L’orizzonte degli eventi

iNel 2017, dopo tre piani quinquennali, quattro romanzi totali, due romanzi, un blog, presentazioni in giro per il mondo, simposi, conferenze, workshop, reading sonorizzati e azioni di guerriglia narrativa pensavamo che la missione fosse terminata. L’esperienza : Kai Zen : ci sembrava avesse esaurito le sue possibilità. Dai primi esperimenti in rete siamo tornati in strada, alla penna abbiamo preferito voce, basso, chitarra, batteria e i libri degli altri. Tre lustri sono tanti, le nostre vite sono cambiate radicalmente da quel fatidico 18 febbraio del 2002 che ha sancito la nascita dell’amichevole ensemble narrativo di quartiere, ma proprio mentre la tentazione di scrivere un “comunicato” sulla fine delle ostilità si faceva sempre più impellente, lo spirito dei tempi ci ha messo i bastoni tra le ruote. Non faremo la differenza, ne siamo consapevoli, ma non ci piace l’indifferenza. Raccontare storie è una responsabilità, prima di tutto verso chi ci sta vicino, verso i nostri figli, le persone che amiamo, gli amici, i compagni di viaggio, la comunità di lettori che ci ha seguiti fin qui e verso le persone che ci hanno sostenuto e aiutato a farlo. 

Non sappiamo cosa diventerà : Kai Zen : né se continuerà a chiamarsi così o chi ne farà parte. Sappiamo però che la fiamma che ha animato le nostre narrazioni negli ultimi diciassette anni non si è mai sopita, come non lo ha fatto la nostra voglia di condividerle. Le cose cambiano, ma subire il cambiamento non ci è mai piaciuto. Preferiamo andare i direzione ostinata e contraria, essere da un’altra parte quando tutti ci pensano in un determinato spazio tempo. Siamo fuoriluogo, siamo quasiparticelle, mettiamo il culo in mezzo alle pedate. Abbiamo scritto romanzi ibridi, piegato i generi, cercato l’etica nell’estetica e viceversa, spalancato le porte della nostra umile officina. Quando tutto sembrava destinato a venire ingoiato da un buco nero, abbiamo pensato che in fondo sull’orlo del buco nero è passato solo un decimo di secondo dal big bang. Guardarsi indietro era questione di un battito di ciglia, mentre davanti a noi c’era l’orizzonte degli eventi. Non era più necessario terminare la missione, non era nemmeno più necessaria la missione. Ci bastavano la passione, la morale e il cielo stellato. È così che nell’anno del Signore 2019 ha visto la luce il mosaic novel, il romanzo a mosaico, un’altra ibridazione, un’altra sbandata, un’altra direzione. Il primo frutto di questo nuovo corso si chiama Cronache dalle Polvere, lo ha pubblicato Bompiani, è firmato Zoya Barontini e il 28 di giugno lo presentiamo a Bologna. Non è uno sguardo sul passato anche se racconta del passato, non è uno sguardo sul futuro, anche se è destinato a un pubblico giovane. È una narrazione nata sull’orlo del buco nero, qui e ora. 

 

 

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La Sottile Linea Rosa vs Il Corpo di Carmilla

Siamo lieti di presentarvi il primo crossover tra narrazioni collettive… Il romanzo totale del 2008 è ben lungi da essere acqua passata e direttamente dall’ottimo esperimento Il Corpo di Carmilla arriva un incrocio degno dell’universo Marvel o di quello DC...

Doppia coppia all’irlandese (Andrea Cattaneo)

Londra, 24 luglio 1872: ore 23:30.

I vicoli di Whitechapel la notte non erano un luogo salubre: male illuminati e peggio frequentati odoravano di sudore, alcol, urina e vomito. Dopo il tramonto le viuzze nei pressi di Spitalfieds si riempivano di tagliagole, truffatori, imbonitori, prostitute, marinai e borghesi annoiati alla ricerca di un’emozione il più turpe possibile. Ma William Russell in quel quartiere cercava altro. Lì, in mezzo a tanta miseria umana, si concedeva una breve vacanza dall’esistenza anonima che l’avevano costretto a vivere.
Barcollando finì in una pozza di urina e si mise a sghignazzare: aveva bevuto ben oltre il limite e Russell in fatto di sbronze non era certo un principiante.
I colleghi giovani del Times – abituati agli agi dei salotti per bene di Londra e alle bustarelle del Governo – lo trattavano come un vecchio liberale pazzo che vaneggiava di guerre dimenticate. Le prostitute, che sapevano quanto fosse squattrinato, gli giravano al largo e lo stesso facevano i delinquenti che praticavano le tre carte. Da Russell non si poteva spillare un soldo.
Senza sapere bene perché imboccò Bell Lane sfilando accanto ai ricettatori che svendevano la refurtiva della giornata poi, arrivato a Wentworth Street, tagliò per un passaggio coperto e malfamato che portava a Goulston Street: sentiva il bisogno di raggiungere i docks e il Tamigi. In quel tunnel buio – traditi dal frusciare dei vestiti e dai gemiti – si intuiva la presenza di un gran numero di amanti. Russell, per scacciare quello che lui definiva il “grottesco risveglio del castrato”, si attaccò alla bottiglia. Ridotto com’era neppure il sesso a pagamento era un’opzione abbastanza rassicurante, infatti non vi ricorreva più da decenni. Continua a leggere

