Nel buddismo, che lui praticava in modo personale e sincretico con altre confessioni, non è importante chi sei o cosa vuoi, perché il fine è il distacco, il non essere, il non volere. Secondo Sai Swami, però, prima di potersi allontanare dal fardello di ciò che si è e si vuole, bisogna prima capirlo, esserlo, volerlo, ottenerlo. E solo dopo allontanarsene, buttarlo via, anzi, lasciarlo indietro. Durante il nostro primo incontro mi aveva parlato di Shiva, la divinità indù, e non lo aveva fatto per caso. La sua convinzione, che poi diventò anche la mia, è che la mia natura sia quella di distruttore. Distruggere è il mio talento innato. Il mestiere che mi sono scelto ne costituisce una prova evidente. A differenza di Shiva, che distrugge per alimentare il ciclo dell’esistenza, il ruolo di distruttore che esercitavo era sterile, perché finalizzato a scopi meschini, alla mera indulgenza verso le debolezze umane. Distruggevo per il denaro, per il potere, per fini politici, per sottrarmi a ricatti. Probabilmente anche il semplice fatto di avercelo, un fine, bastava a corrompere la pura essenza del mio ruolo. Fosse anche stato un fine meritorio come la pace nel mondo (e certo non lo era) non avrebbe mutato la sostanza del mio errore. Io ero un distruttore e dovevo esserlo nel senso più completo e indipendente. Distruggere per distruggere, essere parte integrante e consapevole del divenire dell’universo. Portare la morte perché da essa potesse tornare a generarsi la vita. Il che, in termini più prosaici e concreti, stava a significare che da quel momento avrei distrutto tutto e tutti e non solo in un senso, non in favore di qualcuno e a discapito di qualcun altro. Avrei distrutto il distruggibile, fino a bruciarmi dietro i ponti, fino anche a segare il ramo sul quale stavo seduto. Perché no, in fondo? Perché non bruciare tutto e stare a godere lo spettacolo delle fiamme?
Da quando ho compreso tutto questo, sono diventato quello che già ero, ma non sapevo di essere. Il Cardinale oggi ha un nuovo spirito e un nuovo nome. Chi mi conosce davvero, oggi mi chiama Prem Satien.
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Il 1° quaderno di Cirene
Venerdì 22 gennaio è stato un grande giorno in quel della Cirenaica a Bologna.
#ResistenzeInCirenaica ha fatto un’altra volta il botto. Il VAG 61, lo spazio autogestito di via Paolo Fabbri, che ha ospitato i reading sonorizzati e gli spettacoli era murato e un resoconto di quello che è successo lo hanno già fatto egregiamente i cugini Wu Ming su Giap!
Da queste parti vogliamo ringraziare tutti quelli che hanno reso possibile l’esistenza stessa di #ResistenzeInCirenaica.
Noi (Kai Zen e Bhutan Clan), Wu Ming, la Compagnia Fantasma, Valerio Monteventi, Mara Menna, Claudia Grazioli, Guglielmo Pagnozzi e le Brigate Sonore saliamo sul palco e ci mettiamo la faccia, ma sono tanti quelli che dietro le quinte sgobbano quanto e più di noi per fare in modo che questo incredibile cantiere delle narrazioni sia quello che sia e diventi sempre più grande e interessante. C’è chi ha cucinato, chi ha impaginato, chi ha rivisto, chi ha attacchinato, chi ha fatto il fonico, c’è chi ha disegnato, chi ha venduto i libri, chi ha discusso, chi ci ha fatto cambiare idea, chi ci ha fatto dubitare, chi ci ha supportato e sopportato. C’è chi ha spillato birra e chi ha mescolato la polenta, c’è chi ha scovato le storie, chi ce le ha raccontate, chi ci ha ispirato e chi ci ha cazziato, chi ha montato, smontato e rimontato, chi ha guidato e scaricato furgoni, c’è chi ha fotografato e ripreso, chi ha giocato con i nostri figli tenendoli a bada e chi ci ha ospitato in radio…
A loro, va tutta la nostra riconoscenza perché noi siamo le voci, i megafoni e i tamburi, loro sono il cuore delle Resistenze. Per questo l’ultima pagina del 1° quaderno di Cirene, quella con i nomi di alcuni di loro è forse la più importante del quaderno.
