Quanto alla visone filosofica orientale sono propenso a pensare che non sia possibile appropriasene se non in chiave strettamente fenomenologica di ampliamento dell’orizzonte conoscitivo. La lunga crepa che divide l’Oriente dall’Occidente nasce in seno al diverso atteggiamento nei confronti della volontà. Negazione e affermazione come descritto da Schopenhauer (in chiave exotica se me lo concedete) nel primo caso e da Nietzsche nel secondo. Gli archetipi stessi delle due civiltà rimandano a questa dicotomia. Non è forse la brama, il desiderio di conoscenza (una pulsione della volontà) a spingere Adamo a cogliere il frutto proibito? Millenni di atteggiamento contrapposto hanno divaricato spropositatamente i binari lungo cui abbiamo corso, distorcendoli e rendendoli impraticabili se non solo ai fini di osservazione e speculazione meramente teoretica. Le direzioni intraprese agli albori della storia hanno avuto una causa identica: il dolore. Ciò che ne è conseguito ha fatto in modo che l’uomo si ponesse di fronte a esso in modi diametralmente opposti. Alimentare il desiderio per sopperire alla sofferenza, eliminarlo ritenendolo causa stessa del dolore. Elementi in comune sono allora solo gli esordi e un certo tipo di ascesi. Santi e Bodhisattva che alla pratica della sofferenza (la vita) oppongono un certo grado di follia. Fermare il tempo nel tentativo di ricongiungere l’esserci con l’essere, con il vuoto. Un fallimento. Sia che si tenti di alimentare la volontà sia che si tenti di soffocarla, facciamo il suo gioco. Solo, noi occidentali non siamo in grado di fare la seconda cosa ma siamo bravissimi nell’applicarci con disperata efferatezza nella prima. Differenze ontologiche? Non credo. Differenze fenomenologiche incolmabili? Più probabile.
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Le vacanze intelligenti del filosofo accademico italiano
Riportiamo un breve scritto di Simone Regazzoni sulla querelle Pop Filosofia / pop nibelungico delle sfilate naziste / vacanze intelligenti:
Nel chiuso di una stanza con la testa in vacanza è il titolo di un libro di filosofia di qualche anno fa che riprende due versi di Sandro Penna. La filosofia può andare in vacanza? Questione futile, all’apparenza. Buona per un telegiornale estivo a corto di notizie. Che tuttavia ha guadagnato una posizione di assoluto rilievo nel dibattito, caldissimo, attorno alla pop filosofia sviluppatosi in Italia negli ultimi anni. Sarà che il pop evoca, all’accademico nostrano – poco avvezzo a studiare la cultura di massa e capace di confondere fumetti e graphic novel, Un posto al sole e Lost – qualcosa di esotico. Fatto sta che nel giugno 2008 la filosofa Nicla Vassallo in un articolo apparso sul Sole24ore scriveva: “Ma il lettore di pop è già sotto l’ombrellone di una spiaggia affollata, sta leggendo un libro pop e non deve concentrarsi”. In quell’articolo, in cui con toni apocalittici spiegava come “sopravvivere al pop pensiero”, Nicla Vassallo confessava di non amare né la pop filosofia né le fiumane estive, e concludeva, ispiratissima: “Lontana dalle fiumane estive, per divertissement ascolto Marin Marais – di cui la filosofia pop non si occuperà probabilmente mai”. Ma l’avversione dell’accademica nostrana per la pop filosofia fu, invero, un’avversione stagionale – e il suo amore per Marin Marais della durata di un amore estivo. Perché già nel 2009 troviamo Nicla Vassallo sopravvissuta così bene al pop pensiero da esserci finita dentro con un saggio su Matrix in cui proclama: “Matrix sprona ogni spettatore a filosofare”. Se ne erano già accorti altri, e da qualche anno: ma va bene lo stesso. L’accademico italiano ha i suoi tempi di reazione. E vanno rispettati. Quel che importa è che alla fine Nicla Vassallo abbandona Marin Marais per scendere in spiaggia con Keanu Reeves. Come non capirla? E non potrà allora che trattarsi, per citare un memorabile film con Alberto Sordi, di “vacanze intelligenti”.
Cosa che troverebbe d’accordo un altro accademico nostrano, Maurizio Ferraris, che in un articolo dal titolo minimalista Critica della ragione pop del giugno 2010, dopo aver mescolato a dovere, in forma di monito, il “pop nibelungico delle sfilate naziste” e “la società televisiva” in cui “la filosofia pop è dilagata”, concede, magnanimo, che si può fare pop filosofia (lui stesso, confessa, in più occasioni lo ha fatto) ma occorre ricordarsi “che è una vacanza intelligente, e un aiuto a capire un po’ del mondo in cui viviamo, ma non è niente di più di questo”. Che è un po’ come dire a quanti prendono sul serio la pop filosofia e provano a definirla in termini rigorosi come una nuova forma di avanguardia filosofica: “Ragazzi, da tempo pratico e voglio continuare a praticare in santa pace la pop filosofia, con ironia e leggerezza: vedete di non disturbare le mie vacanze intelligenti con le vostre elucubrazioni. Se state buoni potrei anche invitarvi per qualche giorno nel mio resort”. Non si tratta di un colpo di sole: i timori dell’accademico nostrano in vacanza sono ben fondati. Ha capito che se per caso passasse l’idea che la pop filosofia non è una vacanza intelligente per il club degli accademici affermati e annoiati, occorrerebbe allora cominciare a studiare seriamente la pop culture (e l’accademico in vacanza sa che non è un lavoro di qualche settimana) e magari provare ad articolare uno straccio di teoria in merito.
Edgar Morin, in un classico del 1962 sulla cultura di massa, Lo spirito del tempo, polemizzando con “l’intellighenzia colta” che teme di essere spodestata dalla cultura di massa scriveva che “occorre far letteralmente saltare la piazzaforte – il Montségur – da cui siamo abituati a contemplare questi problemi, e ricondurre il dibattito in luogo aperto”. Obiettivo preliminarissimo, certo. E tuttavia essenziale. Una pop filosofia che si concepisce come nuova forma seria di filosofia che porta il polemos filosofico nello spazio della cultura pop avrà oggi quale suo essenziale e preliminarissimo obiettivo quello di far letteralmente saltate il resort esclusivo in cui il filosofo accademico nostrano trascorre le sue vacanze intelligenti in compagnia di “madonna pop filosofia”.
Simone Regazzoni, nato a Genova nel 1975, è stato coautore, sotto lo pseudonimo collettivo di Blitris, della Filosofia del Dr House (Ponte alle Grazie, 2007). Per i tipi del Melangolo ha pubblicato La decostruzione del politico (2006); Harry Potter e la filosofia (2008); Nel nome di Chora (2008); ha curato l’antologia Pop Filosofia (2010). Per Ponte alle Grazie ha pubblicato anche La filosofia di Lost (2009), Pornosofia. Filosofia del pop porno (2010).
Pop filosofia a Roma
Il Porno, la cattolica e la filosofia
Copio e incollo l’articolo di Repubblica sulla questione Regazzoni, Porno, Cattolica… Ci tornerò più avanti intanto date un’occhiata a questo:
In bilico il prof di ‘Pornosofia’
“La Cattolica non mi vuole più”
Regazzoni aveva appena presentato a Torino il libro sulla diffusione del porno nel web
Contratto a rischio. L’sms dello storico ateneo milanese: “Ci ha creato grossi problemi” di FRANCO VANNI
L’annuncio lo ha dato a lezione, di fronte a sessanta studenti allibiti: “Temo che dall’anno prossimo non sarò più un professore di questo ateneo, e non per mia scelta. Come forse saprete, ho scritto un libro sgradito all’università”. Chi parla è Simone Regazzoni, docente a contratto di storia economica della cultura in Cattolica. Sostiene che la sua cacciata dall’ateneo sia la conseguenza della pubblicazione di Pornosofia, presentato alla Fiera del libro di Torino: un’analisi della diffusione del porno nell’era di Internet.
