Eine Anime für Alle und Keinen (7 – the end of Evangelion)


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Gnoseologia e libertà si intersecano negli ultimi due episodi. Ed è qui che Evangelion diventa opera metafisica, è qui che rompe definitivamente gli argini del pop – molti fan hanno storto il naso e chiesto a viva voce un nuovo finale -.
Shinji Ikari, come tutti gli esseri umani, è stato assorbito dall’anima collettiva, si è evoluto. L’altro lo ha assorbito, l’altro non c’è più, o meglio l’altro coincide perfettamente con il sé, l’AT-Field è stato invertito e i confini dell’individualità sono stati aboliti.
Shinji si trova su un palcoscenico – “lo Shinji Ikari che è nell’animo di Misato Katsuragi, lo Shinji Ikari dentro Asuka Soryu, lo Shinji Ikari dentro Rei Ayanami, lo Shinji Ikari dentro Gendo Ikari. Ognuno di essi è un diverso Shinji Ikari, ma sono tutti il vero Shinji Ikari.” – La sfida sembra vinta, il progetto per il perfezionamento dell’uomo ha fatto in modo che il pilota dell’EVA non abbia più paura degli Shinji Ikari contenuti nelle altre persone. Non ci sono barriere, non c’è AT-Field, tra sé e gli altri. Cosa sono gli altri allora? Sono me? E io cosa sono? Un oggetto per quale soggetto? Se non c’è il soggetto, l’oggetto che fine fa? Come conosco il mondo?

Shinji: Che cosa sono io? Questo sono io… Una forma che mi mostra agli altri. Un simbolo di me stesso. Anche questo (un disegno ben delineato N.d.A.) e questo (uno scarabocchio con i tratti di Shinji N.d.A.) e questo (un ideogramma N.d.A.). Sono tutte mie rappresentazioni. Sono tutte immagini che danno agli altri coscienza di me. Ma allora cosa sono io? Questo sono io? Il mio vero io. Il mio falso io.
Rei: Tu sei tu. In questo però, possiedi un tuo proprio confine e una tua propria dimensione. (26 – La bestia che gridò AMore nel cuore del mondo)

Il darsi di un oggetto per un soggetto. Il “darsi” avviene attraverso il principio di individuazione, spazio – tempo – causalità, attraverso la rappresentazione quindi. Diventando un’unica cosa, il genere umano si è affermato fuggendo da se stesso, dalla sua stessa natura, da ciò che lo rende umano: la singolarità. La fine di Evangelion sembrerebbe raccontare che la fuga (che sia quella di Shinji o del genere umano) sia inevitabile – o si fugge verso l’annientamento o si fugge verso l’evoluzione, siamo obbligati ad affermare noi stessi scappando (non riuscendo a vivere con noi stessi.) Non si può evitare di farlo, perché la paura è così grande che non si può farne a meno se si vuole compiere anche la più piccola delle azioni. E la fuga è l’azione più istintiva e razionale allo stesso tempo, davanti al terrore (lo stesso terrore da cui protegge l’AT-Field). È proprio Shinji a rivelare a se stesso di aver scelto la fuga. La volontà lo ha spinto all’azione.

Shinji: Io ho paura di essere odiato dagli altri.
Shinji: Tu hai paura di venire ferito e di soffrire.
Shinji: Di chi è la colpa?
Shinji: La colpa è di mio padre. Mio padre, che mi ha abbandonato.
Shinji: La colpa è mia.
(un flashback ricorda l’occasione in cui Gendo ha lodato Shinji per una missione riuscita.)
Shinji: da allora hai continuato a vivere rimuginando su quella gioia?
Shinji: Seguitando a credere in quelle parole, potrò continuare a vivere.
Shinji: Continuando a ingannare te stesso?
Shinji: È quello che fanno tutti. È così che le persone riescono a vivere.
Shinji: Senza l’autoconvinzione di essere nel giusto, vivere non sarebbe possibile.
Shinji: In questo mondo ci sono troppi motivi di sofferenza perché io vi possa vivere.
[…]
Shinji: Hai sempre chiuso gli occhi e tappato le orecchie di fronte alle cose spiacevoli.
Shinji: No. Non voglio ascoltare.
Shinji: Vedi? Stai fuggendo di nuovo. Nessuno può riuscire a vivere raccogliendo come biglie soltanto le cose piacevoli. Soprattutto, io non posso.
Shinji: Se ho trovato qualcosa di piacevole, se si trova qualcosa di piacevole, che c’è di male nel dedicarsi solo a quella? Che male c’è?
[…] Shinji: Sei stato tu a scegliere di fuggire. (16 – Malattia mortale, e poi…)
Solo chi si è allontanato dall’agire, chi ha negato la volontà come direbbe Schopenhauer54 (o Buddha), può essere spettatore di un duplice vittoria: su di essa e su di sé “[…] perché ha rinunciato alla propria qualità e al proprio compito di uomo, e non partecipa più a questa durata gonfia di terrore, a questa galoppata attraverso i secoli impostaci da una forma di spavento di cui non siamo, in definitiva l’oggetto e la causa.”55

