Il New Italian Epic è “morto” (Intervista)

 

nieIl New Italian Epic è morto. È morto perché recava in sé il suo epitaffio con tanto di date: 1993-2008; ed è giusto che sia così, in un paese in cui non sembra morire (né nascere) mai nulla, in cui il ciclo della vita è arrugginito, inceppato. Il memorandum sullo stato di una parte della narrativa italiana degli ultimi tre lustri, scritto inizialmente da Wu Ming 1 in occasione di una conferenza in Canada, ha portato dopo molti anni il dibattito letterario e la critica fuori dai salotti, dalle accademie e dalle redazioni asfittiche dei giornali. Le diramazioni, gli interventi, le critiche e le polemiche non sono mancate nel corso dell’anno passato, segno che, al di là delle opinioni, su quanto scritto da Roberto Bui, il saggio ha portato aria fresca in un panorama stagnante. Il più grande pregio dello scritto è stato quello di rimanere liquido, di individuare una nebulosa di opere; che si intrecciano, si sfiorano, si muovono su direttrici simili anche se lontane; senza congelarle irrimediabilmente in un genere o in una definizione. Il New Italian Epic è un punto di partenza non un punto di arrivo, la sua decomposizione rende il terreno fertile, le sue caratteristiche non sono regole ma ancoraggi provvisori per un banco di meduse in movimento nei flutti della letteratura italiana. E questo la critica ufficiale non sembra averlo colto.
A mesi di distanza dalla prima apparizione in rete del saggio, Einaudi Stile Libero darà alle stampe a fine mese la versione 3.0, ancora inedita, di New Italian Epic, Letteratura, sguardi obliqui, ritorno al futuro (pagg. 208, € 14,50) ampliata e affiancata da il testo di un intervento londinese di Wu Ming 1 Noi dobbiamo essere i genitori e da un lungo lavoro inedito di Wu Ming 2 intitolato La salvezza di Euridice. Negli stessi giorni arriva in libreria, per le edizioni Il Melangolo, anche il saggio di Gaia De Pascale Wu Ming. Non soltanto una band di scrittori (pagg. 120, € 11).

Ho incontrato Wu Ming 1 e Wu Ming 2.
Come nasce l’idea del saggio sul NIE, da quale esigenza e cosa sarebbe, per chi non lo sa, il NIE in breve?
WM1: Se vado a pescare i ricordi con l’intento di trovare il momento, l’episodio che ha messo in moto tutto questo ambaradàn, in realtà ne trovo diversi, e alcuni sono raccontati dentro il libro, però ce n’è uno che… Insomma, mi è tornato in mente un “Click!” che ho sentito, forte e chiaro nella testa a fine 2006. Avevo appena visto un film, The Prestige di Christopher Nolan, storia della rivalità tra due illusionisti nella Londra di fine Ottocento – inizio Novecento. Mi aveva molto colpito, era un film “storico” e fantascientifico (affine al cosiddetto “steampunk”, il cyberpunk-a-vapore). Era anche un mystery rivoltato su se stesso come un calzino, e una riflessione sulla scienza e la morale, su quanto di noi stessi siamo disposti a perdere per la dedizione a un compito. Aveva una sceneggiatura complessa, a scatole cinesi, ma scatole cinesi assurde, da quadro di Escher: la più piccola sembrava contenere la più grande. Si svolgeva in un passato esplorato in modo sghembo, e parlava del presente con… sottile aggressività, proponendo un’allegoria dei nostri tempi assolutamente non ovvia, sfuggente, che più ci pensavi più si arricchiva e ti stupiva.

E qual è stato il “click” a cui accennavi?