Nel libro, l’autore ha omesso di qualificarsi come professore dell’ateneo, “una scelta concordata con l’università”, dice. Ma nei giorni scorsi alcuni giornali, parlando del saggio, lo hanno qualificato come “docente in Cattolica” e “filosofo della Cattolica”. “L’università non me l’ha perdonata – racconta Regazzoni – ho ricevuto un sms dalla coordinatrice del corso di laurea che parlava di “grosso problema da cui non si sa come uscire”. Poi abbiamo avuto liti furiose. Risultato: lo scorso anno a quest’ora il rinnovo del contratto mi era già stato comunicato, ora fanno addirittura resistenze per ricevermi”.
La risposta dell’università: “Possiamo solo dire che, per l’anno accademico in corso, Regazzoni è un nostro contrattista”. Regazzoni, prima di Pornosofia, aveva scritto altri sei libri che analizzano altri feticci della cultura contemporanea, da Harry Potter alla serie tv Doctor House. Volumi che gli erano valsi citazioni entusiaste sulle pubblicazioni della Cattolica. Ma ora tutto è cambiato. Nell’ultimo saggio, oltre ad analisi dotte della raffigurazione del nudo, si riportano descrizioni esplicite degli atti sessuali rappresentati in video. E il fatto che l’ateneo sia stato associato a “lingue che affondano” e “bocche spalancate”, in largo Gemelli è stato preso male.
Paola Fandella, responsabile del corso di economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo, racconta: “La vicenda mi ha dato fastidio, è vero. Con Regazzoni abbiamo avuto confronti molto franchi. Ma il rinnovo dei docenti dipende dalla loro performance, e comunque non spetta a me decidere sui contratti annuali”. Spetta alla Facoltà, e ai “designatori”. Hanno davvero già deciso per il taglio? La risposta della Cattolica è secca: “Per il rinnovo dei contrattisti c’è tempo fino a luglio”. Ma Regazzoni non ci sta: “Che io sia ormai un ex docente non è un segreto, e la Cattolica ha il diritto a mettere in cattedra chi vuole. Non capisco però perché mi tengano sulle spine, costringendomi a uno stress notevole. Non posso accettare di fare da relatore per la tesi agli studenti, non sapendo se sarò ancora al mio posto”.
Regazzoni, genovese nato nel 1975, è un allievo di Jacques Derrida. Ha fatto un dottorato in Filosofia all’università di Parigi 8, dove ha poi insegnato. Con la Cattolica ha cominciato a collaborare nel 2007, tenendo un seminario di Museologia applicata, cattedra che gli è stata poi assegnata a contratto lo scorso anno. Oggi ha due corsi, entrambi a Economia: Filosofia delle arti visive, seguito da tre soli ragazzi, e Storia economica della cultura, per gli studenti dei primi due anni, con 178 iscritti. Nella valutazione data dagli studenti è nella fascia più alta. “La verità – dice Regazzoni – è che la pornografia è ancora tabù. Fino all’uscita del libro l’ateneo mi elogiava, con pubblicazioni e attestati di stima. Oggi sono un fantasma”.
Eine Anime für Alle und Keinen (7 – the end of Evangelion)
Gnoseologia e libertà si intersecano negli ultimi due episodi. Ed è qui che Evangelion diventa opera metafisica, è qui che rompe definitivamente gli argini del pop – molti fan hanno storto il naso e chiesto a viva voce un nuovo finale -.
Shinji Ikari, come tutti gli esseri umani, è stato assorbito dall’anima collettiva, si è evoluto. L’altro lo ha assorbito, l’altro non c’è più, o meglio l’altro coincide perfettamente con il sé, l’AT-Field è stato invertito e i confini dell’individualità sono stati aboliti.
Shinji si trova su un palcoscenico – “lo Shinji Ikari che è nell’animo di Misato Katsuragi, lo Shinji Ikari dentro Asuka Soryu, lo Shinji Ikari dentro Rei Ayanami, lo Shinji Ikari dentro Gendo Ikari. Ognuno di essi è un diverso Shinji Ikari, ma sono tutti il vero Shinji Ikari.” – La sfida sembra vinta, il progetto per il perfezionamento dell’uomo ha fatto in modo che il pilota dell’EVA non abbia più paura degli Shinji Ikari contenuti nelle altre persone. Non ci sono barriere, non c’è AT-Field, tra sé e gli altri. Cosa sono gli altri allora? Sono me? E io cosa sono? Un oggetto per quale soggetto? Se non c’è il soggetto, l’oggetto che fine fa? Come conosco il mondo?
Shinji: Che cosa sono io? Questo sono io… Una forma che mi mostra agli altri. Un simbolo di me stesso. Anche questo (un disegno ben delineato N.d.A.) e questo (uno scarabocchio con i tratti di Shinji N.d.A.) e questo (un ideogramma N.d.A.). Sono tutte mie rappresentazioni. Sono tutte immagini che danno agli altri coscienza di me. Ma allora cosa sono io? Questo sono io? Il mio vero io. Il mio falso io.
Rei: Tu sei tu. In questo però, possiedi un tuo proprio confine e una tua propria dimensione. (26 – La bestia che gridò AMore nel cuore del mondo)
Il darsi di un oggetto per un soggetto. Il “darsi” avviene attraverso il principio di individuazione, spazio – tempo – causalità, attraverso la rappresentazione quindi. Diventando un’unica cosa, il genere umano si è affermato fuggendo da se stesso, dalla sua stessa natura, da ciò che lo rende umano: la singolarità. La fine di Evangelion sembrerebbe raccontare che la fuga (che sia quella di Shinji o del genere umano) sia inevitabile – o si fugge verso l’annientamento o si fugge verso l’evoluzione, siamo obbligati ad affermare noi stessi scappando (non riuscendo a vivere con noi stessi.) Non si può evitare di farlo, perché la paura è così grande che non si può farne a meno se si vuole compiere anche la più piccola delle azioni. E la fuga è l’azione più istintiva e razionale allo stesso tempo, davanti al terrore (lo stesso terrore da cui protegge l’AT-Field). È proprio Shinji a rivelare a se stesso di aver scelto la fuga. La volontà lo ha spinto all’azione.
Shinji: Io ho paura di essere odiato dagli altri.
Shinji: Tu hai paura di venire ferito e di soffrire.
Shinji: Di chi è la colpa?
Shinji: La colpa è di mio padre. Mio padre, che mi ha abbandonato.
Shinji: La colpa è mia.
(un flashback ricorda l’occasione in cui Gendo ha lodato Shinji per una missione riuscita.)
Shinji: da allora hai continuato a vivere rimuginando su quella gioia?
Shinji: Seguitando a credere in quelle parole, potrò continuare a vivere.
Shinji: Continuando a ingannare te stesso?
Shinji: È quello che fanno tutti. È così che le persone riescono a vivere.
Shinji: Senza l’autoconvinzione di essere nel giusto, vivere non sarebbe possibile.
Shinji: In questo mondo ci sono troppi motivi di sofferenza perché io vi possa vivere.
[…]
Shinji: Hai sempre chiuso gli occhi e tappato le orecchie di fronte alle cose spiacevoli.
Shinji: No. Non voglio ascoltare.
Shinji: Vedi? Stai fuggendo di nuovo. Nessuno può riuscire a vivere raccogliendo come biglie soltanto le cose piacevoli. Soprattutto, io non posso.
Shinji: Se ho trovato qualcosa di piacevole, se si trova qualcosa di piacevole, che c’è di male nel dedicarsi solo a quella? Che male c’è?
