Eine Anime für Alle und Keinen (7 – the end of Evangelion)


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Gnoseologia e libertà si intersecano negli ultimi due episodi. Ed è qui che Evangelion diventa opera metafisica, è qui che rompe definitivamente gli argini del pop – molti fan hanno storto il naso e chiesto a viva voce un nuovo finale -.
Shinji Ikari, come tutti gli esseri umani, è stato assorbito dall’anima collettiva, si è evoluto. L’altro lo ha assorbito, l’altro non c’è più, o meglio l’altro coincide perfettamente con il sé, l’AT-Field è stato invertito e i confini dell’individualità sono stati aboliti.
Shinji si trova su un palcoscenico – “lo Shinji Ikari che è nell’animo di Misato Katsuragi, lo Shinji Ikari dentro Asuka Soryu, lo Shinji Ikari dentro Rei Ayanami, lo Shinji Ikari dentro Gendo Ikari. Ognuno di essi è un diverso Shinji Ikari, ma sono tutti il vero Shinji Ikari.” – La sfida sembra vinta, il progetto per il perfezionamento dell’uomo ha fatto in modo che il pilota dell’EVA non abbia più paura degli Shinji Ikari contenuti nelle altre persone. Non ci sono barriere, non c’è AT-Field, tra sé e gli altri. Cosa sono gli altri allora? Sono me? E io cosa sono? Un oggetto per quale soggetto? Se non c’è il soggetto, l’oggetto che fine fa? Come conosco il mondo?

Shinji: Che cosa sono io? Questo sono io… Una forma che mi mostra agli altri. Un simbolo di me stesso. Anche questo (un disegno ben delineato N.d.A.) e questo (uno scarabocchio con i tratti di Shinji N.d.A.) e questo (un ideogramma N.d.A.). Sono tutte mie rappresentazioni. Sono tutte immagini che danno agli altri coscienza di me. Ma allora cosa sono io? Questo sono io? Il mio vero io. Il mio falso io.
Rei: Tu sei tu. In questo però, possiedi un tuo proprio confine e una tua propria dimensione. (26 – La bestia che gridò AMore nel cuore del mondo)

Il darsi di un oggetto per un soggetto. Il “darsi” avviene attraverso il principio di individuazione, spazio – tempo – causalità, attraverso la rappresentazione quindi. Diventando un’unica cosa, il genere umano si è affermato fuggendo da se stesso, dalla sua stessa natura, da ciò che lo rende umano: la singolarità. La fine di Evangelion sembrerebbe raccontare che la fuga (che sia quella di Shinji o del genere umano) sia inevitabile – o si fugge verso l’annientamento o si fugge verso l’evoluzione, siamo obbligati ad affermare noi stessi scappando (non riuscendo a vivere con noi stessi.) Non si può evitare di farlo, perché la paura è così grande che non si può farne a meno se si vuole compiere anche la più piccola delle azioni. E la fuga è l’azione più istintiva e razionale allo stesso tempo, davanti al terrore (lo stesso terrore da cui protegge l’AT-Field). È proprio Shinji a rivelare a se stesso di aver scelto la fuga. La volontà lo ha spinto all’azione.

Shinji: Io ho paura di essere odiato dagli altri.
Shinji: Tu hai paura di venire ferito e di soffrire.
Shinji: Di chi è la colpa?
Shinji: La colpa è di mio padre. Mio padre, che mi ha abbandonato.
Shinji: La colpa è mia.
(un flashback ricorda l’occasione in cui Gendo ha lodato Shinji per una missione riuscita.)
Shinji: da allora hai continuato a vivere rimuginando su quella gioia?
Shinji: Seguitando a credere in quelle parole, potrò continuare a vivere.
Shinji: Continuando a ingannare te stesso?
Shinji: È quello che fanno tutti. È così che le persone riescono a vivere.
Shinji: Senza l’autoconvinzione di essere nel giusto, vivere non sarebbe possibile.
Shinji: In questo mondo ci sono troppi motivi di sofferenza perché io vi possa vivere.
[…]
Shinji: Hai sempre chiuso gli occhi e tappato le orecchie di fronte alle cose spiacevoli.
Shinji: No. Non voglio ascoltare.
Shinji: Vedi? Stai fuggendo di nuovo. Nessuno può riuscire a vivere raccogliendo come biglie soltanto le cose piacevoli. Soprattutto, io non posso.
Shinji: Se ho trovato qualcosa di piacevole, se si trova qualcosa di piacevole, che c’è di male nel dedicarsi solo a quella? Che male c’è?
[…] Shinji: Sei stato tu a scegliere di fuggire. (16 – Malattia mortale, e poi…)
Solo chi si è allontanato dall’agire, chi ha negato la volontà come direbbe Schopenhauer54 (o Buddha), può essere spettatore di un duplice vittoria: su di essa e su di sé “[…] perché ha rinunciato alla propria qualità e al proprio compito di uomo, e non partecipa più a questa durata gonfia di terrore, a questa galoppata attraverso i secoli impostaci da una forma di spavento di cui non siamo, in definitiva l’oggetto e la causa.”55