Il 1° quaderno di Cirene, già, il libro che raccoglie le storie che abbiamo raccontato durante questo primo ciclo di #ResistenzeInCirenaica… Siamo molto orgogliosi di questo volume, che in un’ora al banchetto del VAG ha venduto più di quanto venda un qualsiasi scrittore mediamente noto per una grande casa editrice in diversi mesi.
Lo trovate qui: www.distribuzionidalbasso.com/resistenze-in-cirenaica/
Vi aspettiamo il 26 febbraio, perché questo è solo l’inizio.

Illustrazione di Luigi Bevilacqua
I quaderni di Cirene sono in arrivo
Questa è la storia di un uomo di settant’anni che ha tenuto testa a un esercito invasore.
Questa è la storia di una ragazza deportata che è diventata donna combattendo in un altro paese.
Questa è la storia di un giovane medico arrivato ai cancelli dell’Eden dal profondo Nord in cerca di se stesso.
Questa è la storia di un italiano dai molti nomi che ha combattuto in Spagna, in Cina, in Etiopia e in Francia prima di tornare a casa e continuare a combattere.
Questa è la storia di un ragazzino dal cuore di leone che voleva far fuori i nemici della libertà.
Questa è la storia dell’uomo che fece sparire il radio.
Questa è la storia del comandante gentile che gli amici chiamavano Lupo.
Questa è la storia di un ferroviere anarchico.
È la storia di due luoghi chiamati “Cirenaica”: un rione di Bologna con le vie intitolate ai partigiani e una regione della Libia dove l’Italia ha commesso un genocidio.
È la storia degli abitanti della Cirenaica vicina che hanno deciso di ricordare la Cirenaica lontana.
Resistenze in Cirenaica Reloaded
Segnatevi la data: il 22 gennaio, a partire dalle h. 18, al Vag61 di Bologna ritorna Resistenze in Cirenaica. Presenteremo l’omonimo libro autoprodotto, che raccoglie i materiali della giornata del 27 settembre (testi, foto, disegni), integrandoli con altre informazioni, mappe, e stralci della seduta del 1949 durante cui il consiglio comunale votò la rimozione dei toponimi coloniali dalle vie del rione Cirenaica.
Con quest’autopubblicazione inauguriamo la serie chiamata «I Quaderni di Cirene». Dopo la presentazione, cena di autofinanziamento, e dopo la cena, reading con musica. Perché Omar al-Mukhar, tuttora calunniato dagli «italiani brava gente», cavalca ancora. Altri dettagli a seguire. Ci vediamo in via Paolo Fabbri 110.
A proposito, ma chi era ‘sto Paolo Fabbri, che tutti han sentito nominare per via dell’album di Guccini? Beh, era un grande. Lo sapevate che fu tra gli organizzatori della fuga da Lipari di Emilio Lussu, Carlo Rosselli e Francesco Fausto Nitti.
Di nuovo sul Delta
In viaggio co’ papà
Con l’ineguagliabile modello di riferimento di papà Alberto Sordi nel film del 1982 in testa e negli occhi (un Carlo Verdone superbo nella parte del figlio Cristiano), e con la piena ed entusiastica intenzione di provare perlomeno a scimmiottarne piccole dosi di sano egoismo e deliziosa paraculaggine nei confronti della prole, sono partito giorni fa per una vacanza al mare da solo con le mie due piccole camioniste italo-olandesi. Abbiamo caricato tutto sullo Scania e via! Destinazione Inferno.