[…] Shinji: Sei stato tu a scegliere di fuggire. (16 – Malattia mortale, e poi…)
Solo chi si è allontanato dall’agire, chi ha negato la volontà come direbbe Schopenhauer54 (o Buddha), può essere spettatore di un duplice vittoria: su di essa e su di sé “[…] perché ha rinunciato alla propria qualità e al proprio compito di uomo, e non partecipa più a questa durata gonfia di terrore, a questa galoppata attraverso i secoli impostaci da una forma di spavento di cui non siamo, in definitiva l’oggetto e la causa.”55
Ne il Mondo come volontà e rappresentazione la volontà è un’essenza unica, inaccessibile, posta oltre il velo di Maya, di cui possiamo avere una rappresentazione adeguata solo andando al di là del fenomenico per attingere al mondo delle idee oltre il principio di individuazione. La sfida per Schopenhauer era negare la volontà stessa per via mistica o estetica (soluzione di breve durata). Il Progetto per il perfezionamento dell’uomo, sembra negare la volontà di vivere degli individui, affermando però allo stesso tempo quella delle specie, e infatti Shinji, e tutti gli esseri umani, sembrano all’improvviso proiettati oltre il velo di Maya, sembrano poter finalmente vedere con chiarezza oltre l’imbocco della Caverna di Platone. Lo sguardo non ha bisogno di rappresentazione: spazio, tempo, causa vengono meno. Non c’è oggetto per soggetto. Non c’è altro per altro. Sono la stessa cosa. Ma allora cosa ci fa Shinji su un palcoscenico? e soprattutto cosa si innesca quando, i disegni stessi dell’anime cominciano a mutare forma, tratto, colore… ma soprattutto cosa succede quando al posto della rappresentazione per disegni sullo schermo appiano le pagine stesse della sceneggiatura di ciò che dovremmo vedere?
Cosa è reale e cosa non lo è? È reale lo Shinji Ikari sul palcoscenico alle prese con se stesso e quindi con gli altri che sono lui stesso? È reale il palcoscenico? La sceneggiatura? Evangelion? Io che lo guardo? Quale di queste realtà è vera? O meglio quale rappresentazione del reale lo è? Tutte? Nessuna?
Torniamo all’inizio quindi: “Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere,” rimanere nel vago, nell’indicibile, nel soggetto a dubbio. Senza la ricerca dell’improbabile, in qualche modo vitale, il dubitatore, lo scettico “non sarebbe che uno spettro.”56Anche se chi dubita non sembra comunque molto lontano da questa condizione fantasmatica: deve dubitare fino al punto in cui non sussista più alcuna materia di cui dubitare, laddove tutto scompare, spezzando i divieti delle certezze. E Shinji, inconsapevolmente o no, dubita. Dubita perché è tutto scomparso, anche la sua silhouette. Di lui rimane un tratto rapido degli occhi, una linea che vibra al suono della voce, un disegno infantile che lo ritrae nel vuoto. Lo schermo bianco. Un soggetto senza oggetto e viceversa.
L’istinto di conservazione, la volontà di vivere, non sono una mera questione di specie, ma sono il fulcro stesso, dell’individualità e Shinji fa un passo, questo sì da superuomo: sceglie. Innesca la volontà di potenza. Non ha importanza il fatto che il reale sia illusorio o che il libero arbitrio sia una menzogna. Il corpo appena abbozzato del ragazzo fluttua nel vuoto, un tratto disegna una linea che fa da terreno e le voci dei vari personaggi della serie arrivano da fuori, “da dietro le quinte”:
Voce off: Guarda, con questo sono nati il sopra e il sotto.
Voce off: Però, con questo è sparita una libertà.
Voce off: Ora sei costretto a stare in piedi sul sotto.
Voce off: Però, questo ti tranquillizza. Perché il tuo stesso animo ha ottenuto un po’ di semplificazione.
Voce off: E così puoi camminare.
Voce off: Tale è una tua volontà.
Shinji: La mia volontà, sarebbe questa?
Voce off: Il mondo che ti circonda è il mondo in cui esistono il sopra e il sotto.
Voce off: Ma in questo modo tu puoi camminare liberamente.
Voce off: E se lo volessi, potresti anche cambiare la posizione del mondo.
Voce off: Quindi anche la posizione del mondo non resta sempre la stessa.
Voce off: È qualcosa che muta nello scorrere del tempo
Voce off: E anche tu stesso puoi cambiare.
Voce off: Poiché a dare forma a te stesso sono il tuo stesso animo e il mondo che lo circonda.
Voce off: D’altronde, questo è il tuo mondo.
Voce off: È la forma della realtà che tu percepisci.
Didascalia: “Tale è la realtà.”
[…]
Voce off: Senza un altro essere distinto da te stesso, tu non puoi comprendere la tua stessa forma.
[…]
Voce off: … È nel guardare la forma delle altre persone, che si conosce la propria forma.
Voce off: È nel guardare le mura tra sé e le altre persone, che si conosce l’immagine della propria forma.
Voce off: Senza l’esistenza delle altre persone, tu stesso sei invisibile a te stesso.
Shinji: Io posso esistere finché esistono le altre persone, non è così? Da solo, io non sarei che ovunque comunque solo. L’intero mondo sarebbe soltanto me!
Voce off : Prendendo coscienza delle differenze tra te e gli altri, dai forma a te stesso.
[…]
Shinji: Ma certo, io sono io. Solo, però, è altrettanto vero che le altre persone creano la forma del mio animo.
Voce off: Proprio così, Shinji Ikari.
Voce off: Alla fine lo hai capito Stupishinji.
Asuka: Finalmente ti sei svegliato Stupishinji. (26 – La bestia che gridò AMore nel cuore del mondo)
Shinji, risvegliato da Asuka, apre gli occhi e ritrova sé stesso alle prese con una vita da quindicenne, la scuola, gli amici, la quotidianità e non come pilota dell’Evangelion. Che sia una fantasia o meno, che si tratti di stato di veglia mentre le vicende narrate in Evangelion fin qui siano solo un sogno e non viceversa non importa. Shinji, individuo, sceglie. Sceglie di vivere, di affermare la sua particolarità, nonostante l’assurdo, nonostante l’illusione, e manda in frantumi il Progetto per il perfezionamento dell’uomo.57
Shinji insomma scambia un’illusione per un’altra, ma lo fa scegliendo. In questo è sartriano. Allo stesso modo, la scelta di Shinji è una rivolta, e in questo è camusiano. Tornando alla sua individualità, scegliendo di vivere, esercita la volontà di vivere, quella che agli Angeli è sconosciuta e si ritrova proprio nella condizione di Sisifo, in lotta ma felice.58
La questione è morale perché la rivolta di Shinji ha un valore individuale e al contempo universale: mi rivolto dunque siamo.59 È un percorso inverso rispetto a quello del progetto della SEELE: Non mi rivolto dunque non siamo. Una risposta a un imperativo categorico. Il dovere morale della rivolta nonostante l’assurdo. L’Esserci dell’Essere, anche se l’Esserci e l’Essere sono solo un incidente di percorso del Nulla, un inconveniente.
Il Nulla è come il buco di una ciambella, è pensabile solo grazie alla ciambella, ma in fondo anche la ciambella è pensabile solo grazie al buco.
note
52 Rei Ayanami, o meglio la sua terza incarnazione / clonazione, per salvare gli altri, a bordo dello 00 incorpora il penultimo Angelo Armisael – sviluppando un AT-Field inverso. Nel farlo perde la vita; quindi mentre l’AT-Field preserva l’individualità, quello inverso la elimina e tende alla creazione dell’entità collettiva alla base del Progetto del perfezionamento dell’uomo. (23 – Lacrime / Rei III)
53 o un uomo esteticamente educato, come direbbe Schiller o un uomo nuovo, come direbbe Marx.
54 Cfr. A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione.
55 E.M. Cioran, La caduta nel tempo, p. 18.
56 Ivi, p. 50.
57 Nel film Evangelion Death and Rebirth, Shinji non viene assorbito dall’anima collettiva perché, come Asuka, si trovava a bordo dell’EVA e quindi quando viene innescato il third impact e il genere umano si fonde in un’unica entità collettiva, l’AT-Field del “robot” lo protegge. Si ritroverà così solo con Asuka. Il pianeta un nuovo Eden e loro due novelli Adamo ed Eva, pronti a cogliere il frutto della conoscenza e far partire tutto da capo: ecco perché Neon Genesis Evangelion, il vangelo, la novella, delle nuova nascita.