Ne il Mondo come volontà e rappresentazione la volontà è un’essenza unica, inaccessibile, posta oltre il velo di Maya, di cui possiamo avere una rappresentazione adeguata solo andando al di là del fenomenico per attingere al mondo delle idee oltre il principio di individuazione. La sfida per Schopenhauer era negare la volontà stessa per via mistica o estetica (soluzione di breve durata). Il Progetto per il perfezionamento dell’uomo, sembra negare la volontà di vivere degli individui, affermando però allo stesso tempo quella delle specie, e infatti Shinji, e tutti gli esseri umani, sembrano all’improvviso proiettati oltre il velo di Maya, sembrano poter finalmente vedere con chiarezza oltre l’imbocco della Caverna di Platone. Lo sguardo non ha bisogno di rappresentazione: spazio, tempo, causa vengono meno. Non c’è oggetto per soggetto. Non c’è altro per altro. Sono la stessa cosa. Ma allora cosa ci fa Shinji su un palcoscenico? e soprattutto cosa si innesca quando, i disegni stessi dell’anime cominciano a mutare forma, tratto, colore… ma soprattutto cosa succede quando al posto della rappresentazione per disegni sullo schermo appiano le pagine stesse della sceneggiatura di ciò che dovremmo vedere?

Cosa è reale e cosa non lo è? È reale lo Shinji Ikari sul palcoscenico alle prese con se stesso e quindi con gli altri che sono lui stesso? È reale il palcoscenico? La sceneggiatura? Evangelion? Io che lo guardo? Quale di queste realtà è vera? O meglio quale rappresentazione del reale lo è? Tutte? Nessuna?

Torniamo all’inizio quindi: “Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere,” rimanere nel vago, nell’indicibile, nel soggetto a dubbio. Senza la ricerca dell’improbabile, in qualche modo vitale, il dubitatore, lo scettico “non sarebbe che uno spettro.”56Anche se chi dubita non sembra comunque molto lontano da questa condizione fantasmatica: deve dubitare fino al punto in cui non sussista più alcuna materia di cui dubitare, laddove tutto scompare, spezzando i divieti delle certezze. E Shinji, inconsapevolmente o no, dubita. Dubita perché è tutto scomparso, anche la sua silhouette. Di lui rimane un tratto rapido degli occhi, una linea che vibra al suono della voce, un disegno infantile che lo ritrae nel vuoto. Lo schermo bianco. Un soggetto senza oggetto e viceversa.

L’istinto di conservazione, la volontà di vivere, non sono una mera questione di specie, ma sono il fulcro stesso, dell’individualità e Shinji fa un passo, questo sì da superuomo: sceglie. Innesca la volontà di potenza. Non ha importanza il fatto che il reale sia illusorio o che il libero arbitrio sia una menzogna. Il corpo appena abbozzato del ragazzo fluttua nel vuoto, un tratto disegna una linea che fa da terreno e le voci dei vari personaggi della serie arrivano da fuori, “da dietro le quinte”:

