ferdinand? Uomini più piccoli della loro povera vita, senza amore per gli altri, senza intenzioni fondative, utopiche, senza tensione al miglioramento, o meglio con questa tensione ma accompagnata dalla consapevolezza del fallimento. E qui torna, inevitabile, l’eroe solipsiticamente epico, l’uomo in rivolta. Se riuscissimo a trovare un Enea in rivolta nei confronti del suo destino di fondatore, allora potremmo cantare anche la Satya Yuga. Il fallimento (consapevole) sarebbe quindi la più epica delle narrazioni possibili. L’Età dell’oro, se dovesse essere raccontata, dovrebbe esserlo solo e necessariamente in chiave di sogno infranto, un vago e opaco riflesso marmorizzato nelle trame dell’Età del ferro; altrimenti si farebbe solo nostalgia romantica di un passato mitico o di un futuro altrettanto mitico. E mortalmente noioso. 50

Il dopo apocalisse di Simone Sarasso allora, andrebbe visto come un durante, come un’accelerazione in direzione della tempesta quindi per osservarla da ancora più vicino, una prossimità all’occhio del ciclone, ma non una sosta quieta al suo interno per quanto fradici. C’è da perdere il senno, come Orlando. Chissà se ci sarà un Astolfo pronto ad andare sulla luna?

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: Dada :

chanceLa new wave rimise in discussione il punk, lo fece riportando l’intellettualismo in seno all’ignoranza brutale e rivoluzionariamente conservatrice del genere. Fu possibile grazie alle aperture e alle contaminazioni che oggi diamo per acquisite. La new wave morì poco dopo. Morì assiderata dalla sua stessa freddezza. Dopo, fu tutto un magma inarrestabile di capovolgimenti, di incroci felici e infelici, di nascite e cadute di generi e sottogeneri. Ci fu però un microsecondo di deragliamento dadaista, un istante di febbre malarica, il tempo di ammiccare o spalancare del tutto gli occhi (fate voi), la no wave 51. Possibile che tra il new italian epic e la narrativa (pop) tout court si possa insinuare un abbagliante microsecondo no italian epic 52 in grado di far esplodere e implodere, tra clangori e bagliori, al tempo stesso Kali e Satya?

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300Simone Sarasso fa anche riferimento a una “seconda linea di autori” menzionati nel memorandum, una retrovia. La sensazione è quella dell’assedio. Un assedio mediatico, mediale, culturale in cui certa narrativa – e un certo paese – si trova da parecchio, troppo, tempo. Quando si è circondati non ci sono prime, seconde o terze linee. Il fronte è ovunque e la trincea è un solco in mezzo a un polveroso nulla. La seconda linea si trova schiena contro schiena con la prima, diventando a sua volta prima. 53 L’orizzonte a cui guarda è un altro, la curva della terra ha forse un aspetto diverso, ma la situazione è la stessa. Un enorme, devastante esercito di soldati (e schiavi) anonimi avanza da tutte le parti, come alle Termopili  54, o come a Masada. Ognuno scelga come finire, se come gli spartani 55 o come i giudei.

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: Nota personale :

In conclusione di questa mia, poco sistematica e frammentaria, riflessione sul NIE non mi resta che tirare le somme. Sono riuscito a tracciare un quadro fenomenologico della questione? Come scritto qualche paragrafo fa, le domande sono ancora sul tavolo. Risposte non ce ne sono. Ho sbrodolato tangendo l’invettiva e il pamphlet e ho deragliato nel divertissement postmoderno non senza playfulness. Non posso che rispondermi con le parole di Samuel Beckett: ho provato. Ho fallito. Non importa. Riproverò. Fallirò meglio. Un fallimento 2.0


: NOTE :

1) Questo scritto è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons: si consente la riproduzione parziale o totale e la sua diffusione per via telematica, pubblicazione su diversi formati, esecuzione o modifica, purché non a scopi commerciali o di lucro e a condizione che venga indicato l’autore e che questa dicitura sia riprodotta. Ogni licenza relativa a un’opera deve essere identica alla licenza relativa all’opera originaria.

2)  http://www.anobii.com/groups/01902b6f3cf85ba649/

3)  A questo proposito Simone Sarasso – d’ora in poi SS – , che ha avuto la (s)fortuna di leggere il mio testo in anteprima chiosa: «Mi pare che questo sia il vero punto, ovvero quello che la gente percepisce immediatamente dal saggio di Bui. È interessante come il pubblico muti da consumer a “prosumer” partecipando attivamente a definire il brand, includendo libri a lui cari. C’è il rischio che gli intenti primigeni siano travisati, ma è il rischio di tutte le narrazioni aperte. E poi, a ogni modo, la questione è nodale per ciò che verrà, ma il NIE parla essenzialmente di ciò che è stato.»

4) La scrittura rientra nell’ambito della Techné, il termine con cui si designava, nell’antichità sia l’attività dell’artigiano che dell’artista (che erano appunto, technites). Techné comprende sia la nostra arte, sia la nostra tecnica, sia la capacità di fare qualcosa che si svolge secondo una regola. Non è dunque una mera esecuzione di progetti di altri, che l’esecutore può non condividere o addirittura non comprendere, né una creatività libera da regole. Gli artisti sono anche tecnici e i tecnici sono anche artisti, perché il loro fare, in entrambi i casi, comporta un saper fare o un metodo; comporta, cioè, una conoscenza, pratica e teorica a un tempo, e una partecipazione consapevole a ciò che si fa. E questo vale sia per il lavoro intellettuale, sia per il lavoro manuale (alla techné greca partecipano sia l’architetto, sia l’ingegnere, sia il muratore esperto del proprio mestiere). La poiesi abbraccia la techné e la comprende in quanto facoltà creativa dell’uomo e momento in cui essa si realizza, specialmente in relazione all’attività artistica. Nel pensiero aristotelico, la poiesi è l’azione umana considerata in se stessa, indipendentemente dalle intenzioni che possono accompagnarla. La Poiesi secondo Aristotele allora indicherebbe letteralmente l’atto in cui si crea, il momento creativo dello spirito e deriva dal greco “poiesis”, derivazione di poieo, fare, produrre. I concetti di prassi e poiesi hanno mantenuto, per molto tempo, uno specifico status, distinguendosi con nettezza l’uno dall’altro. Aristotele descrive le loro caratteristiche principali nel VI libro dell’Etica Nicomachea. Egli definisce la praxis una attività fine a se stessa, che non dà luogo a un’opera autonoma e, proprio per questo, implica l’esistenza di una sfera pubblica. La poiesis, invece, culmina in un prodotto indipendente, che perdura anche quando l’attività è ormai conclusa; essa è guidata, dunque, da un fine estrinseco e non ha bisogno della presenza di un “pubblico”. Lo scopo della poiesis è la constatazione che esista un prodotto anche dopo la conclusione del processo produttivo. La poiesis è un fare eterotelico, il fine della produzione è altro dalla produzione stessa. Anche la sfera pubblica, necessaria per quanto riguarda l’azione, non è condizione fondante lo statuto della produzione.

5)  Aristocratico, nobile, vi rimando alla nota  27

6) Di cui De Cataldo e Moccia, Calasso e Liala, Calvino e Bevilacqua, Mari e Faletti… sono allo stesso modo esponenti.

