Radiodead. Ovvero, un amabile progresso chiamato morte

rh southparkNelle recenti settimane sono venuti fuori gli ultimi lavori di varie band a me care: la musica della mia gioventù, avrebbe detto mio padre con espressione vagamente retrò e riferendosi, nel suo caso, agli anni 60. Per quanto mi riguarda parliamo invece degli anni 80 e 90. In ordine sparso infatti sono usciti LP, singoli o EP di Radiohead, Massive Attack, Red Hot Chili Peppers, The Cult e forse qualcos’altro che ora mi sfugge.
In questi giorni ho ascoltato spesso i Radiohead, che secondo me hanno fatto un album di grandissima qualità, e più li ascoltavo più mi chiedevo come mai in molti, anche fra gente assai più titolata di me per parlare, li abbiano criticati definendoli spompati, monotoni, esaurita la voce di Thom Yorke, lontani i tempi della tensione rock di Pablo Honey e The Bends o delle sperimentazioni davvero innovative di OK Computer e Kid A ecc. Noto peraltro che non li passano mai in radio, mentre gli ultimi singoli dei Red Hot o dei Cult, per dire, li sento spessissimo.
Un po’ per inerzia un po’ per cazzeggiante curiosità allora ho finito per riascoltarmi brani e album vecchi di tutti questi miei antichi beniamini, ritrovando sensazioni di un tempo e facendo raffronti. Sono arrivato a una conclusione personale: i Radiohead di oggi infastidiscono molti vecchi fan perché gli ricordano che la morte si avvicina.
Intendiamoci, Thom e soci non sono mai stati degli allegroni, ma nemmeno portano sfiga. Cerco di spiegarmi meglio. Prendiamo uno dei miei pezzi preferiti in assoluto, come Just o anche My Iron Lung. Li adoro e penso mi piaceranno sempre, ma è anche vero che sono brani fortissimamente anni 90, connotati da quel suono scrauso che i gruppi di allora (penso a partire dai Nirvana o giù di lì, ma ripeto non sono un esperto, abbiate pazienza) affermarono sbattendolo in faccia a chi dominava la scena di prima. Poi York e compagni si spostarono, arrivò la maggiore attenzione all’elettronica di Ok Computer e poi le sperimentazioni di Kid A e ancora e ancora. Se oggi mi propinassero un pezzo tipo Just, penso rimarrei perplesso, magari mi piaciucchierebbe pure ma mi verrebbe da chiedergli perché fare una copia di sé stessi quando si possono comodamente riascoltare gli originali su Youtube?
Se prendi Dark Necessities dei Red Hot o Hinterland dei Cult, le loro ultime uscite, la sensazione invece è proprio quella: non li distingui da un pezzo di vent’anni fa e più. Hinterland (che pure mi piace un sacco) potrebbe stare benissimo dentro Love, un album del 1985. Quella dei Red Hot mi fa abbastanza cacare ma il concetto è lo stesso: buttala dentro Californication e non se ne accorge nessuno. Però tutti sono contenti e le radio ringraziano.
Coi Radiohead questo non si può fare. Può non piacerti la direzione che prendono, ma non puoi negare che la loro musica abbia una direzione e che sia in evoluzione continua almeno quanto il look del loro frontman (palpebra a mezz’asta a parte). Loro non stanno fermi, o almeno non fingono di star fermi come altri colleghi coetanei. Questo impone a chi li ascolta di confrontarsi con un cambiamento e di scoprire quanta fatica, anno dopo anno, si faccia a reggere questo confronto, per non parlare dell’impossibilità di provare l’entusiasmo che davanti al cambiamento rende euforici i giovani.
E allora noi vecchi fan, che amavamo così tanto atteggiarci a bohémien senza fame né tisi né un pensiero in testa a metà anni 90, oggi ci accorgiamo che certe vecchie emozioni ci sono negate, perché oggi c’è la crisi e il mutuo e quella tossetta che non mi piace per niente, e tutto è cambiato (ma improvvisamente il cambiamento non ci sembra più così fico). Tutto è cambiato, anche la musica dei fottuti Radiohead. Proviamo un disagio sottile e rimaniamo intrappolati in un meccanismo di negazione che si manifesta con l’arrabbiatura verso questi nostri vecchi idoli che non assomigliano più ai ragazzotti di cui compravamo i dischi, e anzi nemmeno ci provano. Di reazione, preferiamo un bel tuffo nel revival dei gruppi che suonano come le copie sbiadite di quello che furono tanti anni fa.
I Radiohead, insomma, venderanno poco perché i loro migliori fan hanno 40 anni e non si sono ancora abituati all’idea di dover morire.
P.S. I Massive Attack come al solito spaccano il culo.

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2 thoughts on “Radiodead. Ovvero, un amabile progresso chiamato morte

  1. non seguo e non conosco i Radiohead. Non li ho mai seguiti e mi astengo dal giudizio. Sono un 65′ e fan di THE CULT da una vita. A me Hinterland piace molto. Come hai scritto potrebbe essere anche dentro Love tuttavia il suono della chitarra è molto cambiato, Duffy suona molto meno “liquido”, insomma, secondo me suona più “hard”. La voce di Ian non è più la stessa ma i concetti delle canzoni e i testi sono moderni e attuali. E impegnati. Grazie per il post.
    Tiziano G.

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