Voce off: Guarda, con questo sono nati il sopra e il sotto.
Voce off: Però, con questo è sparita una libertà.
Voce off: Ora sei costretto a stare in piedi sul sotto.
Voce off: Però, questo ti tranquillizza. Perché il tuo stesso animo ha ottenuto un po’ di semplificazione.
Voce off: E così puoi camminare.
Voce off: Tale è una tua volontà.
Shinji: La mia volontà, sarebbe questa?
Voce off: Il mondo che ti circonda è il mondo in cui esistono il sopra e il sotto.
Voce off: Ma in questo modo tu puoi camminare liberamente.
Voce off: E se lo volessi, potresti anche cambiare la posizione del mondo.
Voce off: Quindi anche la posizione del mondo non resta sempre la stessa.
Voce off: È qualcosa che muta nello scorrere del tempo
Voce off: E anche tu stesso puoi cambiare.
Voce off: Poiché a dare forma a te stesso sono il tuo stesso animo e il mondo che lo circonda.
Voce off: D’altronde, questo è il tuo mondo.
Voce off: È la forma della realtà che tu percepisci.
Didascalia: “Tale è la realtà.”
[…]
Voce off: Senza un altro essere distinto da te stesso, tu non puoi comprendere la tua stessa forma.
[…]
Voce off: … È nel guardare la forma delle altre persone, che si conosce la propria forma.
Voce off: È nel guardare le mura tra sé e le altre persone, che si conosce l’immagine della propria forma.
Voce off: Senza l’esistenza delle altre persone, tu stesso sei invisibile a te stesso.
Shinji: Io posso esistere finché esistono le altre persone, non è così? Da solo, io non sarei che ovunque comunque solo. L’intero mondo sarebbe soltanto me!
Voce off : Prendendo coscienza delle differenze tra te e gli altri, dai forma a te stesso.
[…]
Shinji: Ma certo, io sono io. Solo, però, è altrettanto vero che le altre persone creano la forma del mio animo.
Voce off: Proprio così, Shinji Ikari.
Voce off: Alla fine lo hai capito Stupishinji.
Asuka: Finalmente ti sei svegliato Stupishinji. (26 – La bestia che gridò AMore nel cuore del mondo)
Shinji, risvegliato da Asuka, apre gli occhi e ritrova sé stesso alle prese con una vita da quindicenne, la scuola, gli amici, la quotidianità e non come pilota dell’Evangelion. Che sia una fantasia o meno, che si tratti di stato di veglia mentre le vicende narrate in Evangelion fin qui siano solo un sogno e non viceversa non importa. Shinji, individuo, sceglie. Sceglie di vivere, di affermare la sua particolarità, nonostante l’assurdo, nonostante l’illusione, e manda in frantumi il Progetto per il perfezionamento dell’uomo.57

Shinji insomma scambia un’illusione per un’altra, ma lo fa scegliendo. In questo è sartriano. Allo stesso modo, la scelta di Shinji è una rivolta, e in questo è camusiano. Tornando alla sua individualità, scegliendo di vivere, esercita la volontà di vivere, quella che agli Angeli è sconosciuta e si ritrova proprio nella condizione di Sisifo, in lotta ma felice.58
La questione è morale perché la rivolta di Shinji ha un valore individuale e al contempo universale: mi rivolto dunque siamo.59 È un percorso inverso rispetto a quello del progetto della SEELE: Non mi rivolto dunque non siamo. Una risposta a un imperativo categorico. Il dovere morale della rivolta nonostante l’assurdo. L’Esserci dell’Essere, anche se l’Esserci e l’Essere sono solo un incidente di percorso del Nulla, un inconveniente.
Il Nulla è come il buco di una ciambella, è pensabile solo grazie alla ciambella, ma in fondo anche la ciambella è pensabile solo grazie al buco.

note

52 Rei Ayanami, o meglio la sua terza incarnazione / clonazione, per salvare gli altri, a bordo dello 00 incorpora il penultimo Angelo Armisael – sviluppando un AT-Field inverso. Nel farlo perde la vita; quindi mentre l’AT-Field preserva l’individualità, quello inverso la elimina e tende alla creazione dell’entità collettiva alla base del Progetto del perfezionamento dell’uomo. (23 – Lacrime / Rei III)

53 o un uomo esteticamente educato, come direbbe Schiller o un uomo nuovo, come direbbe Marx.

54 Cfr. A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione.

55 E.M. Cioran, La caduta nel tempo, p. 18.

56 Ivi, p. 50.

57 Nel film Evangelion Death and Rebirth, Shinji non viene assorbito dall’anima collettiva perché, come Asuka, si trovava a bordo dell’EVA e quindi quando viene innescato il third impact e il genere umano si fonde in un’unica entità collettiva, l’AT-Field del “robot” lo protegge. Si ritroverà così solo con Asuka. Il pianeta un nuovo Eden e loro due novelli Adamo ed Eva, pronti a cogliere il frutto della conoscenza e far partire tutto da capo: ecco perché Neon Genesis Evangelion, il vangelo, la novella, delle nuova nascita.