7) http://it.wikipedia.org/wiki/New_Weird – http://www.themodernword.com/columns/cisco_001.html

8)  E sul versante graphic novel “United We Stand” di Sarasso e Rudoni.

9) Nell’Iliade ci sono molte parti “troiane” ma sono scritte per i greci. L’Eneide invece parte da Troia ed è la storia di una sconfitta e di una rinascita fondativa, ma ci torneremo in seguito nell’appendice, No Italian Epic.

10)  L’ingiustizia, la prevaricazione, l’oltrepassamento del giusto. Nel pensiero presocratico, l’hybris è l’elemento in grado di strappare il tessuto armonico della realtà che mantiene in equilibrio l’universo.

11) A. Camus – Il mito di Sisifo, Bompiani 2001 – Mi rivolto dunque siamo, Elèuthera 2008.

12) Chiosa di SS: «il che mi porta a un’altra riflessione sulla transmedialità: bisognerebbe attuarla con passione e perizia. In altre parole, è bello che dalle storie nascano booktrailer, reading, spin-off, etc., ma di solito il problema della fan-fiction è che nove volte su dieci è robetta. Ci vorrebbe uno sforzo di umiltà e competenza vera da parte di chi porta avanti le storie. Finché si tratta di narrazione fatta da professionisti, ho piacere a vedere la mia storia implementata all’infinito. Ma il gap che c’è tra certe produzioni derivate e l’originale a volte è enorme. Occorrerebbe ricalibrare il tiro. Se tutti possono modificare a piacimento, non è sempre detto che ne nasca qualcosa di buono. Ci vorrebbe maggior controllo, per salvaguardare l’eccellenza della storia.»

13) In fin dei conti, non sono forse i supereroi, l’epica statunitense? Altro che cowboy e Far west.

14) E qui il parallelo sembra talmente forzato da non esserlo affatto.

15) A cui assimilo, come già detto, spudoratamente il fantastico. Per la differenza tra i due, che qui non è particolarmente importante, rimando a wikipedia: al contrario della narrativa fantastica tout court, che affronta l’intrusione vera o supposta dell’elemento fantastico nella nostra realtà, il fantasy descrive mondi o dimensioni immaginarie completamente avulse dal nostro mondo. http://it.wikipedia.org/wiki/Fantasy

16) Non è questa la sede per, e non è mia intenzione, dare un giudizio critico sul lavoro della Troisi.

17) In Italia, si fa per dire, abbiamo due delle più interessanti saghe epiche di matrice nordica alla pari dell’Edda di Snorri e dei Nibelunghi, quella del magico regno di Fanes e quella di Re Laurino. http://www.ilregnodeifanes.it/ – http://it.wikipedia.org/wiki/Re_Laurino

18) http://it.wikipedia.org/wiki/MMORPG

19)  Un giro sul blog di Gamberetta: fantasy gamberi, potrebbe essere un punto di partenza per indagare la vivacità e l’interazione della comunità di lettori di fantasy. Altri blog e/o siti interessanti sono www.stedon.it,  bookandsorceryfantasystorymondifantasti, mirtillangela e naturalmente Fantasy Magazine

20) Anche se di altro tenore e tematica Ho freddo di Gianfranco Manfredi, di nuovo lui, pubblicato da Gargoyle e la ristampa del già citato Magia Rossa.

21) Che uscirà a inizio 2009 per i tipi di Mondadori. Tenete d’occhio questo autore, parola di uno che non ha mai fatto lo scout. www.wunderkindtrilogy.comwww.dandreagl.com

22) http://it.wikipedia.org/wiki/Connettivismo e sul connettivismo in Italia: www.next-station.org

23) Ci sono poi opere critiche di spessore che nulla hanno a che spartire con chi spara a zero sul fantasy per partito preso e che anzi offrono una visione da considerare davvero un buon complemento di lettura alla faccenda NIE. Di corsa a leggere Harry Potter e la filosofia di Simone Regazzoni, Il Melangolo 2008.

24) Etichetta, piccola etica, costumino insomma…

25) http://www.romanzototale.it/rt2008/2008/06/18/editoriale/

26)  «A una persona il suo spirito appare chiaro come il sole; a un’altra, vago come il crepuscolo; a una terza, buio come la notte. Chi non lo trova di suo gusto non è tenuto a usarlo, e chi vi si oppone non è obbligato ad accettarlo per vero. Vada questo libro in giro per il mondo a beneficio di coloro che sanno discernerne il significato.»

27) A questo punto interrogo l’I-Ching pure io. Com’è il New Italian Epic? Lancio le monete.

Il trigramma superiore è Sun, il mite, il vento, quello inferiore è Chên, l’eccitante, il tuono. Assieme formano l’esagramma I, l’accrescimento.

L’idea dell’accrescimento è qui espressa dal fatto che la forte linea inferiore del trigramma superiore si è abbassata e si è posta sotto il trigramma inferiore. L’idea fondamentale del Libro dei Mutamenti si palesa anche in questa concezione. Il vero dominare deve essere un servire. Un sacrificio del superiore, che procura un accrescimento all’inferiore, viene chiamato semplicemente accrescimento, con allusione allo spirito che solo è in grado di aiutare il mondo. La sentenza dell’oracolo: L’accrescimento. Propizio è imprendere qualche cosa. Propizio è attraversare la grande acqua.

L’immagine: Vento e tuono. Ogni sacrificio che venga fatto in alto per accrescere l’inferiore suscita nel popolo un sentimento di gioia e gratitudine che è oltremodo prezioso per la fioritura della comunità. Quando gli uomini sono così affezionati a coloro che li guidano è possibile intraprendere qualche cosa, e anche le imprese difficili e pericolose riusciranno. In tali tempi di ascesa, il cui svolgersi è accompagnato da successo, sarà opportuno lavorare e sfruttare il momento. Questo tempo è simile al tempo in cui cielo e terra celebrano le loro nozze, quando la terra diventa partecipe della forza creatrice del cielo, e quindi plasma e realizza gli esseri viventi. Il tempo dell’accrescimento non dura, e perciò bisogna farne uso finché sussiste.

L’immagine dell’accrescimento: Così il nobile: quando scorge un bene lo imita; se ha in sé dei difetti se ne sbarazza. Nell’osservare come tuono e vento si accrescano e si rinforzano a vicenda si impara la via per giungere all’accrescimento e al miglioramento di sé stessi. Quando si scopre in altri qualche cosa di buono bisogna imitarlo e così assimilare tutto ciò che è buono sulla terra. Scorgendo in sé stessi qualche cosa di male, è opportuno disfarsene. Così ci si libera dal male. Questo mutamento etico è il più importante accrescimento della personalità.

