Eine Anime für Alle und Keinen (5 di x)


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Che scelta ho? Scegliere è assurdo, non c’è azione “moralmente migliore”. Per dirla con Sartre ai fini dell’essere “[…] è la stessa cosa ubriacarsi in solitudine o guidare i popoli.”

Sartre rifiuta possa esserci qualcosa che trascenda l’individuo, qualcosa che non si leghi all’esperienza soggettiva, ponendosi come a priori dogmatico. Allora il dovere (quale necessità di agire nel rispetto della legge dell’imperativo categorico, quale norma della razionalità da cui derivano le esigenze morali) non ha senso perché Angeli ed esseri umani sono mossi da un imperativo che li costringe a sopravvivere, e per fare questo devono eliminarsi a vicenda. Essere Angelo o essere umano è ugualmente assurdo (ubriacarsi in solitudine o guidare popoli è identico). Entrambi devono fare i conti con l’etica e con la libertà.

Ma se gli Angeli, che compulsivamente sono attratti dal sottosuolo di Neo Tokyo 3, sembrano non possedere il libero arbitrio, gli esseri umani sembrerebbero averlo a portata di mano, come quando colsero il frutto proibito. Eppure alla domanda “perché piloti l’EVA?” Shinji non sa rispondere. Anzi dice a Misato che se dovesse morire nel farlo, non avrebbe importanza (4 – Fuga sotto la pioggia). Cosa rimane dunque? La morte. Anzi la possibilità della morte.

Una volta arrivati al cuore di Neo Tokyo 3, dopo uno scontro tra EVA 01 ed EVA 02 (guidato mentalmente dall’Angelo), Kaworu scardina le regole: sceglie. Si fa responsabile del suo destino e si libera. Una scena tanto statica quanto drammatica riempie lo schermo, l’EVA 01 stringe nel pugno mastodontico il corpo fragile del ragazzino. A Shinji basta un gesto, un pensiero, per serrare la morsa e stritolare Kaworu. L’inno alla gioia di Beethoven invade le casse, l’immagine rimane immobile per minuti e “la musica potrebbe in qualche maniera sussistere anche senza l’esistenza dell’universo.”

Poi l’Angelo parla.

Kaworu: Ti ringrazio, Shinji. Confidavo che tu fermassi lo 02. In altro modo, probabilmente io avrei continuato a vivere […]

Shinji: Kaworu, ma perché?

Kaworu: Perché io dovrei vivere in eterno, tale sarebbe il mio destino, anche se ciò risulterebbe nella distruzione dell’uomo. Però, io posso anche morire a questo modo, vita o morte hanno negli effetti lo stesso valore per quanto mi riguarda. La morte volontaria è anzi l’unica mia libertà assoluta. (24 – L’ultimo messaggero sacrificale)

Per Kaworu, come per l’uomo, l’esistenza stessa è niente meno che assurda – “vita o morte hanno negli effetti lo stesso valore” – e solo l’idea del suicidio può renderla dignitosa, in quanto unico atto davvero libero, come rammentava Cioran in un’intervista a Fernando Savater.

Ricordo un’occasione in cui per tre ore ho passeggiato nel Lussemburgo con un ingegnere che voleva suicidarsi. Alla fine l’ho convinto a non farlo. Gli ho detto che l’importante era aver concepito l’idea, sapersi libero. Credo che l’idea del suicidio sia l’unica cosa che rende sopportabile la vita, ma bisogna saperla sfruttare, non affrettarsi a tirare le conseguenze. È un’idea molto utile: dovrebbero farci delle lezioni nelle scuole!

Per Camus il suicidio è la risoluzione dell’assurdo, per Sartre invece è la morte stessa a svelare un’assurdità del tutto inconcepibile. Ma se per Sartre nulla trascende l’individuo ponendosi come a priori dogmatico, in Camus l’apriori è adogmatico: è semplicemente il voler vivere, e il principio di autoconservazione umano è più forte di quello angelico.

Shinji serra le dita dell’EVA 01, in lacrime, disperato, ma le serra e uccide l’unico altro che aveva dato senso alla sua esistenza, l’unico altro che non lo aveva ferito.

Che tipo di scelta etica è? Quale imperativo categorico ha seguito Shinji? Ha salvato l’umanità o ha ucciso un amico? La vita del singolo vale meno di quella dell’intera razza umana?

Ne L’uomo in rivolta Camus fa evolvere il concetto del principio di autoconservazione, facendogli assumere un ruolo sociale, e trasformandolo in compassione.