Sì, perchè non ho calcolato bene una serie di cosucce, mesi orsono, nel proporre sborone e a petto gonfio questa atipica combinazione familiare per una vacanza. Ve ne snocciolo sotto alcune, in sincera condivisione, mentre altre sono ancora incagliate da qualche parte nel mio subconscio, o forse mi vergogno solo un pò a dirle. Dopotutto sono anche un padre, oltre che un maledetto camionista sboccato. E che cazzo!
- La giornata spesa con i figli in vacanza è lunga. Lunghissima. Incredibilmente lunga. E verso sera ti accorgi che no, non è così in verità, non è lunga. È interminabile. È ben diverso, amici, perchè la lunghezza, seppur superlativa, è sostenibile, mentre l’interminabilità ammazza qualsiasi germoglio di speranza. Oscura l’orizzonte. Tarpa le ali. Quando alle dieci di sera, dopo una giornata vissuta insieme appassionatamente, i figli ti chiamano in continuazione dalla loro stanzetta bollente nel bungalow di simil-legno dicendo che ne so… che hanno caldo, sete, prurito, non hanno sonno o qualsiasi altra stronzata, allora capisci che è così. È interminabile, la giornata in vacanza da solo coi figli. Bellissima, eh? Ma senza fine. E un pò ci rimani. Lo sapevi, ma un pò ci rimani.
- Il campeggio e il mare sono belli, ma cristo santo moltiplicano la stanchezza per dieci. Perchè? Non saprei. Dicono per il sole, il caldo, la minor comodità, il minor comfort. La sabbia in bungalow, i pochi asciugamani puliti, cosa vi devo dire… fatto sta che avevo portato tre libri da leggere, in uno slancio ottimistico, pensando a lunghe serate sul mare con un occhio al bungalow chiuso con il figliame dormiente, uno alla combricola di amiche ventenni che soggiornano di fronte in tipiche pose provocatrici e uno (quale?) appunto al romanzo in lettura. Ma non c’è stato verso, il terzo occhio era sempre troppo stanco. Le saracinesche oculari calavano puntualmente ogni sera, poco dopo l’ultima chiamata di una figlia per che ne so… sete, o caldo. E i libri sono rimasti irrimediabilmente chiusi.
- La cucina a gas in campeggio ci mette una vita a far bollire l’acqua, e questo si sa. Ma che accadesse anche nei cucinini dei bungalow – in tutto e per tutto delle vere e proprie cucine – non me lo aspettavo proprio. Dunque è proprio la condizione di ‘campeggio’ che influisce, in qualche modo. In ogni caso, l’eterna attesa dell’acqua che bolle per una fottuta pasta al pesto o in bianco spesso mi ha recato danni, con tutto il vicinato che pasteggiava rumorosamente a due, tre o anche quattro portate, e noi tre, dinastia di camionisti abbrustoliti e affamati, in nervosa attesa. Fanculo.
- È matematico, se si fa il bagno tutti insieme, una figlia vuole andare fino oltre gli scogli senza niente (intendo braccioli, materassino, maschera, occhialini ecc.) e l’altra invece vuole stare a un metro dal bagnasciuga, in acqua ad altezza caviglia, con braccioli e ciambella, lamentandosi della temperatura fredda. E tu che fai? Entrambe ti chiamano in stereofonia, a ritmo crescente, e vogliono imporre la loro scelta agli altri. Prima vai da una, poi dall’altra, poi torni dalla prima, poi dalla seconda. Ci provi. E a lite ovviamente irrisolta, ti giri, fai un bel tuffo a pesce e te ne vai da solo verso il mare aperto, in un goffo stile libero, sentendo le loro proteste ogni 3/4 secondi, per un istante solo, mentre la bocca e metà faccia riemergono per respirare. E te ne freghi.