58 Cfr. A. Camus, Il mito di Sisifo.
59 Cfr. A. Camus, Mi rivolto dunque siamo.
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Bibliografia
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Ceronetti, G. (a cura di), Qohélet o l’Ecclesiaste, Torino, Einaudi, 1998.
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Kant, I., Critica della ragion pratica, trad. it. di F. Capra, Bari, Laterza, 1997.
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Schopenhauer, A., Il mondo come volontà e rappresentazione, trad. it. di N. Palanga, Milano, Mursia, 1969.
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Wittgenstein, L., Tractatus logico – philosophicus, trad. it. di A.G. Conte, Torino, Einaudi, 1995.
Eine Anime für Alle und Keinen (6 di x)
Interludio: Scelte impossibili
Con l’arrivo del tredicesimo Angelo, Bardiel,45 Shinji deve confrontarsi, non solo con l’assurdità ma anche con l’impossibilità della scelta. Bardiel contamina l’unità 03. Un EVA nuovo di zecca, aerotrasportato dagli Stati Uniti. Durante l’esperimento di attivazione, l’Angelo prende possesso della macchina umanoide e marcia verso Neo Tokyo 3. Né lo 00, né lo 02 riescono a fermare la sua avanzata. Shinji si rifiuta di affrontare lo 03, consapevole che al suo interno c’è un pilota. Nessuno ha avuto modo, o coraggio, di rivelare l’identità del ragazzo a bordo del nuovo, potentissimo, EVA. Il comandante in capo della NERV, il padre di Shinji, ordina di escludere il figlio dalla guida dello 01 e fa inserire il dummy plug, una sorta di autopilota creato a partire dal DNA e dall’anima di Rei. Lo scontro è molto duro, L’EVA 01 non va in berserk ma scatena una furia gelida e inumana, e alla fine ha il sopravvento sull’avversario. Shinji non può fare altro che restare a guardare impotente il massacro, cruentissimo, compiuto sotto i suoi occhi, fino a quando l’EVA 01 spezza la schiena allo 03 e ne estrae la capsula di pilotaggio. Shinji urla e impreca contro il padre, tentando con tutte le sue forze di fermare, senza successo, il suo Evangelion. L’EVA 01 frantuma l’entry plug con a bordo il fourth children. Solo quando tutto è finito e arrivano i primi soccorsi, Shinji riesce a scorgere il corpo del pilota mentre viene portato via da alcuni paramedici. È uno dei suoi compagni di classe, un amico, Toji Suzuhara. (18 – Selezione di vita).
Shinji non ha potuto fare nulla, eppure, oltre all’odio verso il padre (un odio che cova fin da quando Gendo lo ha abbandonato in tenera età) prova un terribile senso di colpa e si sente tradito da chi credeva essergli vicino. Il maggiore Misato Katsuragi, che già dal primo episodio si è presa cura di lui, infatti non gli ha mai rivelato l’identità del fourth children per paura di ferirlo. Così facendo, nascondendo la verità, però non ha fatto altro che ferirlo ancor di più, alimentando a dismisura il dramma del porcospino. La colpa, se di colpa si può parlare, di chi è? Non è forse tutto riconducibile a Shinji e a Shinji solamente. Non potremmo attribuire a lui, e alla sua paura di farsi male, di farsi ferire, di vivere e sopportare la realtà, di venire in contatto con l’altro, tutto questo dolore?
E ancora, l’immobilità di fronte a qualcosa di istintivamente sbagliato, anche se al di là delle nostre capacità, non richiederebbe un imperativo categorico degno di Don Chisciotte? Insomma l’assurdità della vita e l’altrettanto assurdità di quella finzione che chiamiamo male, non hanno modo di essere affrontate in chiave morale? Vale la pena lottare, anche quando spingere il masso su per la collina è impossibile? Davvero Sisifo è felice?46
Ontologie e alberi della vita
Shinji e Kaworu hanno una fondamentale differenza ontologica. Uno è umano, nato (dopo un disastro su scala globale), l’altro è angelico, né nato, né morto. Questione di lana caprina? Non proprio. Gli Angeli sono alimentati dall’elemento S2 o supersolenoide, contenuto in una nucleo a forma di frutto sferico. Per distruggere un angelo bisogna oltrepassare la barriera dell’AT-Field e rompere la sfera. Anche gli EVA hanno un nucleo ma, come già detto, non sono alimentati dal supersolenoide (L’EVA 01 in berserk divorerà letteralmente un angelo incorporando l’elemento), ma da una batteria a energia limitata. Nell’ottica del mito fondativo biblico, e dello Zohar, a cui l’anime fa spesso riferimento, l’elemento S2 potrebbe esser interpretato come una metafora del frutto dell’albero della vita, mentre il nucleo degli EVA, che potremmo anche far coincidere con il pilota, rappresenterebbe il frutto dell’albero della conoscenza. Uno immortale, l’altro mortale.
La differenza ontologica allora è quella che separa l’eternità dal tempo. La scena immobile “dell’inno alla gioia” si configura nell’economia della serie come una molecola temporale in cui il presente assume il carattere agostiniano di unico stato del fluire.47 Una zona in cui è possibile per Shinji e per Kaworu, fermarsi a osservare il tempo e la loro condizione in rapporto a esso.
La vita eterna è un nonsenso, l’eternità non è vita, la morte è la quiete a cui aspiriamo, vita e morte sono legate, chi reclama altro pretende l’impossibile e otterrà in ricompensa solo fumo. Noi che non ci contentiamo di parole, acconsentiamo a scomparire e siamo lieti di acconsentire, non abbiamo scelto di nascere e ci riteniamo fortunati a non sopravvivere in nessun luogo a questa vita, che ci fu imposta più che donata, vita piena di affanni e dolori, dalle gioie discutibili o mediocri. Che cosa prova mai che un uomo sia felice?48
Un animale storico
Secondo Emil Cioran, la storia non è che un processo messo in atto dalla volontà di vivere. La rinuncia volontaria all’eternità, in cambio del frutto della conoscenza, ha fatto cadere l’uomo nel tempo.49 Arrivati agli sgoccioli della vicenda umana, annunciata dall’arrivo degli Angeli, però sembrerebbe profilarsi all’orizzonte un’altra caduta.
Negli ultimi due, stranianti e pirandelliani, episodi (25 – Un mondo che finisce – 26 La bestia che gridò AMore nel cuore del mondo) l’uomo si appresterebbe a smettere di essere un animale storico. Quella che sembrava una crisi di Shinji, un’ipocalisse dell’individuo, diventa una crisi di portata globale, un’apocalisse, che va ad acquisire così, un significato storico e non più solo psicologico.
La trama parallela agli eventi principali di Neon Genesis Evangelion è quella che vede la SEELE, la società segreta a cui fa capo l’intera organizzazione che ruota attorno agli EVA, alle prese con un unico scopo ultimo: il Progetto per il perfezionamento dell’uomo. (I primi esperimenti in questa direzione hanno causato una catastrofe su scala mondiale (il second impact).50 La SEELE in possesso dei manoscritti del Mar Morto,51 si appresta ad affrontare l’Armageddon predetto dalle pergamene. L’unico modo che ha di scongiurare l’estinzione della razza umana è costringerla a evolvere, a uscire dal tempo e ricercare una nuova eternità. Per farlo cerca di far compiere al genere umano un salto evolutivo verso un unico essere di natura divina, un’unica forma di coscienza che elimini gli individui, che elimini l’altro.52 Un superuomo53 (un non individuo, un non altro da sé, un anima collettiva) caduto dal tempo.