58 Cfr. A. Camus, Il mito di Sisifo.

59 Cfr. A. Camus, Mi rivolto dunque siamo.

***

Bibliografia

Agostino d’Ippona, Confessioni, Mondadori, Milano, 1989.
Blanqui, L.A., L’eternità attraverso gli astri, Roma – Napoli, Theoria, 1983.
Borges J.L., Storia dell’eternità, trad. it. di G. Guadalupi, Milano, Adelphi, 1997.
Camus, A., Il mito di Sisifo, trad. it. di A. Borrelli, Milano, Bompiani, 2001.
Camus, A., L’Uomo in rivolta, trad. it. di L. Magrini , Milano, Bompiani. 2005.
Camus, A., Mi rivolto dunque siamo, trad. it. di G. Lagomarsino, Elèuthera 2008.
Caraco, A., Breviario del caos, trad. it. di T. Turolla, Milano, Adelphi, 1998.
Ceronetti, G. (a cura di), Qohélet o l’Ecclesiaste, Torino, Einaudi, 1998.
Cioran, E.M., La caduta nel tempo, trad. it. di T. Turolla, Milano, Adelphi, 1999.
Cioran, E.M., L’inconveniente di essere nati, trad. it. di L. Zilli, Milano, Adelphi, 1999.
Dagerman, S., Il nostro bisogno di consolazione, trad. it. di F. Ferrari, Milano, Iperborea, 1991.
Heidegger, M., Che cosa significa pensare? trad. it. di U. Ugazio e G. Vattimo, Milano, Sugarco, 1996.
Heidegger, M., Essere e Tempo, trad. it. di P. Chiodi, Milano, Longanesi, 1976.
Hume, D., Dialoghi sulla religione naturale, trad. it. di A. Attanasio, Torino, Einaudi, 1997.
Kant, I., Critica della ragion pratica, trad. it. di F. Capra, Bari, Laterza, 1997.
Marco Aurelio, Pensieri, trad. it di M.Ceva, Mondadori, Milano, 1996.
Nietzsche, F., Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, trad. it. di M. Montinari, Milano, Adelphi, 1992.
Platone, Opere complete. Timeo, trad. it. C. Giarratano, Bari, LaTerza, 1988.
Russell, B., An inquiry into meaning and truth, London, G. Allen and Unwin LTD, 1951.
Sartre, J-P., L’Essere e il Nulla, trad. it. di G. Del Bo , Milano, Il Saggiatore, 1967.
Savter F., Cioran, un angelo sterminatore, trad. it. di C.M. Valentinetti, Piacenza, Frassinelli, 1998.
Schopenhauer, A., Il mondo come volontà e rappresentazione, trad. it. di N. Palanga, Milano, Mursia, 1969.
Schopenhauer, A, Parerga e paralipomena, trad. it. di G. Colli, Milano, Adelphi, 1999.
Vico, G.B., La scienza nuova, Milano, Rizzoli BUR, 1996.
Wittgenstein, L., Tractatus logico – philosophicus, trad. it. di A.G. Conte, Torino, Einaudi, 1995.

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Eine Anime für Alle und Keinen (4 di x)


More about Pop filosofiaUn ragazzo venuto da fuori

L’EVA è a sua volta un soggetto per un oggetto e viceversa: Come dice Shinji a se stesso: “ogni oggetto d’osservazione ha però natura molteplice ed esistono quindi molteplici Shinji Ikari […]” Lo Shinji Ikari che è dentro l’Evangelion è però forse quello di cui aver più paura, perché è la summa dei molteplici Shinji Ikari. E lo Shinji Ikari che si confronta con gli altri, è lo Shinji che supere la propria barriera e quella degli altri (l’AT-Field).

L’unico altro momento in cui Shinji abbatte la barriera autistica è quando viene in contatto con il fifth children, il quinto pilota designato. Un ragazzo venuto da fuori, mandato dalla SEELE per sostituire Asuka ormai non più in grado di pilotare l’EVA 02. Il suo nome è Kaworu Nagisa (23 – Lacrime). Da subito stringe un rapporto d’amicizia ed empatia molto forte con Shinji. Il nuovo arrivato sembra l’unico con cui il protagonista si senta libero di parlare e di comunicare, come se non avesse più bisogno di corazze. Il tempo che trascorrono assieme è piacevole e Shinji si sente per la prima volta a suo agio, come se nel dilemma del porcospino avesse capito quale sia la distanza e la prossimità ideale nei riguardi dell’altro per stare assieme senza ferirsi. Con molta semplicità e delicatezza Kaworu dice a Shinji di volergli bene.