Le prime due linee però sono dei 9, linee mobili, bisogna considerare quindi anche le parole aggiunte dal duca di Chou alle singole linee: 9 al quinto posto: Se in verità hai un buon cuore non chiedere. Sublime salute! In verità la bontà sarà riconosciuta come tua virtù. 9 sopra però significa: Egli non porta accrescimento a nessuno. Certamente qualcuno lo percuote. Egli non tiene fermo durevolmente il suo cuore. Sciagura! Confucio dice di questa linea: “Il nobile acquieta la sua persona prima di mettersi in moto. Egli raccoglie nella mente prima di mettersi a parlare. Egli consolida le sue relazioni prima di chiedere una cosa. Rispettando questi tre punti il nobile vive in completa sicurezza. Se invece si è impulsivi nei propri movimenti, la gente non collabora. Se si è agitati nel parlare, non si trova eco presso la gente. Se si chiede una cosa prima di aver annodato una relazione, la gente non la dà. Quando nessuno è con noi, accorrono i malvagi a far danno”. 

28) Ne ho avuto un vago sentore leggendo Romanzo criminale, Mostri per le masse, La terza metà e per assurdo Pan, quasi in contemporanea. Forse è solo questione di sensibilità individuale – eppure – più o meno comune verso il proprio “Yuga” (keep reading).

29) E poi a me, a costo di scatenare una insignificante tempestina in brodo, Underworld, Infinte Jest e L’arcobaleno della gravità, hanno sempre stimolato un inevitabile quanto abissale, eterno e brillante sbadiglio.

30)  Riprendo, adatto e rivedo un intervento che feci in quel di Torino nel 2006 durante il convegno scientifico organizzato dal CSI Piemonte “Il senso del tempo. Società. Scienze. Tecnologie.” – http://www.csipiemonte.it/convegni_scientifici/2006/

31) L’esistenza stessa della periferia presuppone che esista anche un centro. Avrei bisogno di altre 67.852 battute per ipotizzare, tematizzare e disgregare questo assunto.

32) Riprendo, adatto e rivedo un intervento di cui non ricordo nulla.

33) Cogliere la mela dall’albero della conoscenza.

34) Secondo l’interpretazione della maggior parte delle Sacre Scritture induiste, tra cui i Veda, il Kali Yuga, Età di Kali, conosciuta anche come Età del ferro, è l’ultimo dei quattro Yuga, un’era tenebrosa e oscura, caratterizzata da numerosi conflitti e da una diffusa ignoranza spirituale.

35) Un questione su cui lavoro dilettantescamente da anni a colpi di bic e moleskine…

36) Il male non esiste. Se non come convenzione che tra l’altro non regge alla prova del trascorrere dei millenni. Chi volete ce l’abbia ancora con Nabuccodonossor? Chi volete si ricordi, tra un millennio, di chi e come governa il mondo? Figuriamoci l’Italia. Faremo pure in tempo a vedere la morte di Dio, alla stregua di quella degli dei pagani… Sempre che non si sparisca prima dalla faccia della Terra, facendole un favore. Una questione insomma, anche questa di punti di vista. Punti di vista macrocronici. E forse nemmeno così macro. Tra cent’anni nessuno di noi sarà qui.

37)  Questo passaggio mi costringe a una ****** Breve pausa in cui sospendo (ulteriormente) la sospensione del giudizio ******

J.P. Rossano interviene sul suo blog – http://www.jprossano.com/2008/nie-noir/ – a proposito di NIE e morte dei generi: […] a volte il noir affronta a viso aperto la grande Storia, pensiamo ad Ellroy (American Tabloid, Sei pezzi da mille), o De Cataldo (Romanzo criminale, Nelle mani giuste): hanno provato a riscrivere a modo loro periodi salienti della storia dei propri paesi, tappando i buchi degli enigmi ancora esistenti con invenzioni letterarie che hanno tutto il sapore di essere più veritiere di certi libri di storia.

Il noir ama l’analisi “sociale” e la denuncia del marcio che sta dietro alle storture cui siamo spesso spettatori passivi, questa è la funzione fondamentale di un tipo di letteratura che passi pure sotto la classificazione che si vuole, o addirittura sotto alcuna classificazione come propone WM1, ma comunque una letteratura che non abbassa la guardia, non si sente in pace, ne tanto meno “arrivata” ma continua ad assolvere la sua funzione “sociale”, tanto più in un paese come l’Italia che, oggi più che mai, è colta dal pericoloso raptus di voltare la faccia di fronte al marcio, all’illegalità, agli scheletri negli armadi ed alla povere sotto i sotto i tappeti. Se ricordo bene, Salman Rushdie, la narrativa dice la verità in un’epoca in cui le persone cui è demandato di dirla inventano storie. I politici, i media, coloro che creano le opinioni inventano storie. Allora è dovere dello scrittore di finzioni cominciare a dire la verità. 

Io non ho nulla contro Rushdie – se non una sensazione personale di noia verso il suo modo di scrivere – contro il noir e tanto meno contro Rossano, ma quando sento parlare di dovere e verità mi prudono le mani. Il dovere dello scrittore… la verità… la v minuscola è fuori luogo. Forse, per pudore, il traduttore o chi per lui, quando ha riportato la frase di Rushdie non ha osato darle lo statuto e la statura di cui aveva necessità. Ma di cosa stiamo parlando? La minuscola si addice solo alle verità, quelle parziali, tutte legittime, ma pur sempre parziali, e declinate al plurale. Qui non si tratta di una missione salvifica, il rischio di slittamento verso questa direzione, è in agguato. A chi dire la Verità? Per quale motivo? E soprattutto chi ha deciso che la “nostra” sia proprio la Verità? Non mi sembra ci sia nessun intento di questo tipo nel memorandum sul nuovo epico italiano, ma le interpretazioni che spingono in questa direzione, anche in Anobii, non sono da sottovalutare. Il dovere dello scrittore è quello di scrivere. Semplicemente perché se non lo fa, cessa di essere scrittore, e di opinionisti, predicatori, salvatori della patria e affini siamo abbondantemente circondati. Le (loro) fosse purtroppo sono ancora vuote.

38) E.M. Cioran, Esercizi di ammirazione, Adelphi 1988

39) Forse proprio per questo in Italia la narrativa è sempre stata vivace, in grado di sperimentare, sconfinare, avanguardare. Basti pensare alla scrittura collaborativa, che all’estero riguarda solo esperienza off, esperimenti incerti e zoppicanti o la saggistica. 

40) Senza poi disdegnare di pavoneggiarsi in qualche festival letterario accanto a stagiste disinibite e lasciando le mogli a casa. Il problema non è il fatto in sé, naturalmente, ma l’assenza totale di classe con cui lo fanno… Cazzo, la classe è tutto.

41) Probabilmente nello stesso momento, poco prima o poco dopo, io scrivevo della Kali Yuga. Sottolineando ulteriormente il fenomeno della simultaneità delle riflessioni, come delle scoperte scientifiche.

42) http://www.carmillaonline.com/archives/2008/11/002845.html#002845

43)  Il giovane premio Salgari, nelle sue due edizioni, ha visto in finale, su sei nomi, quattro legati in qualche modo alla nebulosa NIE.

44) Il Satya Yuga è lo Yuga della Verità in cui il genere umano è governato dagli dei e ogni manifestazione o attività è vicina all’ideale più puro. È spesso associato all’età dell’oro. Fra le quattro ere, il Satya Yuga è il più lungo e importante. 1.728.000 anni fatti di conoscenza, saggezza e meditazione e la vita umana dura circa 4000 anni. Le persone, durante quest’età, credono solo nel bene, sublime virtù. Il male non esiste perché “è l’età in cui si è felici”. Dopo Satya Yuga c’è il Treta Yuga (età dell’argento) segnato da un declino, la terza era, il Dwapara Yuga (età del bronzo) porta in sé un altro declino e infine, come abbiamo visto, arriva l’oscuro Kali Yuga. Alla fine del ciclo nascerà un essere divino che ristabilirà l’ordine, facendo ricominciare un nuovo Satya Yuga.