Non è altro che un recita già inscenata però, una catena di nodi gordiani: l’uomo cade nel tempo, il superuomo cade dal tempo.
Dove sta la libertà di scelta? Anche noi come gli Angeli siamo costretti al nulla, alla vita per la morte, all’assurdo?
Pensare di oltrepassare la condizione umana accedendo a quella di “Übermensch” significa dimenticare il fatto, che sia già spossante reggere quella di “Mensch”, e che questo sia possibile solo sottoponendo a tensione massima la molla della volontà. E proprio la volontà si rivolta contro chi ne abusa. Volere non è una condizione naturale quando supera ciò che basterebbe a vivere. Superata questa esile linea ci si deteriora e si finisce per cadere. Ogni catastrofe umana procede dai suoi eccessi (da Adamo in poi) si legge ne La caduta nel tempo. Già come uomini vogliamo troppo, ben oltre la volontà di autoconservarci, come superuomo cosa ne sarebbe di noi? Collasseremmo su noi stessi; sul nostro io, per quanto illusorio; riducendoci in macerie. Eppure la SEELE confida di salvare l’umanità innescando il third impact e dando il via al progetto.
46 Cfr. A. Camus, Il mito di Sisifo: “Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo”
47 Cfr. Agostino d’Ippona, Confessioni.
Eine Anime für Alle und Keinen (5 di x)
Che scelta ho? Scegliere è assurdo, non c’è azione “moralmente migliore”. Per dirla con Sartre ai fini dell’essere “[…] è la stessa cosa ubriacarsi in solitudine o guidare i popoli.”
Sartre rifiuta possa esserci qualcosa che trascenda l’individuo, qualcosa che non si leghi all’esperienza soggettiva, ponendosi come a priori dogmatico. Allora il dovere (quale necessità di agire nel rispetto della legge dell’imperativo categorico, quale norma della razionalità da cui derivano le esigenze morali) non ha senso perché Angeli ed esseri umani sono mossi da un imperativo che li costringe a sopravvivere, e per fare questo devono eliminarsi a vicenda. Essere Angelo o essere umano è ugualmente assurdo (ubriacarsi in solitudine o guidare popoli è identico). Entrambi devono fare i conti con l’etica e con la libertà.
Ma se gli Angeli, che compulsivamente sono attratti dal sottosuolo di Neo Tokyo 3, sembrano non possedere il libero arbitrio, gli esseri umani sembrerebbero averlo a portata di mano, come quando colsero il frutto proibito. Eppure alla domanda “perché piloti l’EVA?” Shinji non sa rispondere. Anzi dice a Misato che se dovesse morire nel farlo, non avrebbe importanza (4 – Fuga sotto la pioggia). Cosa rimane dunque? La morte. Anzi la possibilità della morte.
Una volta arrivati al cuore di Neo Tokyo 3, dopo uno scontro tra EVA 01 ed EVA 02 (guidato mentalmente dall’Angelo), Kaworu scardina le regole: sceglie. Si fa responsabile del suo destino e si libera. Una scena tanto statica quanto drammatica riempie lo schermo, l’EVA 01 stringe nel pugno mastodontico il corpo fragile del ragazzino. A Shinji basta un gesto, un pensiero, per serrare la morsa e stritolare Kaworu. L’inno alla gioia di Beethoven invade le casse, l’immagine rimane immobile per minuti e “la musica potrebbe in qualche maniera sussistere anche senza l’esistenza dell’universo.”
Poi l’Angelo parla.
Kaworu: Ti ringrazio, Shinji. Confidavo che tu fermassi lo 02. In altro modo, probabilmente io avrei continuato a vivere […]
Shinji: Kaworu, ma perché?
Kaworu: Perché io dovrei vivere in eterno, tale sarebbe il mio destino, anche se ciò risulterebbe nella distruzione dell’uomo. Però, io posso anche morire a questo modo, vita o morte hanno negli effetti lo stesso valore per quanto mi riguarda. La morte volontaria è anzi l’unica mia libertà assoluta. (24 – L’ultimo messaggero sacrificale)
Per Kaworu, come per l’uomo, l’esistenza stessa è niente meno che assurda – “vita o morte hanno negli effetti lo stesso valore” – e solo l’idea del suicidio può renderla dignitosa, in quanto unico atto davvero libero, come rammentava Cioran in un’intervista a Fernando Savater.
Ricordo un’occasione in cui per tre ore ho passeggiato nel Lussemburgo con un ingegnere che voleva suicidarsi. Alla fine l’ho convinto a non farlo. Gli ho detto che l’importante era aver concepito l’idea, sapersi libero. Credo che l’idea del suicidio sia l’unica cosa che rende sopportabile la vita, ma bisogna saperla sfruttare, non affrettarsi a tirare le conseguenze. È un’idea molto utile: dovrebbero farci delle lezioni nelle scuole!
Per Camus il suicidio è la risoluzione dell’assurdo, per Sartre invece è la morte stessa a svelare un’assurdità del tutto inconcepibile. Ma se per Sartre nulla trascende l’individuo ponendosi come a priori dogmatico, in Camus l’apriori è adogmatico: è semplicemente il voler vivere, e il principio di autoconservazione umano è più forte di quello angelico.
Shinji serra le dita dell’EVA 01, in lacrime, disperato, ma le serra e uccide l’unico altro che aveva dato senso alla sua esistenza, l’unico altro che non lo aveva ferito.
Che tipo di scelta etica è? Quale imperativo categorico ha seguito Shinji? Ha salvato l’umanità o ha ucciso un amico? La vita del singolo vale meno di quella dell’intera razza umana?
Ne L’uomo in rivolta Camus fa evolvere il concetto del principio di autoconservazione, facendogli assumere un ruolo sociale, e trasformandolo in compassione.
Il diavolo, scrive Nietzsche, ha rivelato a Zarathustra che Dio è morto della compassione per gli uomini e l’Angelo – emanazione divina – ha sì scelto di suicidarsi per affrancarsi dalle catene dell’eternità e della non scelta, ma lo ha fatto anche per com-passione verso Shinji.
Suicidarsi per Sartre invece significa l’esatto opposto di quanto detto da Kaworu. Suicidarsi è perdere la libertà, negare la propria esistenza diventando una cosa, senza la coscienza che attesti il nostro essere soggetto. La morte equivarrebbe al “trionfo degli altri”: la nostra radicale oggettivizzazione, l’essere solo oggetto per un soggetto e non viceversa. Per Sartre quindi tutto è mediato dalla coscienza, non c’è istinto di autoconservazione a priori e la morte, tra le tante possibilità che il soggetto ha di fronte, è semplicemente l’annullamento della possibilità stessa. Eppure nel caso del suicidio si tratta di una scelta e come tale, vale tanto quanto quella di rimanere in vita. L’uomo dice Sartre deve agire comunque secondo le sue scelte anche se sono mere illusioni.
Ma se sono illusioni, se tutto è illusione allora lo è anche la libertà. Se tutte le scelte sono uguali, l’universo con questo pensiero andrebbe in frantumi per dirla con Cioran, e infatti ne L’inconveniente di essere nati, la libertà viene descritta come la condizione solo di chi non è mai nato o di chi è nato morto, di chi non ha mai conosciuto il tempo.
In quest’ottica, tutto quello che nel corso della storia umana si rivela inesplicabile, nasconderebbe il suo segreto nella rabbia contro di sé, nella paura della routine, nel fatto che ogni essere umano preferisca l’inaudito al ripetersi degli eventi. L’idea dell’eterno ritorno dell’uguale sarebbe per chiunque abominevole, anche se Borges chioserebbe che “in tempi di splendore, l’idea che l’esistenza umana sia una quantità costante, invariabile, può intristire o irritare; in temi di declino (come questi), è la promessa che nessuna infamia, nessuna calamità, nessun dittatore potrà mai impoverirci.”