Kaworu: Senza conoscere altre persone non è possibile né tradirsi né ferirsi l’un l’altro, però… non è neanche possibile dimenticare la solitudine. Gli esseri umani non potranno mai affrancarsi dalla solitudine… del resto ogni uomo è comunque solo, ed è soltanto perché è possibile dimenticarlo che gli uomini riescono a vivere.

[…] Gli esseri umani provano continuamente dolore dell’animo… è perché l’animo soffre tanto facilmente che anche il vivere risulta doloroso… e in particolare il tuo animo è delicato come il vetro… meritevole d’affezione… cioè ti voglio bene. (24 – L’ultimo messaggero sacrificale)

Per dirla con Heidegger, Kaworu opera un aprimento essenziale dell’Esserci al con-essere. Il suo Esserci però ha una caratteristica che apre contemporaneamente al non-essere. Come già visto Angeli e umani, se pur simili, non possono convivere. Solo il più adatto alla vita può sopravvivere e Kaworu Nagisa è l’ultimo Angelo, il diciassettesimo, Tabris. La sua missione, come per i suoi simili, è arrivare nel cuore sotterrano di Neo Tokyo 3 per entrare in contatto con Adam. Facendo così, però, scatenerebbe la fine del mondo e l’estinzione definitiva della razza umana. Non ha scelta deve farlo, come hanno provato a farlo gli altri Angeli prima di lui. Per gli Angeli tornare al principio, ad Adam, significa sopravvivere, distruggere l’umano perché la convivenza non è possibile. Solo una delle due forme evolutive è adatta alla vita.

Imperativi

Per Kant, gli esseri umani occupano un posto particolare nella creazione, e la moralità è l’insieme dei comandamenti della ragione, o imperativi, da cui tutti derivano obbligazioni e doveri. Il dovere è la necessità di agire in rispetto della legge dettata dall’imperativo categorico, cioè il “modello” della razionalità da cui scaturiscono le esigenze morali. Un atto può avere un contenuto morale se, e solo se, è eseguito con riguardo verso il senso di dovere morale; non è sufficiente che l’atto sia consistente con il dovere, deve essere intrapreso in nome dell’adempimento del dovere. E gli Angeli a loro volta occupano un posto particolare nella creazione, per loro l’imperativo categorico è arrivare ad Adam, cancellando l’umano. Per loro, come per l’uomo, l’imperativo categorico quindi è sopravvivere. È razionale? È istintivo?

Il famoso epitaffio tratto dalla Critica della ragion pratica sulla tomba di Kant: Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me, verrebbe meno se l’imperativo categorico fosse puro e semplice istinto di sopravvivenza: l’unica morale possibile sarebbe infatti la dura legge dell’evoluzione, il cielo stellato incombe (spaventoso) su di me e l’istinto di conservazione è dentro di me. Mors tua vita mea.

Anche se troverà Lilith

Eine Anime für Alle und Keinen (2 di x)

More about Pop filosofia Neon Genesis Evangelion? Carta carbone da Wikipedia:

Shin Seiki Evangerion, comunemente noto anche come Evangelion, è un anime di 26 episodi del 1995 creato dallo Studio Gainax, sceneggiato e diretto da Hideaki Anno. È uno dei maggior successi (sia commerciale che di critica) dell’animazione giapponese, ed è considerato tra i migliori anime di sempre. Parallelamente alla serie televisiva è stato ideato un adattamento manga per opera di Yoshiyuki Sadamoto (il character designer della serie), che presenta alcune differenze nello sviluppo della sceneggiatura. Nel corso degli anni, sono stati inoltre pubblicati da altri autori tre manga spin-off della serie animata.

Uno dei maggior successi (sia commerciale che di critica) dell’animazione giapponese.” Si tratta di una descrizione metatestualmente relativa alla cornice stessa in cui si trova questo testo: una raccolta di scritti che osserva la cultura pop attraverso lo specchio della filosofia.

Evangelion è un opera pop. Ha riscosso successo in patria e, in un secondo, tempo nel resto del mondo. Ha avuto delle ripercussioni culturali, ha innescato alcuni meccanismi di consumo relativi al merchandising e si è transmedialmente “spalmato” tra vari mezzi di comunicazione (cinema, videogiochi, web, fanfiction, fumetti, modellismo, giochi di ruolo ecc. ecc.). Ma questo lo rende davvero, intimamente, pop?