45)  Friedrich Schiller – L’educazione estetica dell’uomo (1795), trad. it., Rusconi, 1998 – Bompiani, 2007.

46) Chiosa di SS: «Che solo il male offra buoni spunti per la narrazione è un pregiudizio novantino. […] Io ne sono drasticamente vittima (Confine di Stato), ma bisogna andare oltre. Bisogna riappropriarsi del buono, bisogna creare una mitologia fondativa. Il mondo nuovo deve smetterla di farsi degli stessi pregiudizi e schemi narrativi di quello vecchio. In questo senso “Città perfetta” di Guglielmo Pispisa è una lezione.»

47)  Il remake, anzi il reboot, di “Battelstar Galactica” fatto a partire dal 2003. Attenzione a non confonderlo con l’originale, pacchiano e inconsistente, del 1978.

48) http://it.wikipedia.org/wiki/Popolo_d’Israele

49) http://it.wikipedia.org/wiki/Cylon

50) E qui, a proposito dell’Età dell’oro, Schiller (e Marx) andrebbe riletto con disincanto.

51) http://it.wikipedia.org/wiki/No_Wave – http://en.wikipedia.org/wiki/No_New_York

52) Parafrasando Tristan Tzara, no italian epic non significa nulla. Se lo si giustifica futile e non si vuol perdere tempo per una parola che non significa nulla. Il primo pensiero che ronza in questi cervelli è di ordine batteriologico: trovare l’origine etimologica, storica, o per lo meno psicologica. Si viene a sapere dai giornali che i negri Kru chiamano la coda di una vacca sacra no italian epic. Il cubo e la madre di non so quale regione italiana: no italian epic. Il cavallo a dondolo, la balia, doppia conferma russa e romena: no italian epic. Alcuni giornalisti eruditi ci vedono un arte per i neonati, per ladri santoni, versione attuale di Gesùcheparlaaifanciulli, è il ritorno a un primitivismo arido e chiassoso, chiassoso e monotono. Non si può costruire tutta la sensibilità su una parola, ogni costruzione converge nella perfezione che annoia, idea stagnante di una palude dorata, prodotto umano relativo.

53) Anche se non fa parte dello stesso esercito o anche se si tratta di qualche soldato di ventura solitario, capitato lì per caso o per scelta. 

54)  Su “300”, il graphic novel, ma anche la pellicola (tolta la storia d’amore, i mostri e le bombe a mano, che nel fumetto non ci sono), la penso in modo diverso da Wm1, cfr. http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/allegoria_e_guerra_in_300.htm Certo a prima vista un’opera del genere potrebbe tranquillamente venir letta, più o meno ironicamente, sotto l’egida del motto Sport, Fascismo e Sodomia, ma consentitemi la boutade, non è che Nuovo, Epico e Italiano suoni poi così meno “marziale”…

55) Con in piedi almeno un aedo che continui a cantare storie.

18 thoughts on “In margine a un testo esplicito

  1. aehm, avrei voluto leggere almeno fino dove ero citata, ma non ci sono riuscita. Il tutto è soporifero. Del resto non sono mai riuscita ad arrivare a pagina 4 del documento sul NIE originario, né nella versione 1.0 né nella 2.0.
    Se posso però azzardare un parere, quando dici:
    “A mio modesto parere il NIE, dovrebbe rimanere liquido, vago nei suoi confini, in grado di muoversi come una massa di argento vivo sul marmo. Adattarsi, scivolare sulle superfici mantenendo comunque il suo scintillio, quindi ben vengano le versioni 2.0, 2.1, 3.0 fino a n.n. Chi si ferma è perduto diceva quel tale…”
    Ecco quando una “cosa” è vaga nei suoi confini si muove come “argento vivo sul marmo”(…), scivola, ecc. non è una cosa interessante è fuffa.
    Un concetto è tanto più interessante quanto con meno parole riesce a individuare una porzione significativa della realtà (tipo Newton che in una riga descrive, con buona approssimazione, il funzionamento dell’intero Universo).
    Quando servono 30 e passa pagine A4 e poi alla fine non è ancora chiara la questione, anche senza entrare nel merito, è probabile ci sia qualcosa che non quadra.
    O in altri termini, una mezza parodia come le circa 100 parole del manifesto squidpunk ha più rigore, precisione, e suscita maggior interesse che non tutti i discorsi sul NIE messi assieme.
    D’altra parte concordo che si tratti di discorsi elitari, perciò è probabile che non colga la bellezza non essendo 1337 abbastanza. A questo proposito posso dire che è un elite molto più ristretta di quanto pensi: 30.000 download sono un’inezia. Anche contando che siano 30.000 download “veri” (dunque escludendo i bot, quelli che credevano di star scaricando un romanzo porno, quelli che pensavano che .pdf fosse l’estensione dei giochi piratati per il Nintendo, ecc.), dato il bassissimo indice di conversione via Internet, mi stupirebbe molto sapere che ci sono state più di 300 letture complete.

    Ciao!

    P.S. Ma La Strategia dell’Ariete è New Weird? Nel senso: Swanwick – Miéville – VanderMeer – KaiZen? In ogni caso l’ho scaricato (sì, è una minaccia! ^_^)

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  2. “aehm, avrei voluto leggere almeno fino dove ero citata, ma non ci sono riuscita. Il tutto è soporifero”:

    Be’ come pars destruens non è un granché…

    “Un concetto è tanto più interessante quanto con meno parole riesce a individuare una porzione significativa della realtà (tipo Newton che in una riga descrive, con buona approssimazione, il funzionamento dell’intero Universo).”

    Come pars costruens, nemmeno. La questione – secondo me – è che il funzionamento dell’universo non è individuabile, perché la realtà è diversa per ognuno di noi, non esiste una Verità, ma tante verità legittime quanto parziali. Per questo l’approccio liquido, fenomenologico, è essenziale, se no come scritto più in là, dove non sei arrivata, si (s)cade nell’ideologia, cioé si dice come dovrebbe essere la realtà, mentre essa è quella che è. A noi non è dato comprenderla, se non in termini di interpretazioni e rappresentazioni. Lo stesso Newton fornisce dell’universo nient’altro che una rappresentazione, che ad esempio per un aborigeno australiano non ha alcun senso, perché l’universo è sogno.

    Sulla questione 30 mila download, mi chiedevo pure io, quanti lo avessero letto, quanti lo avessero spulciato velocemente e quanti non lo avessero proprio degnato di un’occhiata. Comunque, quale che sia la cifra, per un saggio non proprio digeribile e forse soporifero come dici tu, non mi sembra così basso come numero. Secondo te per un oggetto del genere quale sarebbe una cifra impressionante? Considerando comunque “l’elitarietà” di cui parlo.