Se l’eterno ritorno fosse abominevole molte specie si sarebbero potute estinguere, non per via di glaciazioni, inaridimenti o altri mutamenti climatici, quanto per stanchezza: un grado di spossatezza così elevato da far prevalere l’istinto sulla coscienza fino all’abolizione dello spirito di sopravvivenza e di autoconservazione – e Kaworu / Tabris sembra aver raggiunto un livello di spossatezza del genere – “ciò che (si) deve temere è l’accasciamento in quello stato in cui il desiderio di sopprimersi non è neppure immaginabile.”
Il frutto dell’albero della vita è quello raccolto dagli angeli, mentre l’uomo ha colto il frutto proibito della conoscenza. L’anelito a combattere per la vita allora deriverebbe dalla voglia di possedere ciò che non si ha. Kaworu, invece, non può conoscere la differenza tra bene e male, tra giusto e sbagliato perché non possiede la conoscenza.
“Concepire un pensiero, un solo e unico pensiero, ma che mandasse in frantumi l’universo.” Cfr. Cioran, E.M., Il funesto demiurgo
E.M. Cioran, L’inconveniente di essere nati, p. 15. «Mi piacerebbe essere libero, perdutamente libero. Libero come un nato morto.”
A questo proposito la bibliografia è molto estesa. Alcuni testi o passaggi potrebbero essere significativi a riguardo: L.A. Blanqui, L.A., L’eternità attraverso gli astri. D. Hume, Dialoghi sulla religione naturale, sezione VIII. Marco Aurelio, Pensieri, I, 14. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, Sull’utilità e il danno della storia per la vita. Platone, Timeo, § 39. Qohélet o l’Ecclesiaste, I-9, a c. di G. Ceronetti. B. Russell, An inquiry into meaning and truth. A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Libro I, § 5, § 8, Libro III, § 38. G.B. Vico, La scienza nuova.
Eine Anime für Alle und Keinen (4 di x)
L’EVA è a sua volta un soggetto per un oggetto e viceversa: Come dice Shinji a se stesso: “ogni oggetto d’osservazione ha però natura molteplice ed esistono quindi molteplici Shinji Ikari […]” Lo Shinji Ikari che è dentro l’Evangelion è però forse quello di cui aver più paura, perché è la summa dei molteplici Shinji Ikari. E lo Shinji Ikari che si confronta con gli altri, è lo Shinji che supere la propria barriera e quella degli altri (l’AT-Field).
L’unico altro momento in cui Shinji abbatte la barriera autistica è quando viene in contatto con il fifth children, il quinto pilota designato. Un ragazzo venuto da fuori, mandato dalla SEELE per sostituire Asuka ormai non più in grado di pilotare l’EVA 02. Il suo nome è Kaworu Nagisa (23 – Lacrime). Da subito stringe un rapporto d’amicizia ed empatia molto forte con Shinji. Il nuovo arrivato sembra l’unico con cui il protagonista si senta libero di parlare e di comunicare, come se non avesse più bisogno di corazze. Il tempo che trascorrono assieme è piacevole e Shinji si sente per la prima volta a suo agio, come se nel dilemma del porcospino avesse capito quale sia la distanza e la prossimità ideale nei riguardi dell’altro per stare assieme senza ferirsi. Con molta semplicità e delicatezza Kaworu dice a Shinji di volergli bene.
Kaworu: Senza conoscere altre persone non è possibile né tradirsi né ferirsi l’un l’altro, però… non è neanche possibile dimenticare la solitudine. Gli esseri umani non potranno mai affrancarsi dalla solitudine… del resto ogni uomo è comunque solo, ed è soltanto perché è possibile dimenticarlo che gli uomini riescono a vivere.
[…] Gli esseri umani provano continuamente dolore dell’animo… è perché l’animo soffre tanto facilmente che anche il vivere risulta doloroso… e in particolare il tuo animo è delicato come il vetro… meritevole d’affezione… cioè ti voglio bene. (24 – L’ultimo messaggero sacrificale)
Per dirla con Heidegger, Kaworu opera un aprimento essenziale dell’Esserci al con-essere. Il suo Esserci però ha una caratteristica che apre contemporaneamente al non-essere. Come già visto Angeli e umani, se pur simili, non possono convivere. Solo il più adatto alla vita può sopravvivere e Kaworu Nagisa è l’ultimo Angelo, il diciassettesimo, Tabris. La sua missione, come per i suoi simili, è arrivare nel cuore sotterrano di Neo Tokyo 3 per entrare in contatto con Adam. Facendo così, però, scatenerebbe la fine del mondo e l’estinzione definitiva della razza umana. Non ha scelta deve farlo, come hanno provato a farlo gli altri Angeli prima di lui. Per gli Angeli tornare al principio, ad Adam, significa sopravvivere, distruggere l’umano perché la convivenza non è possibile. Solo una delle due forme evolutive è adatta alla vita.
Imperativi
Per Kant, gli esseri umani occupano un posto particolare nella creazione, e la moralità è l’insieme dei comandamenti della ragione, o imperativi, da cui tutti derivano obbligazioni e doveri. Il dovere è la necessità di agire in rispetto della legge dettata dall’imperativo categorico, cioè il “modello” della razionalità da cui scaturiscono le esigenze morali. Un atto può avere un contenuto morale se, e solo se, è eseguito con riguardo verso il senso di dovere morale; non è sufficiente che l’atto sia consistente con il dovere, deve essere intrapreso in nome dell’adempimento del dovere. E gli Angeli a loro volta occupano un posto particolare nella creazione, per loro l’imperativo categorico è arrivare ad Adam, cancellando l’umano. Per loro, come per l’uomo, l’imperativo categorico quindi è sopravvivere. È razionale? È istintivo?
Il famoso epitaffio tratto dalla Critica della ragion pratica sulla tomba di Kant: Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me, verrebbe meno se l’imperativo categorico fosse puro e semplice istinto di sopravvivenza: l’unica morale possibile sarebbe infatti la dura legge dell’evoluzione, il cielo stellato incombe (spaventoso) su di me e l’istinto di conservazione è dentro di me. Mors tua vita mea.
Eine Anime für Alle und Keinen (3 di x)
L’altro
Il problema dell’altro, per esempio in Heidegger, ha a che fare con la riflessione sul linguaggio quale sede dell’intersoggettività:
Il discorso è esistenzialmente coorigianrio alla situazione emotiva e alla comprensione […] La comunicazione non è il trasferimento di esperienze vissute, di opinioni o di desideri, dall’interno di un soggetto all’interno di un altro. il con-Esserci è già essenzialmente rivelato nella situazione emotiva comune e nelle comprensione comune. Nel discorso il con-essere viene viene partecipato ‘espressamente’; dunque esso è già, ma non è ancora partecipato perché non è ancora afferrato e appropriato
e ancora: “[…] l’aprimento essenziale dell’Esserci al con-essere con gli altri. Il sentire è l’apertura primaria e autentica dell’Esserci al suo poter-essere più proprio, come ascolto della voce dell’amico che ogni Esserci porta con sé.”
Emmanuel Lévinas obietterebbe che in questo modo si privilegerebbe solo l’interesse gnoseologico, fraintendendo il ruolo filosofico del concetto stesso dell’altro. Insomma il darsi come oggetto per un soggetto dell’altro non può partire solipsisticamente dal pensiero, ma dovrebbe trovare il cominciamento stesso della filosofia nell’altro stesso. Più che una questione teoretica, quindi si tratterebbe di una questione etica.
Il darsi di un oggetto per un soggetto… e se l’oggetto, l’altro, fossi io? L’intersoggettività, l’aprimento essenziale dell’Esserci al con-essere cosa sarebbe?