Il diavolo, scrive Nietzsche, ha rivelato a Zarathustra che Dio è morto della compassione per gli uomini e l’Angelo – emanazione divina – ha sì scelto di suicidarsi per affrancarsi dalle catene dell’eternità e della non scelta, ma lo ha fatto anche per com-passione verso Shinji.

Suicidarsi per Sartre invece significa l’esatto opposto di quanto detto da Kaworu. Suicidarsi è perdere la libertà, negare la propria esistenza diventando una cosa, senza la coscienza che attesti il nostro essere soggetto. La morte equivarrebbe al “trionfo degli altri”: la nostra radicale oggettivizzazione, l’essere solo oggetto per un soggetto e non viceversa. Per Sartre quindi tutto è mediato dalla coscienza, non c’è istinto di autoconservazione a priori e la morte, tra le tante possibilità che il soggetto ha di fronte, è semplicemente l’annullamento della possibilità stessa. Eppure nel caso del suicidio si tratta di una scelta e come tale, vale tanto quanto quella di rimanere in vita. L’uomo dice Sartre deve agire comunque secondo le sue scelte anche se sono mere illusioni.

Ma se sono illusioni, se tutto è illusione allora lo è anche la libertà. Se tutte le scelte sono uguali, l’universo con questo pensiero andrebbe in frantumi per dirla con Cioran, e infatti ne L’inconveniente di essere nati, la libertà viene descritta come la condizione solo di chi non è mai nato o di chi è nato morto, di chi non ha mai conosciuto il tempo.

In quest’ottica, tutto quello che nel corso della storia umana si rivela inesplicabile, nasconderebbe il suo segreto nella rabbia contro di sé, nella paura della routine, nel fatto che ogni essere umano preferisca l’inaudito al ripetersi degli eventi. L’idea dell’eterno ritorno dell’uguale sarebbe per chiunque abominevole, anche se Borges chioserebbe che “in tempi di splendore, l’idea che l’esistenza umana sia una quantità costante, invariabile, può intristire o irritare; in temi di declino (come questi), è la promessa che nessuna infamia, nessuna calamità, nessun dittatore potrà mai impoverirci.”

Se l’eterno ritorno fosse abominevole molte specie si sarebbero potute estinguere, non per via di glaciazioni, inaridimenti o altri mutamenti climatici, quanto per stanchezza: un grado di spossatezza così elevato da far prevalere l’istinto sulla coscienza fino all’abolizione dello spirito di sopravvivenza e di autoconservazione – e Kaworu / Tabris sembra aver raggiunto un livello di spossatezza del genere – “ciò che (si) deve temere è l’accasciamento in quello stato in cui il desiderio di sopprimersi non è neppure immaginabile.”

J.P. Sartre, L’Essere e il Nulla, p. 738.

Cfr. A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena.

F. Savter, Cioran, un angelo sterminatore, p. 163.

Il frutto dell’albero della vita è quello raccolto dagli angeli, mentre l’uomo ha colto il frutto proibito della conoscenza. L’anelito a combattere per la vita allora deriverebbe dalla voglia di possedere ciò che non si ha. Kaworu, invece, non può conoscere la differenza tra bene e male, tra giusto e sbagliato perché non possiede la conoscenza.

Cfr. A. Camus, L’uomo in rivolta.

Cfr. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra.

“Concepire un pensiero, un solo e unico pensiero, ma che mandasse in frantumi l’universo.” Cfr. Cioran, E.M., Il funesto demiurgo

E.M. Cioran, L’inconveniente di essere nati, p. 15. «Mi piacerebbe essere libero, perdutamente libero. Libero come un nato morto.”

A questo proposito la bibliografia è molto estesa. Alcuni testi o passaggi potrebbero essere significativi a riguardo: L.A. Blanqui, L.A., L’eternità attraverso gli astri. D. Hume, Dialoghi sulla religione naturale, sezione VIII. Marco Aurelio, Pensieri, I, 14. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, Sull’utilità e il danno della storia per la vita. Platone, Timeo, § 39. Qohélet o l’Ecclesiaste, I-9, a c. di G. Ceronetti. B. Russell, An inquiry into meaning and truth. A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Libro I, § 5, § 8, Libro III, § 38. G.B. Vico, La scienza nuova.

J.L. Borges, Storia dell’eternità, p. 87.

E.M. Cioran, La caduta nel tempo, p. 120.