WM1: L’operazione di Nolan mi suonava familiare, e infatti era uno specchio sbattuto in faccia a un’intera generazione di scrittori italiani: “Ecco, guarda!” Mi suonava familiare perché da anni, insieme ai miei compagni di collettivo e a molti altri autori, lavoravo a una poetica molto affine: uso deviante del passato o di non-tempi, sguardi “strani”, noncuranza per le barriere tra i generi, allegoria “mossa”, tentativi di scrivere storie che fossero al tempo stesso sperimentali e popolari, il tutto con una forte tensione etica (la stessa che c’era in quel film). Spesso devi uscire da te stesso, vederti da fuori per capire meglio quel che stai facendo. La visione di un film anglo-americano diverso dal solito ha fatto partire un ruminìo sulla letteratura italiana più recente, o almeno su parte di essa.
Un anno dopo, un viaggio in Canada per un seminario sulla narrativa italiana mi ha dato l’occasione di mettere un po’ di ordine nei pensieri e buttare giù quello che sarebbe diventato il memorandum. Se ho coniato l’espressione inglese New Italian Epic anziché nuova epica italiana, è per mantenere questo sguardo da fuori. Se si sta troppo immersi nella caciara italiota, si fatica a ragionare.

WM2: Il primo spunto nasce con la lettura delle recensioni americane di 54. Quasi tutti i commenti collocavano quel nostro romanzo nell’ambito della letteratura postmoderna. Ora, se questo è giusto per alcune sue caratteristiche narrative, l’etichetta è invece molto fuorviante sul piano della sensibilità profonda. Allora abbiamo cominciato a chiederci: in che cosa non siamo più “postmoderni”, pur essendolo, inevitabilmente, per tante altre scelte? Rispondendo, ci siamo poi accorti che certe “differenze” ci accomunavano ad altri autori italiani. E così abbiamo cominciato a indagarle meglio.

Il memorandum è uno scatto fotografico su un periodo ben preciso, e come tale ormai è già passato…

WM1: La posta in gioco in realtà è il futuro, la nostra voglia e capacità di visualizzarlo e progettarlo. Un’opzione a cui, negli anni del postmoderno, gran parte della letteratura aveva rinunciato in nome dell’eterno presente e del disincanto. Il memorandum descrive gli ultimi quindici anni di produzione letteraria italiana (ripeto: parte di essa) ma al tempo stesso, mentre camminiamo rivolti all’indietro, gettiamo occhiate alle nostre spalle, e cerchiamo di vedere come sarà l’avvenire.

WM2: L’elemento temporale è importante, perché impedisce di trasformare il NIE in una corrente, o peggio, in una scuola. Il NIE, come nebulosa di opere pubblicate tra il 1993 e il 2008, è già finito. D’altra parte, le caratteristiche comuni individuate in quelle opere, torneranno senz’altro in nuovi romanzi, ma la sfida è ad andare oltre il “già visto” e il “già catalogato”.

La versione Einaudi in cosa è diversa da quello pubblicato in rete e scaricato da decine di migliaia di persone (quante)?

WM1: Penso che ormai i download siano circa 44.000, ma posso contare solo quelli da wumingfoundation.com, e il testo è presente anche in altri siti. Il libro è il risultato di un lavoro diffuso, comunitario: già la versione “2.0″ del memorandum era arricchita con precisazioni, integrazioni, risposte a critiche e suggerimenti. La “3.0″ è ulteriormente ampliata, ri-montata e divisa in due parti (”New Italian Epic” e “Sentimiento nuevo”). Anche il saggio di Wu Ming 2 su Euridice è l’esito di un lavorìo molto lungo, pure quello nasce da un intervento fuori dall’Italia, per la precisione a Siviglia, ed è stato “provato” in pubblico, come fosse musica, in diversi momenti pubblici, tra cui due incontri con gli studenti dell’Onda, a Bologna e Milano.

Vi aspettavate un dibattito così vivace su una tematica che di solito è solo o quasi per addetti ai lavori?

WM1: Certo che sì. L’alzata di polverone era scontata. Negli ultimi anni certa critica non ha fatto che ripetere: non si muove niente, non c’è niente, fa schifo tutto, la letteratura italiana è morta con Pasolini… All’insaputa di questi pugnettari, si muoveva tutto un mondo, di cui i lettori si erano accorti, e di cui si parlava diffusamente negli altri paesi, mentre qui le pagine culturali dei giornali parlavano del pancreas di Croce conservato in formaldeide.