Gli Angeli hanno varie forme, alcuni sono umanoidi, altri sono creature mostruose a forma di ragno o di animale abissale, altri ancora sono virus informatici, batteri o semplicemente dei poligoni fluttuanti. Uno di questi, Leliel, nel sedicesimo episodio, è una sfera. Si tratta di un’entità quadridimensionale, la cui quarta dimensione è il Mare di Dirac: la zona dei numeri immaginari, un modello teorico del vuoto visto come un mare infinito di particelle di energia negativa. La sfera è solo l’ombra di Leliel, l’Angelo vero e proprio è il “buio” sotto la sfera. L’Eva 01 affronta la sfera senza successo e viene inghiottito dal vuoto. Shinji rimane ore all’interno del nulla. Il supporto vitale si va spegnendo e il ragazzo comincia a delirare. Si troverà a fare i conti con la sua vita ma soprattutto con se stesso (un se stesso bambino) all’interno di un vagone di treno deserto.
Shinji: Chi sei? Chi sei?
Shinji: Shinji Ikari
Shinji: Quello sono io.
Shinji: Io sono te. Ciascun individuo ha dentro se stesso un altro se stesso; ogni individuo è in effetti costituito da due diversi se stessi.
Shinji: Due se stessi?
Shinji: Il se stesso che è soggetto osservante e il se stesso che è oggetto osservato Ogni oggetto d’osservazione ha però natura molteplice ed esistono quindi molteplici Shinji Ikari: lo Shinji Ikari che è dentro il tuo animo, lo Shinji Ikari che è nell’animo di Misato Katsuragi, lo Shinji Ikari dentro Asuka Soryu, lo Shinji Ikari dentro Rei Ayanami, lo Shinji Ikari dentro Gendo Ikari. Ognuno di essi è un diverso Shinji Ikari, ma sono tutti il vero Shinji Ikari. Tu hai paura degli Shinji Ikari contenuti nelle altre persone. (16 – Malattia mortale, e poi…)
Al termine dell’ossigeno, del riscaldamento e delle funzioni minime di sopravvivenza, Shinji è arrivato al limite della sopportazione psicofisica. Rannicchiato, infreddolito, non ha più forza. L’unica cosa che vuole è essere da un’altra parte. Il suo istinto di autoconservazione si trasforma in volontà. Una richiesta di aiuto. Una scelta di vita. Al ragazzo, avvolto dal liquido LCL come dal liquido amniotico (ormai torbido), affiorano i ricordi della madre, e all’improvviso l’EVA 01 si risveglia, anche se dovrebbe essere senza energia. Si risveglia, squarta l’Angelo in un tripudio di sangue e ne esce come un feto dal grembo, rivelando tutta la sua spaventosa potenza.
Qualcosa di perturbante
Il se stesso che è oggetto per un soggetto e soggetto per un oggetto. C’è qualcosa di perturbante nelle macchine multi-funzione umanoidi Evangelion. Sono, ovviamente, un oggetto per un soggetto. Ma non sempre, o meglio non solo. Normalmente i “robot” sono immobili nei loro hangar (immersi fino alle spalle in un liquido rossastro); senza pilota non si muovono, di più, anche con il pilota a bordo, nel caso venga staccata loro la “corrente”, fornita da un lunghissimo cavo, l’umibilical cable, che li collega a vari punti della città, dopo cinque minuti si spengono. Eppure sia l’EVA 00, il prototipo, sia l’EVA 01 si sono mossi di propria volontà. Lo 00, durante un test di attivazione, all’interno dell’hangar, come impazzito ha preso a pugni la cabina da cui i suoi creatori e alcuni tecnici lo osservavano, causando danni fisici al suo pilota, Rei. L’EVA 01 invece, sembra agire di propria volontà in diverse occasioni, già prima dello scontro con Leliel, come nel secondo episodio, quello durante lo scontro con Sachiel. Come già visto, Shinji è appena salito a bordo, non sa pilotare l’EVA e quest’ultimo viene massacrato dall’Angelo. Nel momento in cui si interrompe ogni contatto tra la cabina di pilotaggio e il quartier generale, il ragazzo sembra spacciato ma con un urlo ferino l’EVA si ridesta in preda a quello che viene definito berserk, una furia cieca che lo spinge a combattere, fino alla distruzione del nemico.
L’EVA 01 si rianima anche durante un attacco al quartier generale. Shinji si trova su una passerella che corre proprio davanti alla testa del robot, crollano alcune parti sopra di lui, e l’EVA lo ripara con la mano gigantesca dai detriti. Durante un’altra disperata battaglia, l’EVA va in berserk ed è senza alcun controllo, la corazza (che non è protettiva ma costrittiva come dice la dottoressa Akagi) si sfalda e l’EVA si rivela per quello che è: una temibile creatura fatta di carne, dagli istinti primordiali che si avventa, avanzando a quattro zampe, sull’Angelo e lo divora in un bagno di sangue. (19 – Battaglia da uomo).
Nella seconda parte dell’anime scopriamo che Gli EVA sono umani. Sono una specie di clone di essere umani in cui è stata “inserita” l’anima di una persona. Nel caso dell’EVA 01 si tratta dell’anima primigenia della madre di Shinji. Ed è per questo che in pratica solo Shinji può pilotarlo. Il tasso di sincronia tra pilota e robot è alto perché, quando il ragazzo sale a bordo è come se tornasse nel grembo materno, lo stesso vale per Asuka e l’EVA 02, ma non per Rei. L’EVA protegge il suo passeggero come una madre proteggerebbe i cuccioli.
Tutti i compagni di classe di Shinji sono orfani di madre e potenziali piloti di EVA (radunati apposta nella scuola semideserta di Neo Tokyo 3 dall’istituto Marduk, l’istituzione addetta alla ricerca e alla selezione dei piloti), e infatti vedremo uno di loro salire a bordo dell’EVA 03 nel diciassettesimo episodio. (17 – Il quarto soggetto qualificato). Le unità Evangelion rappresentano l’istinto materno allo stadio primitivo. Con tutta la furia e la violenza che questo comporta.
Si potrebbe forse azzardare che l’EVA sia, in senso nietzschiano un superuomo, un evoluzione dell’umano? No. L’uomo, per Nietzsche, è il ponte tra la bestia e il superuomo. E l’Evangelion è decisamente bestiale. Eppure già dalla prima puntata viene detto chiaramente; da Misato, da Ritsuko, dal padre di Shinji, Gendo e dal suo vice, Fuyutsuki; che l’Evangelion è l’unica arma che l’umanità ha per sopravvivere agli attacchi degli Angeli, anzi per sopravvivere in assoluto. Perché? Qui l’intreccio narrativo si complica parecchio, una parte interessante potrebbe essere quella che a che fare con il Progetto per il perfezionamento dell’uomo e La SEELE.
Quello che ha fatto Levi Strauss, in antropologia, valorizzando etnologicamente l’alterità culturale, o Michel Foucault nella ricerca di un altro rispetto alla razionalità con la sua Storia della follia.
La modalità berserk è uno stato di furia non prevedibile dell’attività di un EVA. L’unità si attiva nonostante l’assenza di alimentazione e si comporta come avesse vita propria.
Rei è un clone della madre di Shinji. Potrebbe pilotare anche lo 01 e viene usata come base per il cosiddetto dummy plug. Una sorta di pilota virtuale che possa funzionare negli EVA senza bisogno del pilota in carne e ossa. Nell’EVA 00 c’è l’anima della madre di Ritsuko, che aveva una relazione con il padre di Shinji e che ha strangolato Rei, una delle Rei, da bambina. Per questo l’EVA 00 tenta di distruggere Gendo ed è in conflitto con Rei.
Eine Anime für Alle und Keinen (2 di x)
Neon Genesis Evangelion? Carta carbone da Wikipedia:
Shin Seiki Evangerion, comunemente noto anche come Evangelion, è un anime di 26 episodi del 1995 creato dallo Studio Gainax, sceneggiato e diretto da Hideaki Anno. È uno dei maggior successi (sia commerciale che di critica) dell’animazione giapponese, ed è considerato tra i migliori anime di sempre. Parallelamente alla serie televisiva è stato ideato un adattamento manga per opera di Yoshiyuki Sadamoto (il character designer della serie), che presenta alcune differenze nello sviluppo della sceneggiatura. Nel corso degli anni, sono stati inoltre pubblicati da altri autori tre manga spin-off della serie animata.