Ne il Mondo come volontà e rappresentazione la volontà è un’essenza unica, inaccessibile, posta oltre il velo di Maya, di cui possiamo avere una rappresentazione adeguata solo andando al di là del fenomenico per attingere al mondo delle idee oltre il principio di individuazione. La sfida per Schopenhauer era negare la volontà stessa per via mistica o estetica (soluzione di breve durata). Il Progetto per il perfezionamento dell’uomo, sembra negare la volontà di vivere degli individui, affermando però allo stesso tempo quella delle specie, e infatti Shinji, e tutti gli esseri umani, sembrano all’improvviso proiettati oltre il velo di Maya, sembrano poter finalmente vedere con chiarezza oltre l’imbocco della Caverna di Platone. Lo sguardo non ha bisogno di rappresentazione: spazio, tempo, causa vengono meno. Non c’è oggetto per soggetto. Non c’è altro per altro. Sono la stessa cosa. Ma allora cosa ci fa Shinji su un palcoscenico? e soprattutto cosa si innesca quando, i disegni stessi dell’anime cominciano a mutare forma, tratto, colore… ma soprattutto cosa succede quando al posto della rappresentazione per disegni sullo schermo appiano le pagine stesse della sceneggiatura di ciò che dovremmo vedere?

Cosa è reale e cosa non lo è? È reale lo Shinji Ikari sul palcoscenico alle prese con se stesso e quindi con gli altri che sono lui stesso? È reale il palcoscenico? La sceneggiatura? Evangelion? Io che lo guardo? Quale di queste realtà è vera? O meglio quale rappresentazione del reale lo è? Tutte? Nessuna?

Torniamo all’inizio quindi: “Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere,” rimanere nel vago, nell’indicibile, nel soggetto a dubbio. Senza la ricerca dell’improbabile, in qualche modo vitale, il dubitatore, lo scettico “non sarebbe che uno spettro.”56Anche se chi dubita non sembra comunque molto lontano da questa condizione fantasmatica: deve dubitare fino al punto in cui non sussista più alcuna materia di cui dubitare, laddove tutto scompare, spezzando i divieti delle certezze. E Shinji, inconsapevolmente o no, dubita. Dubita perché è tutto scomparso, anche la sua silhouette. Di lui rimane un tratto rapido degli occhi, una linea che vibra al suono della voce, un disegno infantile che lo ritrae nel vuoto. Lo schermo bianco. Un soggetto senza oggetto e viceversa.

L’istinto di conservazione, la volontà di vivere, non sono una mera questione di specie, ma sono il fulcro stesso, dell’individualità e Shinji fa un passo, questo sì da superuomo: sceglie. Innesca la volontà di potenza. Non ha importanza il fatto che il reale sia illusorio o che il libero arbitrio sia una menzogna. Il corpo appena abbozzato del ragazzo fluttua nel vuoto, un tratto disegna una linea che fa da terreno e le voci dei vari personaggi della serie arrivano da fuori, “da dietro le quinte”:

Voce off: Guarda, con questo sono nati il sopra e il sotto.
Voce off: Però, con questo è sparita una libertà.
Voce off: Ora sei costretto a stare in piedi sul sotto.
Voce off: Però, questo ti tranquillizza. Perché il tuo stesso animo ha ottenuto un po’ di semplificazione.
Voce off: E così puoi camminare.
Voce off: Tale è una tua volontà.
Shinji: La mia volontà, sarebbe questa?
Voce off: Il mondo che ti circonda è il mondo in cui esistono il sopra e il sotto.
Voce off: Ma in questo modo tu puoi camminare liberamente.
Voce off: E se lo volessi, potresti anche cambiare la posizione del mondo.
Voce off: Quindi anche la posizione del mondo non resta sempre la stessa.
Voce off: È qualcosa che muta nello scorrere del tempo
Voce off: E anche tu stesso puoi cambiare.
Voce off: Poiché a dare forma a te stesso sono il tuo stesso animo e il mondo che lo circonda.
Voce off: D’altronde, questo è il tuo mondo.
Voce off: È la forma della realtà che tu percepisci.
Didascalia: “Tale è la realtà.”
[…]
Voce off: Senza un altro essere distinto da te stesso, tu non puoi comprendere la tua stessa forma.
[…]
Voce off: … È nel guardare la forma delle altre persone, che si conosce la propria forma.
Voce off: È nel guardare le mura tra sé e le altre persone, che si conosce l’immagine della propria forma.
Voce off: Senza l’esistenza delle altre persone, tu stesso sei invisibile a te stesso.
Shinji: Io posso esistere finché esistono le altre persone, non è così? Da solo, io non sarei che ovunque comunque solo. L’intero mondo sarebbe soltanto me!
Voce off : Prendendo coscienza delle differenze tra te e gli altri, dai forma a te stesso.
[…]
Shinji: Ma certo, io sono io. Solo, però, è altrettanto vero che le altre persone creano la forma del mio animo.
Voce off: Proprio così, Shinji Ikari.
Voce off: Alla fine lo hai capito Stupishinji.
Asuka: Finalmente ti sei svegliato Stupishinji. (26 – La bestia che gridò AMore nel cuore del mondo)
Shinji, risvegliato da Asuka, apre gli occhi e ritrova sé stesso alle prese con una vita da quindicenne, la scuola, gli amici, la quotidianità e non come pilota dell’Evangelion. Che sia una fantasia o meno, che si tratti di stato di veglia mentre le vicende narrate in Evangelion fin qui siano solo un sogno e non viceversa non importa. Shinji, individuo, sceglie. Sceglie di vivere, di affermare la sua particolarità, nonostante l’assurdo, nonostante l’illusione, e manda in frantumi il Progetto per il perfezionamento dell’uomo.57

Shinji insomma scambia un’illusione per un’altra, ma lo fa scegliendo. In questo è sartriano. Allo stesso modo, la scelta di Shinji è una rivolta, e in questo è camusiano. Tornando alla sua individualità, scegliendo di vivere, esercita la volontà di vivere, quella che agli Angeli è sconosciuta e si ritrova proprio nella condizione di Sisifo, in lotta ma felice.58
La questione è morale perché la rivolta di Shinji ha un valore individuale e al contempo universale: mi rivolto dunque siamo.59 È un percorso inverso rispetto a quello del progetto della SEELE: Non mi rivolto dunque non siamo. Una risposta a un imperativo categorico. Il dovere morale della rivolta nonostante l’assurdo. L’Esserci dell’Essere, anche se l’Esserci e l’Essere sono solo un incidente di percorso del Nulla, un inconveniente.
Il Nulla è come il buco di una ciambella, è pensabile solo grazie alla ciambella, ma in fondo anche la ciambella è pensabile solo grazie al buco.

note

52 Rei Ayanami, o meglio la sua terza incarnazione / clonazione, per salvare gli altri, a bordo dello 00 incorpora il penultimo Angelo Armisael – sviluppando un AT-Field inverso. Nel farlo perde la vita; quindi mentre l’AT-Field preserva l’individualità, quello inverso la elimina e tende alla creazione dell’entità collettiva alla base del Progetto del perfezionamento dell’uomo. (23 – Lacrime / Rei III)

53 o un uomo esteticamente educato, come direbbe Schiller o un uomo nuovo, come direbbe Marx.

54 Cfr. A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione.

55 E.M. Cioran, La caduta nel tempo, p. 18.

56 Ivi, p. 50.

57 Nel film Evangelion Death and Rebirth, Shinji non viene assorbito dall’anima collettiva perché, come Asuka, si trovava a bordo dell’EVA e quindi quando viene innescato il third impact e il genere umano si fonde in un’unica entità collettiva, l’AT-Field del “robot” lo protegge. Si ritroverà così solo con Asuka. Il pianeta un nuovo Eden e loro due novelli Adamo ed Eva, pronti a cogliere il frutto della conoscenza e far partire tutto da capo: ecco perché Neon Genesis Evangelion, il vangelo, la novella, delle nuova nascita.