    Sulla questione fantasy? Sul rapporto Fantasy – NIE? Avresti tutte le carte in regola per una costruzione e una decostruzione mirabolante…

    PS La Strategia dell’Ariete non so bene cosa sia. Forse è solo un romanzo d’avventura.

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  3. Be’ come pars destruens non è un granché…

    È noioso. Molto noioso. Sia l’articolo, sia il testo di partenza. C’è una parte di gusto personale, ma ci sono anche un sacco di problemi tecnici, se t’interessa, anche in privato, te li elenco.

    Come pars costruens, nemmeno. La questione – secondo me – è che il funzionamento dell’universo non è individuabile, perché la realtà è diversa per ognuno di noi, non esiste una Verità, ma tante verità legittime quanto parziali. […] Lo stesso Newton fornisce dell’universo nient’altro che una rappresentazione, che ad esempio per un aborigeno australiano non ha alcun senso, perché l’universo è sogno.

    Allora, io sono aperta a qualunque ipotesi cosmologica, comprese idee molto radicali (del tipo che le leggi fisiche e in generale il “funzionamento” dell’universo è iscritto nell’universo stesso in forma binaria o che esiste nella realtà un singolo elettrone), ma questo non toglie che la fisica classica funziona sia da noi sia in Australia.
    Non è vero che esiste un “relativismo” così spinto: io e te adesso possiamo “parlare” grazie a Newton non grazie ai sogni degli aborigeni.
    Posso anche concordare in generale sull’impossibilità di comprendere il funzionamento ultimo dell’Universo, ma qui la questione è molto più terra terra. Qui il problema è che via Internet ci sono miliardi di documenti disponibili, e dunque serve un criterio per capire a quali di questi documenti dedicare il tempo. Uno dei criteri (che tra l’altro non è che l’abbia inventato io) è appunto riuscire a valutare la “densità d’informazione” dei documenti. Non sempre, ma in generale, più è alta la densità, più il documento è interessante.
    Perciò prendiamo da una parte Newton e dall’altra il resoconto del sogno di un aborigeno. Saranno veri entrambi, ma con Newton ho una densità altissima perché ragionando sul suo documento posso prevedere il moto dei pianeti, costruire ogni genere di marchingegno, ecc. Con il sogno dell’aborigeno non ho la stessa efficacia.
    E ribadisco, sto parlano terra terra, non di profonde, quanto insondabili, “verità” filosofiche.
    A mio parere la cosa si applica anche al di là della scienza. Se io leggo un testo di critica letteraria, perché susciti interesse mi deve fornire degli “strumenti” per manipolare la realtà letteraria. Se il testo è vago e indefinito, sfuggente, non avrò alcuno strumento. Per un altro paragone prendi i (video)giochi: di solito quelli che rimangono (anche per secoli) sono quelli che, partendo da un regolamento semplice e preciso, riescono a esprimere un’enorme complessità.

    Secondo te per un oggetto del genere quale sarebbe una cifra impressionante?

    30.000 letture sarebbero sì impressionanti, dunque direi 3.000.000 di download (e comunque un 1% di conversione è moltissimo).

    Sulla questione fantasy? Sul rapporto Fantasy – NIE? Avresti tutte le carte in regola per una costruzione e una decostruzione mirabolante…

    Infatti io avevo scaricato il testo sul NIE avendo idea che avrebbe potuto interessarmi. Ma è illeggibile. Non escludo che sia “colpa” mia, non avendo nessuna preparazione formale nell’ambito della critica letteraria, sta di fatto che mi sono annoiata a morte in entrambi i tentativi. Il che magari va anche bene, nel senso: se il “target” del testo è una determinata elite e l’elite apprezza, tanto meglio.
    Io applico criteri brutali e mondani, mi piace buttare le pietre giù dalle torri. Per esempio, applicando questo mio criterio alla domanda che ti ho fatto: ne La Strategia dell’Ariete ci sono draghi biomeccanici alimentati dal sudore radioattivo dei furetti giganti? Se rispondi di sì, se c’è qualcosa del genere, e questo qualcosa è al centro della narrazione, è New Weird, altrimenti no. Non è questione così sofisticata, spesso i problemi sono molto più limpidi di quanto non si creda.

    Miéville dichiara che uno degli scopi della sua scrittura è creare mostri “cool”. Sottoscrivo. Quand’è l’ultima volta che un romanziere italiano ha creato un mostro cool? Tipo il vampiro o lo zombie o Cthulhu o alien? Sarò semplicistica ma a me interessa quello. Perché? Perché il mostro cool ha un’enorme densità d’informazione, è estremamente interessante (prendi appunto il vampiro. Puoi descrivere un vampiro in poche righe: è morto, succhia sangue, teme il Sole, ecc. e da questa semplice descrizione nascono centinaia di romanzi, film, studi, interpretazioni, fantasie e quant’altro).
    Quando Wu Ming o chi per lui scriverà Nuove Creature Italiane è possibile lo leggerò con più interesse.

    Comunque non voglio creare polemiche, wordpress mi ha avvertita della citazione ed ero curiosa di controllare, tutto qui. NIE e quest’articolo, nonostante i problemi, è probabile siano interessanti per il pubblico specialistico a cui sono rivolti.

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  4. ma questo non toglie che la fisica classica funziona sia da noi sia in Australia.
    Non è vero che esiste un “relativismo” così spinto: io e te adesso possiamo “parlare” grazie a Newton non grazie ai sogni degli aborigeni.

    La “cosa” funziona certo. Ma newton la rappresenta in un modo e gli aborigeni in un altro. Ed entrambe girano. Noi ci rifacciamo a Newton perché, le sue teorie e leggi della fisica spiegano la realtà in un modo che è coerente con la nostra cultura, che il ‘700 inglese ha contribuito a plasmare. Per gli aborigeni non hanno alcun senso e non spiegano alcunché…

    A parte questo, che non ci porta, fortunatamente da nessuna parte…

    Ne la strategia dell’ariete c’è qualcosa di simile al centro della vicenda in effetti. C’è chi l’ha letto in modo allegorico e chi no…

    Nuove creature italiane è molto interessante….

    Nessuna polemica, solo riflessione collettiva in cui tutti i punti di vista sono ben accetti. Anche le chiose che (ti) faccio sono del tutto relative.

    Elenca pure in privato o in pubblico i problemi tecnici se hai voglia… anche se non credo portino linfa vitale alla discussione sul NIE

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  5. Elenca pure in privato o in pubblico i problemi tecnici se hai voglia… anche se non credo portino linfa vitale alla discussione sul NIE

    Infatti. Io faccio solo notare che il testo che descrive il NIE letto da una persona di moderata intelligenza, e con una certa passione per argomenti correlati, risulta privo di qualunque interesse, tanto che la lettura è abbandonata dopo poche pagine.
    Dunque non è possibile portare linfa ad alcuna discussione, dato che la discussione non c’è (almeno da parte mia).
    Ciò non toglie che per una cerchia ristretta di lettori con interessi più particolari invece il tutto possa scorrere senza intoppi.