WM2: Mi aspettavo la reazione “interna” (il coinvolgimento di scrittori, critici, editori, lit-blog), ma molto meno quella dei lettori “comuni”, che invece hanno colto subito l’intreccio tra gli aspetti letterari, epici e politici di tutto il discorso.

Come si completano i discorsi sul NIE, sull’essere genitori e su Euridice? Insomma che c’entrano l’uno con l’altro e perché nello stesso testo?

WM1: I tre testi si sfidano tra loro e al tempo stesso si completano. La continuità tematica e poetica di tutte le pagine sarà evidente a chiunque legga.

WM2: La versione iniziale de La salvezza di Euridice nasce in contemporanea con il memorandum sul NIE. WM1 ed io abbiamo preparato i due testi negli stessi giorni, senza sapere l’uno cosa bollisse nella pentola dell’altro. Inoltre, i contesti dove avremmo presentato le due lecture erano molto differenti e gli spunti di partenza anche. A un certo punto abbiamo condiviso gli appunti e ci siamo resi conto che, per strade parallele e con approcci molto differenti, eravamo arrivati a dire cose molto simili (in particolare rispetto alle caratteristiche peculiari di certa narrativa).

“Il New Italian Epic è una baggianata. È solo autopropaganda.” ha detto Carla Benedetti al quotidiano “Libero”: è indubbiamente un ottimo disclaimer per il lancio del libro… ma le critiche negative si sono limitate a questo o qualcosa di interessante lo avete trovato?

WM1: Sì, si sono limitate a questo e no, non lo abbiamo trovato.

WM2: Ho trovato interessanti alcune critiche “interne”, fatte da chi non nega l’evidenza del NIE, ma prende le distanze da alcuni elementi della nostra analisi. Ad es., Tommaso Pincio quando sostiene che gli “oggetti narrativi non-identificati” sono efficaci e perturbanti solo se non rinunciano a dirsi “romanzi”. Oppure chi ha sottolineato la possibilità di intendere la I di NIE come “International” piuttosto che “Italian”. O ancora, chi ha discusso nel merito il catalogo di opere stilato da WM1.

 

Articolo pubblicato su Panorama.it  il 23 gennaio 2009

1 thoughts on “Il New Italian Epic è “morto” (Intervista)

  1. Ovviamente la boutade che serve da incipit (e qui da titolo) all’Ipnagogico Intervistatore è da ritenersi, appunto, boutade, taglio d’accetta, utile a smuovere le acque con un micro-shock contro-intuitivo. Solo capendo questo chi legge eviterà di incartarsi nei possibili equivoci. Attenzione a quel che risponde Wu Ming 2 nell’intervista: la nebulosa così come la conoscevamo è finita. Questo è il senso. Il 2008 è un anno spartiacque perché la nebulosa è stata avvistata in quanto tale, gli autori delle opere in oggetto (almeno quasi tutti) hanno acquisito coscienza delle intime connessioni e dei tratti comuni. Da questo momento, l’approccio è diverso. Vuol dire che “muore”, la nebulosa? No. Le nebulose sono nubi cosmiche di polveri, idrogeno e altri elementi. Si trasformano, mutano in contorni e densità. Fuor di metafora: stiamo parlando di una nebulosa di *opere*. “Muoiono” i movimenti di autori (per i cattivi: le cricche). Le opere rimangono, cambiano nella nostra percezione, continuiamo a interrogarle nel tempo.
    [In questo senso, a ben guardare, non muoiono nemmeno i movimenti. I movimenti cosa sono se non grandi, complesse opere totali? E’ morto il surrealismo? No, continuiamo a studiarlo, interrogarlo, farci i conti.]
    Il New Italian Epic è vivo perché è un insieme di opere. Le opere che verranno continueranno a farci i conti. Il New Italian Epic si trasforma, non avrà nemmeno più bisogno di un nome. L’importante è essere consci che, nelle pratiche e poetiche diffuse, si è smosso qualcosa. E’ successo in Italia, come articolazione specifica e peculiare di uno smuoversi planetario. E’ successo in Italia, perché questo rimane un laboratorio. Qui si creano eccellenza e mostri (forse più i primi della seconda, ma sono comunque mostri eccellenti :-))

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