58 Cfr. A. Camus, Il mito di Sisifo.

59 Cfr. A. Camus, Mi rivolto dunque siamo.

***

Bibliografia

Agostino d’Ippona, Confessioni, Mondadori, Milano, 1989.
Blanqui, L.A., L’eternità attraverso gli astri, Roma – Napoli, Theoria, 1983.
Borges J.L., Storia dell’eternità, trad. it. di G. Guadalupi, Milano, Adelphi, 1997.
Camus, A., Il mito di Sisifo, trad. it. di A. Borrelli, Milano, Bompiani, 2001.
Camus, A., L’Uomo in rivolta, trad. it. di L. Magrini , Milano, Bompiani. 2005.
Camus, A., Mi rivolto dunque siamo, trad. it. di G. Lagomarsino, Elèuthera 2008.
Caraco, A., Breviario del caos, trad. it. di T. Turolla, Milano, Adelphi, 1998.
Ceronetti, G. (a cura di), Qohélet o l’Ecclesiaste, Torino, Einaudi, 1998.
Cioran, E.M., La caduta nel tempo, trad. it. di T. Turolla, Milano, Adelphi, 1999.
Cioran, E.M., L’inconveniente di essere nati, trad. it. di L. Zilli, Milano, Adelphi, 1999.
Dagerman, S., Il nostro bisogno di consolazione, trad. it. di F. Ferrari, Milano, Iperborea, 1991.
Heidegger, M., Che cosa significa pensare? trad. it. di U. Ugazio e G. Vattimo, Milano, Sugarco, 1996.
Heidegger, M., Essere e Tempo, trad. it. di P. Chiodi, Milano, Longanesi, 1976.
Hume, D., Dialoghi sulla religione naturale, trad. it. di A. Attanasio, Torino, Einaudi, 1997.
Kant, I., Critica della ragion pratica, trad. it. di F. Capra, Bari, Laterza, 1997.
Marco Aurelio, Pensieri, trad. it di M.Ceva, Mondadori, Milano, 1996.
Nietzsche, F., Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, trad. it. di M. Montinari, Milano, Adelphi, 1992.
Platone, Opere complete. Timeo, trad. it. C. Giarratano, Bari, LaTerza, 1988.
Russell, B., An inquiry into meaning and truth, London, G. Allen and Unwin LTD, 1951.
Sartre, J-P., L’Essere e il Nulla, trad. it. di G. Del Bo , Milano, Il Saggiatore, 1967.
Savter F., Cioran, un angelo sterminatore, trad. it. di C.M. Valentinetti, Piacenza, Frassinelli, 1998.
Schopenhauer, A., Il mondo come volontà e rappresentazione, trad. it. di N. Palanga, Milano, Mursia, 1969.
Schopenhauer, A, Parerga e paralipomena, trad. it. di G. Colli, Milano, Adelphi, 1999.
Vico, G.B., La scienza nuova, Milano, Rizzoli BUR, 1996.
Wittgenstein, L., Tractatus logico – philosophicus, trad. it. di A.G. Conte, Torino, Einaudi, 1995.