    Comunque ho dato una scorsa dov’era la citazione. In poche parole: attualmente in Italia si produce abbastanza fantasy (almeno rispetto a qualche anno fa, non in assoluto o rispetto a paesi anglosassoni e orientali), ed è praticamente solo spazzatura.
    Il miglior scrittore del genere rimane Zuddas e l’unico riconoscimento internazionale credo sia ancora Calvino candidato al Nebula per “Le Città Invisibili”.
    “Pan” è un bellissimo romanzo, ma più che la punta dell’iceberg, è tutto l’iceberg o quasi (e tra l’altro se parliamo dal punto di vista innovativo non c’è moltissimo, la stessa storia l’aveva raccontata Phil Dick cinquant’anni fa).
    Dunque anche qui trovo che ci sia poco da discutere: non ha molto senso stabilire se ci sia un New Italian (Epic) Fantasy quando le opere degne d’interesse si contano sulle dita di una mano.

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  6. La seconda parte è quella più interessante, il resto come dici tu è “fuffa”.

    Grazie, eh. L’Università sono proprio soldi buttati, pensare che con meno potrei andare in Australia e imparare di più e meglio dagli aborigeni. Io trovo affascinante e interessante estendere dei principi applicabili ai linguaggi formali anche ai linguaggi naturali, ma probabilmente sono solo ingenua. Mi scuso per averti fatto perdere tempo con tali idiozie. Ciao.

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  7. Grazie per il contributo. Non entro nel merito delle interessanti questioni, non voglio sottrarre spazio agli altri che vogliono intervenire. Lascio un commento solo per amore di precisione, per sfatare un equivoco in cui è caduta Gamberetta.

    In rete quello che viene chiamato “indice di conversione” non riguarda il rapporto tra download di un testo e sue effettive letture (rapporto che non è misurabile in alcun modo), bensì quello tra numero di visite a un sito (solitamente di e-commerce) e numero di azioni auspicate dal gestore (solitamente acquisti on-line).
    http://en.wikipedia.org/wiki/Conversion_rate

    A meno che il riferimento non fosse alla “regola dell’1%”, ma nemmeno quella riguarda il rapporto tra chi scarica e chi legge: la “1% rule” fotografa approssimativamente il rapporto tra semplici fruitori di Internet ed effettivi creatori di contenuti (ergo: su 100 persone che usano Wikipedia, solo 1 si dedica a creare o correggere voci).
    http://en.wikipedia.org/wiki/1%25_Rule_(Internet_culture)

    Ora, sempre per intenderci: affinché le stat di getclicky registrino un download di “New Italian Epic”, dev’esserci stato un click dalla pagina web di riferimento, cioè questa:
    http://www.carmillaonline.com/archives/2008/04/002612.html#002612
    oppure questa:
    http://www.wumingfoundation.com/italiano/presentazione.htm
    Ai 30.000 download della versione 1.0 corrispondono, in soldoni, trentamila atti intenzionali da parte di persone che, visitata una o l’altra di quelle pagine, hanno scaricato il testo nei formati pdf, odt zippato o doc zippato.

    Chiaro che non possiamo sapere in quanti lo abbiano letto, ma sono persone che hanno espresso in modo concreto un interesse. Permanente o transitorio? Superficiale o approfondito? Vallo a capire. Ma per giudicare se trentamila download siano tanti o pochi, va chiarito un punto: “tanti o pochi rispetto a cosa?”

    In Italia un testo di teoria letteraria ha tirature di cinquecento-mille copie se va stra-bene. Spesso le copie sono poche centinaia, e le acquistano soltanto gli studenti obbligati a farlo perché hanno quel libro nel programma d’esame (e quasi sempre il docente è l’autore stesso).
    Non credo di esagerare se dico che, nella storia della letteratura italiana dal Dopoguerra a oggi, il memorandum sul NIE è probabilmente il testo di teoria letteraria che ha avuto maggior diffusione nel minor lasso di tempo. Tra l’altro, da quando è on line, la versione 2.0 ha avuto altri 16.000 download circa.
    Certo, non significa che sia anche il testo più letto. E comunque sì, stiamo parlando di una nicchia di persone. E’ notorio, questo è un Paese dove in media si legge pochissimo.

    Di nuovo grazie, e se ho annoiato chiedo scusa.

    WM1

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  8. @Wu Ming 1. Non sono caduta in equivoco. So quello che s’intende per “conversion rate”. Ho cercato di applicare il concetto invece che all’acquisto alla lettura.
    In generale è difficile calcolare il “conversion rate” per l’ecommerce, in quanto le società che se ne occupano dichiarano sempre risultati trionfalistici, ma tanto per citare due dati empirici:
    http://news.bbc.co.uk/2/hi/technology/7719281.stm
    “conversion rate” in una situazione decisamente sfavorevole (spam): 0,00001%

    http://www.teleread.org/blog/2008/05/13/share-the-ware-but-not-the-wealth-nonpaying-readers-dash-uk-novelist-richard-herleys-shareware-hopes/
    “conversion rate” di uno scrittore (non esordiente) che decide di vendere online i suoi romanzi: 0,0023%

    Un “conversion rate” dell’1% in ambito ecommerce è considerato stratosferico e lo è anche in ambiti meno esigenti (ad esempio 1 commento ogni 100 visite di un blog è normalmente un “conversion rate” alto, almeno quando si considerano blog con un certo traffico).
    Ora, “a naso”, ho valutato che il gesto di leggere un testo scaricato sia molto meno gravoso sia di comprarlo sia di commentare, dunque un 1% di letture mi pare realistico.

    “Tanti o pochi rispetto a cosa?” Non so, quello che preferisci, ma non certo rispetto al mercato cartaceo, le logiche sono diverse. Un sito che si occupa di un argomento di nicchia come il fantasy, ovvero FantasyMagazine, ha 1-3 milioni di pageview al mese. A questo punto diventa la rivista di narrativa più diffusa in Italia dalla preistoria a oggi? Sì, no, forse: il meccanismo è diverso e non credo si possa fare un paragone sensato.

    Infine se vuoi sapere quanti hanno letto, anche se non ci sono metodi sicuri puoi sempre fare una cosa semplice: chiedere. Metti un link in fondo al PDF del tipo: clicca qui se hai letto l’intero PDF. E poi vedi i dati che raccogli. Ovviamente un sacco di gente non cliccherà o cliccherà anche senza aver letto, ma è meglio che niente.
    Ci sono poi sistemi più sofisticati, ma nel caso bisogna considerare anche altri fattori (tipo la privacy dei lettori). Devi decidere tu quanto t’interessa sapere se le persone hanno letto o no. Gli strumenti informatici, non perfetti, ci sono.
    L’alternativa è rivolgerti a un aborigeno: lui di sicuro saprà darti le giuste risposte.

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  9. Non si dovrebbe mai iniziare una risposta con la frase: “Non ho compiuto l’azione X”, perché così si ri-descrive l’azione X dandole ulteriore enfasi, e si rimane dentro il frame concettuale definito dall’interlocutore. La smentita rafforza la notizia. A distanza di un certo lasso di tempo, il cervello di chi legge lascerà cadere il “Non è vero che”, e rimarrà solo quel che segue. Se dico: “Non è vero che sono uno stronzo”, sto mettendo tutto il potenziale di memorabilità della frase nell’asserzione “sono uno stronzo”. Quando Nixon disse: “I am not a crook”, non fece altro che associare per sempre il proprio nome alla parola “crook”. Se l’incipit di un tuo commento è “Non sono caduta in equivoco”, crei un ulteriore collegamento tra te e l’equivoco. Mai negare. Affermare.