In termini macroscopici, quali sono le caratteristiche del pop? La complessità narrativa rientra tra esse?

Potremmo azzardare un “sì certo” come risposta. Eppure Evangelion ha una complessità drammatica che implica una stratificazione concentrica di possibili interpretazioni e comprende un’altrettanto intricata serie di riferimenti ipertestuali e interdisciplinari da far impallidire il più spericolato spettacolo teatrale d’avanguardia. Non solo; la fabula e l’intreccio, si fanno talmente ingarbugliati e densi da sfiorare l’incomprensibile. La mole di dettagli più o meno velati o sottaciuti, per non parlare di quelli del tutto omessi, è tale da rendere, Evangelion un’opera bifronte, essoterica ed esoterica come lo Zarathustra. Per comprendere certi snodi della trama, spesso bisogna ricorrere ad appoggi esterni, al lavoro di qualche fan che con pazienza e perizia si sia messo a guardare e riguardare ogni singolo episodio, esplorando ogni dialogo, anche il più banale, alla ricerca di un dettaglio, di un appiglio, o che abbia raccolto interviste e interventi dell’autore, Hideaki Anno, in varie convention o magazine per appassionati. Evangelion ha bisogno di una guida alla visione e della prontezza di riflessi tipica di uno spettatore allenato a usare il telecomando. Play. Pausa. Consultazione della “guida”, Play, Pausa…

Un disco dei Beatles, per quanto complesso possa essere negli arrangiamenti, nei testi, nella costruzione della melodia e del ritmo, non ha bisogno dello stesso livello di attenzione, di analisi, di conoscenza della materia, di studio di un disco di Arnold Schönberg per essere apprezzato. Evangelion è quindi un’anomalia. Ha il successo di un disco dei Beatles (con le dovute proporzioni) ma la “difficoltà” di un’opera dodecafonica. Lo stesso succede per esempio in “opere pop” come Lost, John from Cincinnati, Flash Forward, Fringe, Battlestar Galactica, o in anime e manga come Eden, Death Note, RahXePhon, Berserk ecc. ecc.

Neon Genesis Evangelion però risale al ‘95, quando ancora i tubi catodici trasmettevano Beverly Hills 90210 e Dawson’s Creek, il cui intreccio era tutto tranne che complesso, e il pubblico generico non era abituato a certe tematiche e costruzioni narrative. Evangelion poi è un anime, un “cartone animato”, e per quanto oggi sembri ridicolo ritenere l’animazione consumo esclusivo dei più giovani, nel decennio scorso si faticava ancora, per lo meno ad alcune latitudini, ad abbattere questo pregiudizio; e infine comunque, con la mappa adeguata l’Isola di Lost è esplorabile, Evangelion no. Né con la “guida”, né affrontando le eventuali letture propedeutiche che vanno dalla Cabala, alla Bibbia, da Freud a Schopenhauer, da Kierkegaard a Nietzsche da Kant a Buddha, da Darwin a Heidegger… Insomma un prodotto difficilmente inquadrabile nella categoria del pop tout court, che però ne ha lo stesso le caratteristiche e la portata. Si tratta di un’opera olistica. La somma delle parti che la compongono è più o altro dal tutto. Non è un caso quindi che rivedere Evangelion, dopo una riflessione post rem sui suoi livelli di lettura, possa renderlo diverso rispetto alla prima visione. Gli Eva, gli Angeli, l’AT-Field, i personaggi stessi possono assumere un valore metaforico che trascende il contenuto formale di ciò che stiamo vedendo.

Oggetto per un soggetto

Già da subito, lo scontro tra l’angelo Sachiel e l’Eva 01 (1- L’attacco dell’Angelo, 2 – Soffitti sconosciuti) potrebbe essere letto, parzialmente ma legittimamente, come una riflessione sul tema dell’altro. Chi è l’altro? Cosa comporta venire in contatto con l’altro? Cosa cerco nell’altro?