- La gente dopo un paio di giorni massimo si è già sparata film incredibili su cosa c’è dietro il bizzarro trio di rozzi ma dolcissimi individui. Sarà vedovo? Sarà stato lasciato? Sarà un ragazzo padre? Un mammo? Oppure le ha rapite? Le tiene in custodia? E la cosa strana è che più normale sei, meno chiassoso e invadente, meno problematico, più la gente pensa male. E/o si impiccia. Crede che non sei all’altezza. Forse pensa al proprio marito o al proprio figlio, gente incapace di farsi un uovo al tegamino. E impicciandosi attira su di sè irrimediabile l’antipatia di un camionista sudato e innervosito dalla troppa attenzione, tipo la sciura che un giorno si è permessa di affacciarsi alla nostra veranda con la padella piena di scaloppine alla pizzaiola dicendo: ‘Posso lasciarti un pò di queste, che ‘ste bimbe so’ tanto carine ma so’ tutte ossa, so’… Non ti offendi, vero?’
PS: però le scaloppine erano buone, cazzo!
Le origini del nome
Più di dieci anni fa, agli albori dell’entusiasmante esperienza kai zen (ai quali soci fondatori, tra l’altro, consegno ancora gratis caciocavallo e melanzane sott’olio del paese come forma di riconoscenza per la cultura che ci infondono- anzi, sarebbe anche ora di parlare di un corrispettivo ma questi fanno gli indiani, fanno…), alla fine di una psichedelica serata ‘letteraria’ a Sanremo o giù di lì, ormai satolli e con gli occhi a X stile manga, un gruppo di giovani sedicenti appassionati di libri, alcol e sigarette arrotolate si ritrovarono a casa di una delle organizzatrici a consumare le ultime, fievoli fiammelle di lucidità mentale. E a ridere come dei matti senza motivo alcuno. Si parlava delle origini del proprio nome, cioè perchè uno si chiama così e via dicendo. Niente di meno, cazzo. Continua a leggere
Ricerca sul campo
E domani, venerdì 9, in quel della fiera del libro della piccola e media editoria di Roma, il vostro affezionato Kai Zen di quartiere J presenta “Ricerca sul campo” di Mischa Berlinski (ore 17, sala turchese).
Mischa Berlinski nasce a New York nel 1973. Studia alla Berkeley University in California e alla Columbia University, per poi lavorare come giornalista freelance in Thailandia. Con questo suo primo romanzo è finalista al National Book Award nel 2007 e l’anno successivo gli viene riconosciuto il Whiting Writers’ Award. Oggi vive in Italia. Continua a leggere
Anche no
Certo, lo sappiamo bene, amici appassionati di libri e di letteratura, o anche solo amanti della parola e delle sue infinite vie. Il linguaggio di oggi – sia scritto che parlato – è pieno zeppo di imprecisioni, esagerazioni, abbreviazioni e manipolazioni di ogni tipo, diventando sempre più scadente e svuotandosi spesso di significato. Verissimo. La gente oggi parla peggio di trent’anni fa, basta guardare Rai Storia e i fantastici programmi degli anni ’80 che ogni tanto rimanda in onda. La tecnologia, il bisogno di apparire sempre ggiovani, la rete, il tempo reale… tutto questo ha prodotto e produce ogni giorno nuovi mostri semantici, parole, espressioni e modi di dire che era sinceramente meglio evitare, nella maggior parte dei casi. Siamo d’accordo. Continua a leggere
La peggior fine di film mai girata
Nonostante le mie origini nel polveroso New Mexico, gli stivali a punta duri come l’acciaio e le paghe settimanali sciupate senza ritegno soltanto qualche ora dopo, al bancone di qualche merdosissimo bar che propone country di quarta categoria in filodiffusione, ho sviluppato un raffinato senso della cultura, io. Tsè. Certo, come voi europei, che vi credete? Di essere gli unici al mondo ad aver letto una manciata di libri?
Sono redneck, ma non per questo mi piace la robaccia. O meglio, ovvio che mi piace certa robaccia, ma non proprio tutta. Per esempio, l’altra sera me la sono fatta addosso dalle risate per queste immagini sotto.
😀
La peggior fine di film mai girata, non c’è dubbio.
Tanto ridicola da avere il suo fastino.
Incredibile.
Godetevela anche voi.