    Venendo al punto: a me, più che la quantità e il monte-ore di lettura, interessa la qualità della comunicazione che posso avere con chi lo ha letto e mi ha scritto (o ha scritto sul proprio blog) ponendo domande, esprimendo dubbi, manifestando perplessità, offrendo suggerimenti, impostando controcanti etc. Praticamente tutti i contributi ospitati o linkati su Carmilla sono nati così. Preferisco dedicare a questo aspetto la mia attenzione, comunque grazie per i consigli, chiunque altro li avrebbe giudicati preziosi.

    Mi interessa poco anche l’insiemistica spiccia, credo abbia poca importanza se il tuo blog possa o meno paragonarsi a una rivista etc. Mi interessa il fatto che il memorandum, per essere un testo di teoria letteraria (anche di prassi, intendiamoci, ma diciamo che di primo acchito lo si ascrive alla saggistica) ha avuto e ha una diffusione che altri testi di teoria letteraria non hanno. E’ questo il punto, secondo me.

    Ciao,

    WM1

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  11. Intervengo in questo dibattito con un po’ di timore: non sono un critico letterario; non lavoro nell’ambito dell’editoria; non sono uno scrittore. Sono solo un semplicissimo lettore accanito, che a volte recensisce i libri che gli sono piaciuti, e che spesso scrive cavolate in linguaggio colorito.

    Con questo non voglio dire che se dico fesserie qui sotto, non mi dovete mandare a quel paese. Ritenevo giusto pero’ far sapere chi sono, visto che tutti gli altri che sono già intervenuti mi pare abbiano certamente più credenziali di me.

    Ma veniamo al dunque. Ho letto sia l’intervento di Wu Ming 1 (originale e versione 2.0: potete intanto mettere ‘uno’ al contatore di quelli che se lo sono scaricati e letto…) e l’intervento di J.

    Avete presente la soddisfazione che si prova quando si cerca una parola che ci sfugge, che abbiamo sulla punta della lingua, ma che non esce? Ecco, quando io ho lessi lo scritto di Wu Ming 1 per la prima volta provai esattamente la stessa soddisfazione.

    Perché anche da semplici lettori si avverte che c’è un filo rosso che lega i libri di cui si parla (non millanto di averli letti tutti, ma almeno una quindicina si’). E non lo pensavo solo io: anche i miei compagni di (tante) merende e di (poche) letture, che ho ammorbato con la questione, mi davano ragione. Metallo Urlante, Grande Madre Rossa, Dies Irae, Noi saremo tutto, Nelle mani giuste: c’e’ qualcosa.

    Io non avrei Saputo dire cosa fosse, ma credo che Wu Ming 1 lo abbia fatto benissimo. E se solo i molti, troppi cani che scrivono nelle pagine culturali dei maggiori quotidiani lo avessero letto tutto l’intervento, e avessero letto anche solo 3 o 4 dei libri di cui si parla, non avrebbero potuto non essere d’accordo.

    Tutto questo per dire che sì, secondo me esiste una categoria di libri. Che poi vogliate chiamarla NIE, o “Libri Pizza”, che abbia tutte, alcune o a altre caratteristiche, e’ un altro discorso. Ma la categoria c’e’. Esiste, e direi che gode di ottima salute.

    Se sia un fenomeno solo ed esclusivamente italiano, questo io non so dire. Certo, come dice Wu Ming 1, le premesse sono peculiari alla situazione italiana. Ma mi domando se una roba del genere non stia accadendo anche in Giappone, per esempio, dove la fine della Guerra fredda sta dando vita a cose nuove che non mi pareva esistessero prima (sto pensando alla Kirino di Out, o di Grotesque), libri in cui c’e’ comunque sempre una critica di fondo al sistema paese, che era bloccato come il nostro, sotto molti punti di vista. Libri che si distaccano profondamente da quello che si era scritto fino ad allora, e che hanno alcune caratteristiche del NIE: they don’t keep it cool and dry, hanno uno sguardo obliquo, sono complessi da un punto di vista narrativo, ma sono popolari, etc. etc. Non so se siano davvero epici, pero’.

    Ma non ho né la conoscenza, né la cultura per portare avanti un discorso del genere. Leggo libri in traduzione, quindi niente posso dire del linguaggio, per esempio. Per cui, lascio questo spunto ad altri, piu’ dotati di me.

    Posso pero’ dire che nel panorama particolare francofono (Bruxelles) nel quale vivo, non vedo niente di simile, comunque. Ne’ mi pare una roba del genere esista nella letteratura Americana, almeno quella che leggo io.

    E veniamo a bomba sullo scritto di KaizenJ.

    (Innanzitutto, e tra parentesi, ti posso dire che quello che noti delle librerie italiane in America Latina, New york, Londra, e’ vero anche qui, nella falsa capitale della periferia dell’impero. Negli scaffali italiani si trovano solo quelli che io chiamo “i paraculi”: de carlo, baricco, e roba di una cinquantina d’anni fa).

    J riflette a pagina 2 sulla questione del NIE come roba elitaria. Io non sono d’accordo. E mi spiego. Secondo me il NIE e’ elitario per numeri di vendita, forse, ma questo non dipende dal suo essere ontologicamente elitario; e’ piuttosto un risultato di altre dinamiche che intervengono nel processo che va dal vostro scrivere un libro alla sua pubblicazione sugli scaffali.

    Siete sicuri che gli editori facciano davvero il possibile per raggiungere il maggior numero di lettori? E I librai? Perche’ io ogni volta che devo comprare il libro di Kai Zen per regalarlo, o i libri di Wu Ming, devo rivolgere una preghiera a tutti i santi affinché lo si trovi nelle librerie? Ok, forse il tutto puo’ essere un problema di distribuzione legato alla Toscana, dove io compro i libri italiani.

    Ma la domanda di fondo è: quanto è davvero elitario un libro come Grande Madre Rossa? O come Manituana? Secondo me pochissimo.

    Che poi venga percepito come elitario, che venga, forse, posizionato come elitario, è un altro discorso.

    Io credo che i libri del NIE siano di nicchia solo perché manca davvero una promozione dietro a quei libri. Un posizionamento adeguato, anche nelle librerie.

    Per non parlare poi delle recensioni che alcuni dei libri hanno nei giornali: avessi dovuto credere a quello che scriveva un quotidiano (non ricordo quale) su Manituana l’avrei comprato solo per rimpiazzare la carta igenica in un Museo d’elite. Ma invece m’è piaciuto a bestia.

    Vi faccio un esempio basato su cose personali: mia mamma adora I libri di Evangelisti. Ha adorato Q. Sta adorando l’Ariete. Avrebbe mai letto questi libri se il suo amato figlio non le avesse fatto due palle cosi’ su quanto fossero belli? No. Li avrebbe trovati sugli scaffali della Feltrinelli, o della Mondadori delle nostre citta’? Almeno a Firenze e Pisa, la risposta e’ No. Li avrebbe trovati recensiti bene sui giornali che legge? No.