In Evangelion sembrerebbe un topos centrale, tanto da ritornare quasi in ogni episodio e venire esplicitata nel terzo episodio da uno scambio tra due personaggi principali della serie, la dottoressa Ritsuko Akagi e il capitano Misato Katsuragi. Parlando di Shinji, Ritsuko dice a Misato che il ragazzo sta vivendo il dilemma del porcospino: tanto più due esseri si avvicinano tra loro, molto più probabilmente si feriranno l’uno con l’altro. (3 – Un telefono che non squilla) Allegoricamente potrebbe succedere proprio questo nello scontro: l’Eva 01 si avvicina all’Angelo, all’altro, ne supera la barriera emotiva, l’AT-Field, e viene in contatto con il nucleo, con l’essenza intima dell’altro. La cosa però è molto, molto dolorosa. Addirittura letale per uno dei due. A restare in piedi sarà il più adatto a vivere.

Ma cosa significa il più adatto a vivere? Più avanti nel corso della narrazione si scopre, o meglio si intuisce, che gli Angeli, i “mostri” che attaccano l’umanità, i nemici, gli altri: non sono che diverse possibilità di esistenza, altre forme di una possibile evoluzione dell’umano. Solo il più adatto può sopravvivere, la convivenza è impossibile. Adatto non significa più forte. Non è una questione darwiniana, è semmai una questione di volontà, al limite del nietzschiano. Il più adatto alla vita è colui il quale vuole vivere. Gli spunti forniti dall’anime, però come già detto non sono affatto lineari, e il carattere stesso del protagonista rimette in discussione – di nuovo – tutto.

Shinji non sa perché vive e non sa se vuole vivere. La vita fa male. Vivere significa entrare in contatto con gli altri, e allora la felicità è fare quello che agli altri fa piacere, fare quello che dicono gli altri per piacere agli altri ed essere accettati appagando il proprio bisogno di consolazione. Ma è così? Per quale motivo Shinji entra nell’Evangelion, se la cosa, può essere dolorosa per il corpo quanto per la mente?

Shinji, si dimostra del tutto incapace di relazionarsi, fisicamente e sentimentalmente con chiunque, la sua barriera difensiva, il suo AT-Field, è perennemente alzata e quando tenta di abbassarla prova dolore. Shinji si difende proprio come un riccio, e quando tenta di avvicinarsi a qualcuno si fa e fa male. Per questo anche nei momenti di tensione erotica il contatto non avviene, come quando prova a baciare l’altro pilota dell’EVA, Asuka, nel sonno e poco prima che le sue labbra tocchino quelle di lei si ritira. Allo stesso modo, all’inizio del film prodotto dopo la conclusione regolare della serie , Shinji, seduto al capezzale di Asuka in coma, dapprima prova a scuoterla per farla rinvenire, urlando che ha bisogno di lei, poi quando non ci riesce, si allontana e si masturba osservando il suo corpo. Il suo sentimento confuso ma potente nei confronti della ragazza, lo respinge. Non la tocca, non la bacia, non le parla. Si allontana ed esprime il suo amore per lei senza contatto per poi mormorare tra sé: “sono un verme”. (Neon Genesis Evangelion: Death and Rebirth: Rebirth)

Note:
Il carattere di Shinji potrebbe essere letto come eventuale metafora del fenomeno degli hikikomori, gli adolescenti giapponesi barricati per anni nelle loro camere e isolati dal mondo.
Wikipedia è un buon punto di partenza. Altrettanto interessante è il lavoro svolto dal sito italiano dedicato all’anime: http://www.evaitalia.tk/
L’eccezione a conferma della regola era, nel caso dei telefilm, X-Files e in quello dei manga, Alita.
C’è voluto molto più che l’avvento dei Simpson per sradicare l’equazione cartone animato = prodotto esclusivamente per l’infanzia o per l’adolescenza.
Absolute Terror Field: lo scudo protettivo generato da EVA e Angeli. Nelle ultime puntate viene spiegato che L’AT-Field è anche la barriera dell’animo, è il confine dell’individualità umana. Hideaki Anno ha preso a prestito il termine dalle teorie psichiatriche relative all’autismo e allo stato di terrore assoluto in condizioni di violazione grave del dominio dell’Io.
A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, p. 396. “Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.”
Asuka con cui Shinji con cui condivide diverse caratteristiche relazionali e psicologiche.
Abbiamo scelto di non considerare, se non in via del tutto marginale, i lungometraggi successivi alla serie, realizzati per cercare di spiegare, senza troppo successo, i molti punti oscuri della trama e soprattutto del contestato finale. Come annotava Wittgenstein “Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere” e provare a spiegare la fine di Evangelion è non tacere nonostante non si possa parlare.