“Uno dei maggior successi (sia commerciale che di critica) dell’animazione giapponese.” Si tratta di una descrizione metatestualmente relativa alla cornice stessa in cui si trova questo testo: una raccolta di scritti che osserva la cultura pop attraverso lo specchio della filosofia.
Evangelion è un opera pop. Ha riscosso successo in patria e, in un secondo, tempo nel resto del mondo. Ha avuto delle ripercussioni culturali, ha innescato alcuni meccanismi di consumo relativi al merchandising e si è transmedialmente “spalmato” tra vari mezzi di comunicazione (cinema, videogiochi, web, fanfiction, fumetti, modellismo, giochi di ruolo ecc. ecc.). Ma questo lo rende davvero, intimamente, pop?
In termini macroscopici, quali sono le caratteristiche del pop? La complessità narrativa rientra tra esse?
Potremmo azzardare un “sì certo” come risposta. Eppure Evangelion ha una complessità drammatica che implica una stratificazione concentrica di possibili interpretazioni e comprende un’altrettanto intricata serie di riferimenti ipertestuali e interdisciplinari da far impallidire il più spericolato spettacolo teatrale d’avanguardia. Non solo; la fabula e l’intreccio, si fanno talmente ingarbugliati e densi da sfiorare l’incomprensibile. La mole di dettagli più o meno velati o sottaciuti, per non parlare di quelli del tutto omessi, è tale da rendere, Evangelion un’opera bifronte, essoterica ed esoterica come lo Zarathustra. Per comprendere certi snodi della trama, spesso bisogna ricorrere ad appoggi esterni, al lavoro di qualche fan che con pazienza e perizia si sia messo a guardare e riguardare ogni singolo episodio, esplorando ogni dialogo, anche il più banale, alla ricerca di un dettaglio, di un appiglio, o che abbia raccolto interviste e interventi dell’autore, Hideaki Anno, in varie convention o magazine per appassionati. Evangelion ha bisogno di una guida alla visione e della prontezza di riflessi tipica di uno spettatore allenato a usare il telecomando. Play. Pausa. Consultazione della “guida”, Play, Pausa…
Un disco dei Beatles, per quanto complesso possa essere negli arrangiamenti, nei testi, nella costruzione della melodia e del ritmo, non ha bisogno dello stesso livello di attenzione, di analisi, di conoscenza della materia, di studio di un disco di Arnold Schönberg per essere apprezzato. Evangelion è quindi un’anomalia. Ha il successo di un disco dei Beatles (con le dovute proporzioni) ma la “difficoltà” di un’opera dodecafonica. Lo stesso succede per esempio in “opere pop” come Lost, John from Cincinnati, Flash Forward, Fringe, Battlestar Galactica, o in anime e manga come Eden, Death Note, RahXePhon, Berserk ecc. ecc.
Neon Genesis Evangelion però risale al ‘95, quando ancora i tubi catodici trasmettevano Beverly Hills 90210 e Dawson’s Creek, il cui intreccio era tutto tranne che complesso, e il pubblico generico non era abituato a certe tematiche e costruzioni narrative. Evangelion poi è un anime, un “cartone animato”, e per quanto oggi sembri ridicolo ritenere l’animazione consumo esclusivo dei più giovani, nel decennio scorso si faticava ancora, per lo meno ad alcune latitudini, ad abbattere questo pregiudizio; e infine comunque, con la mappa adeguata l’Isola di Lost è esplorabile, Evangelion no. Né con la “guida”, né affrontando le eventuali letture propedeutiche che vanno dalla Cabala, alla Bibbia, da Freud a Schopenhauer, da Kierkegaard a Nietzsche da Kant a Buddha, da Darwin a Heidegger… Insomma un prodotto difficilmente inquadrabile nella categoria del pop tout court, che però ne ha lo stesso le caratteristiche e la portata. Si tratta di un’opera olistica. La somma delle parti che la compongono è più o altro dal tutto. Non è un caso quindi che rivedere Evangelion, dopo una riflessione post rem sui suoi livelli di lettura, possa renderlo diverso rispetto alla prima visione. Gli Eva, gli Angeli, l’AT-Field, i personaggi stessi possono assumere un valore metaforico che trascende il contenuto formale di ciò che stiamo vedendo.
Oggetto per un soggetto
Già da subito, lo scontro tra l’angelo Sachiel e l’Eva 01 (1- L’attacco dell’Angelo, 2 – Soffitti sconosciuti) potrebbe essere letto, parzialmente ma legittimamente, come una riflessione sul tema dell’altro. Chi è l’altro? Cosa comporta venire in contatto con l’altro? Cosa cerco nell’altro?
In Evangelion sembrerebbe un topos centrale, tanto da ritornare quasi in ogni episodio e venire esplicitata nel terzo episodio da uno scambio tra due personaggi principali della serie, la dottoressa Ritsuko Akagi e il capitano Misato Katsuragi. Parlando di Shinji, Ritsuko dice a Misato che il ragazzo sta vivendo il dilemma del porcospino: tanto più due esseri si avvicinano tra loro, molto più probabilmente si feriranno l’uno con l’altro. (3 – Un telefono che non squilla) Allegoricamente potrebbe succedere proprio questo nello scontro: l’Eva 01 si avvicina all’Angelo, all’altro, ne supera la barriera emotiva, l’AT-Field, e viene in contatto con il nucleo, con l’essenza intima dell’altro. La cosa però è molto, molto dolorosa. Addirittura letale per uno dei due. A restare in piedi sarà il più adatto a vivere.
Ma cosa significa il più adatto a vivere? Più avanti nel corso della narrazione si scopre, o meglio si intuisce, che gli Angeli, i “mostri” che attaccano l’umanità, i nemici, gli altri: non sono che diverse possibilità di esistenza, altre forme di una possibile evoluzione dell’umano. Solo il più adatto può sopravvivere, la convivenza è impossibile. Adatto non significa più forte. Non è una questione darwiniana, è semmai una questione di volontà, al limite del nietzschiano. Il più adatto alla vita è colui il quale vuole vivere. Gli spunti forniti dall’anime, però come già detto non sono affatto lineari, e il carattere stesso del protagonista rimette in discussione – di nuovo – tutto.
Shinji non sa perché vive e non sa se vuole vivere. La vita fa male. Vivere significa entrare in contatto con gli altri, e allora la felicità è fare quello che agli altri fa piacere, fare quello che dicono gli altri per piacere agli altri ed essere accettati appagando il proprio bisogno di consolazione. Ma è così? Per quale motivo Shinji entra nell’Evangelion, se la cosa, può essere dolorosa per il corpo quanto per la mente?
Shinji, si dimostra del tutto incapace di relazionarsi, fisicamente e sentimentalmente con chiunque, la sua barriera difensiva, il suo AT-Field, è perennemente alzata e quando tenta di abbassarla prova dolore. Shinji si difende proprio come un riccio, e quando tenta di avvicinarsi a qualcuno si fa e fa male. Per questo anche nei momenti di tensione erotica il contatto non avviene, come quando prova a baciare l’altro pilota dell’EVA, Asuka, nel sonno e poco prima che le sue labbra tocchino quelle di lei si ritira. Allo stesso modo, all’inizio del film prodotto dopo la conclusione regolare della serie , Shinji, seduto al capezzale di Asuka in coma, dapprima prova a scuoterla per farla rinvenire, urlando che ha bisogno di lei, poi quando non ci riesce, si allontana e si masturba osservando il suo corpo. Il suo sentimento confuso ma potente nei confronti della ragazza, lo respinge. Non la tocca, non la bacia, non le parla. Si allontana ed esprime il suo amore per lei senza contatto per poi mormorare tra sé: “sono un verme”. (Neon Genesis Evangelion: Death and Rebirth: Rebirth)