    Il problema credo sia questo: siete elitari come posizionamento, non come prodotto (e questo per me e’ un complimento, non un’offesa. E’chiaro che mia madre non saprà apprezzare tutti i risvolti storici dietro a Q o all’Ariete…ma grazie a Dio i vostri libri sono leggibili a diversi livelli…)

    Se la colpa sia vostra, degli editori, o dei librai, lo lascio a voi.

    Concordo anche con J quando dice di avvicinare “arditamente” fantascienza, horror e fantastico al Fantasy. Perché è verissimo che ormai, nella fantascienza italiana, mi pare che la tendenza sia come dice lui, a raccontare una storia alternativo, non un futuro semplice.

    E concordo anche quando accomuna Wu Ming, Kai Zen e Evangelisti in questa zona del NIE: da lettore che ha letto parecchio dei primi e dell’ultimo, e il solo libro dei secondi, confermo che l’impressione che si ha, leggendo questi autori, è di un imprinting comune. Ovviamente non sto dicendo che vi copiate. Anche perche’ non mi pare che I Wu Ming utilizzino i salti temporali come li utilizzano I kaizen e Evangelisti. Pero’ si sente una visione condivisa. Si sente un largo respiro, oltre le cose italiane, da vero romanzo storico. Che non sento, per esempio, in de Cataldo. O nei libri di Genna (ma non ho letto Hitler).

    Sulla transmedialità vi faccio una domanda: siete sicuri che il lettore la voglia? E non e’ una domanda retorica. Personalmente credo che questo interessi solo una parte minima dei lettori, quella degli “esaltati” (in senso buono). Quelli che si danno ai giochi di ruolo, che scrivono fanzine, che vogliono finali alternativi…ma questo, si’, e’ davvero di nicchia. Per cui per me è un falso problema. Anzi, personalmente m’innervosisco quando trovo finali alternativi, sitiweb con musiche e robe varie…io la storia voglio immaginarmela IO.

    E mi chiedo tra l’altro se questa ricerca della transmedialità non contribuisca a posizionarvi come elitari, di nicchia. “Wu Ming? Ah, si’, quelli di internet”, per capirci.
    ***
    Quando J dice che il fumetto è stato un precursore del NIE, secondo me ha ragione: a me viene subito in mente Nathan Never, della Bonelli (che conserve ancora gelosamente…)

    Sul Fantasy, non commento. Vedo che gli animi si scaldano anche su Anobii, e io non ho letto abbastanza Fantasy da poteri aiutare.
    ***
    Mi vengono dei dubbi quando dici che “il tempo è giunto agli sgoccioli”, riferendoti alla storia italiana. Mi chiedo se qui non si faccia un po’ lo stesso errore di quelli che dicevano che la storia era finita una quindicina d’anni fa…Bin Laden ringrazia. Se invece ti riferisci al fatto che per l’Italia attuale non ci sia scampo, ti do ragione al 100%. Io credo che l’Italia sia semplicemente in un declino storico strutturale, contro il quale la politica non puo’ niente. Non e’ che se ci fossero stati Re migliori, la Spagna post Filippo II non avrebbe fatto la fine del cavolo che ha fatto per 500 anni…è un ciclo, secondo me.

    Non sono invece d’accordo quando dici che in Italia si è ormai consapevoli del fatto che siamo alla periferia dell’Impero. Certo, lo siamo, ma non siamo gli unici. La Francia, la Germania, stanno messe peggio di noi, perche’ credono intimamente di essere ancora al centro dell’impero, mentre se un impero c’e’ ancora, tutta l’Europa ne è mera periferia. E se l’attuale impero muore, saremo sempre periferia di un altro (Pacific Rim, o mondo Arabo: scegliamo il nostro nuovo padrone).

    ***
    Per finire, concordo sul fatto che sia il male, la parte destruens, il carburante per una narrazione esaltante quale quella dei libri del NIE. La rinascita, la rifondazione, non c’interessa. Diciamocelo: chi s’e’ mai letto tutto il Purgatorio e tutto il Paradiso della Divina Commedia con lo stesso gusto con cui ci siamo letti l’Inferno? Solo Benigni, ormai una pallida ombra del giullare genio che era, ce la sta a menare ancora con il Paradiso…

    Ecco qua. Spero di non avervi annoiato.

    (Ultimissima cosa: ti confermo che mi trovo in toto d’accordo con la tua nota 29, e anzi, direi di piu’: Underworld, Inifinite Jeste L’arcobaleno della gravità sono delle Corazzate di fantozziana memoria).

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  13. La mia citazione di Rushdie non intendeva esprimere giudizi di merito sullo scrittore Rushdie, nè tanto meno sul suo modo di scrivere, era solo un tentativo di spiegare la mia tesi (non so se corretta o meno) volta a sostenere che: si probabilmente il NIE avrà decretato la morte dei generi, ma (a mio avviso) non era corretto quello che aveva scritto Roberto in una delle note del suo memorandum, ovvero che il noir era morto e sepolto pure lui. E questo perchè (sempre a mio avviso) il noir non si può definire un “genrere”, ma è qualcosa di più, uno stato d’animo se vogliamo, forse l’unico moderno erede di quelle che furono la tragedia greca prima e quella sheaksperiana poi. La questione della verità (e della necessità di dirla) non riguardava però le cosiddette verità con la V maiuscola (quelle le lascerei volentieri ai santoni delle varie religioni ed ai politici unti dal Signore), ma semplicemente alla necessità di una letteratura che faccia riflettere il lettore a dispetto di una politica (ed una buona parte di giornalimo pure) che in questo paese (ma non solo) ormai spaccia per verità teologali balle spaziali e panzanate galattiche pretendendo di indottrinare le folle (che poi spesso si fanno pure indottrinare volentieri). Da qui la necessità di una letteratura che dia la possibilità di pensare con la propria testa: io scrivo il lettore legge e trae le sue conclusioni da solo e se non ne sa o capisce abbastanza magari gli viene pure la volgia di documentarsi.
    Non so se questo mio tentativo di chiarimento ha risolto qualcosa o ha ingarbugliato ulteriormente il mio pensiero da scrittore dilettante, ma almeno ci ho provato.

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  14. Prima una segnalazione, poi un commento.

    SEGNALAZIONE

    Esiste un rapporto fra le nuove tendenze della narrativa e quelle della poesia in Italia? Sto provando a capirlo. Qui trovate i primi appunti: http://lellovoce.altervista.org/spip.php?article1694

    COMMENTO

    Molto pertinente il confronto con l’ambiente musicale, soprattutto per autori che si presentano come “ensemble”, come gruppi rock-letterari. La collegialità, del resto, è un’altra componente epica. Troppo poco sottolineata.

    Certo, sono tutte questioni che, quando entrano nello specifico, impongono attenzione, sana noia e pazienza. Con buona pace di Gamberetta e di chi vuole soddisfazione immediata, plaisir du texte pret-à-porter.

    Ho apprezzato molto anche il tentivo di chiarire l’oggetto vero della questione: che cos’è epico? È su questo che bisognerebbe insistere. Più che sulle inclusioni e le esclusioni. E al più presto bisognerà passare al vaglio critico le opere. Altrimenti, si rischia la deriva tautologica.

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