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  3. La volontà di potenza – secondo Adler – vuole che l’Io si imponga a tutti i costi, non importa se attraverso un percorso rettilineo o contorto. Ciò che conta è che l’integrità della personalità sia mantenuta in ogni caso e a ogni costo. I bambini forniscono un ottimo esempio di questo istinto: pretendendo attenzione e dedizione totale poi, crescendo, devono abbandonare i rozzi stratagemmi dell’infanzia (pianti, urla, ecc.) per trovarne di nuovi e più raffinati. Shinji, che è un introverso e un timido, è in balia della propria volontà di potenza, lo prova il fatto che il ragazzo è disturbato dall’idea stessa che possano esistere più versioni della sua personalità, una per ogni persona che lo conosce. Dunque deve proteggere la propria individualità, definirla il più possibile, raffinarla, depurarla da ogni contaminazione esterna e lavorarla come una pietra preziosa. Dove? Nella fucina segreta che nasconde all’interno del proprio animo. Come? Introiettando (divorandole se il caso) tutte le versioni possibili di Shinji che esistono nel cuore degli altri, tutto ciò che può servire a chiarire definitivamente il profilo della propria identità. Shinji porta questo processo all’estremo analizzando minuziosamente (i dialoghi con l’altro da sé ne sono un esempio) la propria personalità per comprenderla il più razionalmente possibile, ma c’è un limite invalicabile oltre il quale la comprensione intellettuale non può andare. Serve un altro tipo di comprensione che è quella dei sensi. E se fosse necessario, per definire la propria personalità, la propria individualità, ricercarla anche nel contatto con gli altri essere umani? «Finalmente ti sei svegliato Stupishinji», gli dice Asuka ed ha ragione. Le curiosità dei sensi devono essere appagate. L’attrazione fisica verso gli altri essere umani, la voglia di stare insieme, il gioco, la scoperta della sessualità: sono tutte cose che Shinji non conosce e teme. Ma se fossero la loro scoperta la migliore delle scelte possibili? Dal fondo dell’abisso che ha scavato all’interno di se stesso per trovare la propria individualità, vede la luce in lontananza, sente la voce di una ragazza, sente il profumo dell’adolescenza e improvvisamente si rende conto che è proprio là che deve andare. Dunque sceglie. Così, secondo me, comincia il perfezionamento di Shinji Ikari.

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  5. Ho letto tutto – lavoro molto puntuale e stimolante, complimenti. Io ho già obiettato da qualche altra parte che per Deleuze fare popfilosofia sarebbe un po’ il contrario di quello che fai qui (non leggere NGE con Sartre, Camus & co, ma – per dire – usare l’AT Field per decostruire qualche concetto Lacaniano) ma questa operazione ha un altro senso e un altro valore. Grazie di averlo condiviso!

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  6. Grazie per averlo letto… Mi piacerebbe davvero fare un lavoro al contrario come dici tu… Paritre da Shinji per decostruire Camus, o per l’appunto dall’AT-field per Lacan.
    Insomma devo mettermi a lavorare sul 2, speculare e complementare.

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  7. Bel lavoro complimenti (e quanti spunti…), la mia chiave di lettura preferita è quella corroborata da una frase dello stesso Hideaki Anno, cioè che Evangelion non serve a una persona normale con relazioni normali, non ne imparerebbe niente, è stato fatto pensando esplicitamente a persone con problemi relazionali per in qualche modo aiutarli ad uscirne, per dirgli che “You Are Not Alone” (come il titolo del primo Rebuild of Evangelion”), un’opera davvero catartica dunque
    a questo punto però bisognerebbe interrogarsi sul successo pop della serie, siamo davvero messi tutti così male ;)?

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  8. Graie… Siamo messi così male da quando esiste il contratto sociale. Reprimere l’istinto animale sacrificandolo al quieto vivere e giustificandolo con la morale non può far altro che far di noi degli psicopatici :-/

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  9. Temevo di essere rimasta l’unica a parlare ancora così intensamente di Evangelion (almeno in Italia, e almeno della serie originale), e invece grazie al post su Nazione Indiana ho scoperto di no, che bello. Anch’io ci sto sfornando una serie di post, alcuni seri, altri assolutamente assurdi, ma certamente l’ultimo spiega perché lo amo così tanto. Ho salvato il post, dopo lo leggerò con calma. Sicuramente vedrò anche il resto del tuo blog.

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  10. Grazie… il post, anzi i post (sono 7) sono la divisione in parti del testo che scrissi per il volume antologico curato da Simone Regazzoni, Pop Filosofia… Quando Simone mi chiese di partecipare cominciai a pensare di quale “oggetto pop” mi sarei occupato. Avevo in mente diverse cose, serie tv, cartoni animati, film. Ma poi scartai tutto e scelsi Evangelion, era naturale, quasi ontologico, che fosse quello l’oggetto perfetto per uno scandaglio filosofico perché a sua volta è uno scandaglio.

    Passa da kaizenology quando vuoi… anche se ultimamente purtroppo sono un po’ latitante da queste parti. Ma tornerò. Nel frattempo ti lascio nelle sapienti e divertenti mani del ribelle populista, del qualunquista rivoluzionario, del poeta camionario: Truck Driver

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