La Sottile Linea Rosa 9-II

Florence Nightingale

Capitolo 9-II (Antonella Sacco)

21 novembre 1854, Comando britannico di Simferopoli

Un sergente introduce Cardigan da Raglan. I due si guardano freddamente: non c’è mai stata simpatia fra loro e adesso, a dividerli, c’è anche il marchese di Lucan e il ruolo da questi ricoperto neanche un mese fa, quando Cardigan si è trovato in testa alla sottile linea rossa e, obbedendo agli ordini ricevuti, ha portato alla distruzione la sua brigata. Gli oltre cento morti e i quasi centocinquanta feriti della battaglia del 25 ottobre sono tutti lì, nella stanza…
È Raglan il primo a parlare:
“Vi devo qualcosa, per un errore che non è mio. Potete andarvene, siete libero: non ci siamo visti, voi non eravate in quella taverna e non avete cercato di aiutare quel pazzo di un russo.”
“Fëdor Michajlovic non è un pazzo e lo sapete bene. Il folle era un altro.” Continua a leggere

La Sottile Linea Rosa 9-I

Capitolo 9 – I (Aldo Ardetti)

1855, nella prigione del Comando britannico di Simferopoli

Una strana epidemia dava alla Morte la possibilità di falciare vite umane.
Nella prigione si sudava e mancava il respiro. Fedor Michajlovic viveva momenti di apprensione e di malinconia per la donna amata; momenti di nostalghija per il suo paese che gli faceva sgorgare parole e canti struggenti. Mesi di reclusione con i minuti sembrati giorni e i giorni mesi.
In passato, la sua vita aveva già provato la mancanza di libertà, il vivere in una specie di oblio della carne e dello spirito e al futuro preferiva non pensare per contrastare brutti pensieri.
La guerra si concedeva pause con sporadiche scaramucce. Gli schieramenti si accontentavano di mantenere le posizioni soprattutto i russi che preferivano tenersi sulla difensiva.

William Russell aveva cercato contatti per liberare i due compagni. Aveva saputo che Fedor e James sarebbero stati trasferiti a Sebastopoli, assediata da mesi, per essere imbarcati e processati in Gran Bretagna.
Invece venne la liberazione. Alla morte di Nicola I Romanov, era diventato zar Alessandro II. Un evento che calmava gli spiriti guerreschi facendo pensare ad un armistizio e intanto, al momento, emanare un atto di clemenza bilaterale per gli autori di reati; anche per quelli più gravi. Ormai la guerra era agli sgoccioli e questa convinzione portava ad un ‘perdono totale’.
Si era sentito uno sferagliare di chiavistelli: Fedor Michailovich e James Cardigan tornarono a vedere il cielo e a respirare l’aria degli uccelli. Continua a leggere

La Sottile Linea Rosa 8

Ufficiale dell’11° Ussari

Capitolo 8 (Vanes Ferlini)

2 novembre 1854, comando britannico di Simferopoli

Marina e Beria attraversano il piazzale tenendosi forte per mano. è stata l’azione diversiva di Russell (un ordigno piazzato ad arte) a scatenare il putiferio, ma loro non possono saperlo. Corrono, incespicano, il fango schizza sulle caviglie, inzacchera le sottogonne. Urtate, cadono a terra, per poco non vengono calpestate. Si rialzano: davanti a loro, la cancellata del corpo di guardia è l’ultimo ostacolo verso la libertà. Beria avverte una stretta al polso. Si volta di scatto: ritrova il giovane soldato che aveva dormito con lei, il ragazzo al quale aveva sottratto la baionetta fatale. “Non ce la farete mai da sole” Beria gli si aggrappa al petto: “Basta attraversare il cancello, un amico ci aspetta qui vicino” gli occhi della ragazza annaspano dietro le parole, urlano il bisogno disperato di aiuto. “Seguitemi e non parlate” il ragazzo si mette tra di loro, le abbraccia alla vita, le sospinge in avanti. Poi comincia a gridare: “La famiglia del Generale, fate passare la famiglia del Generale!” Il Capoposto li osserva, si muove verso di loro ma subito viene richiamato a gran voce da un sottufficiale. Il terzetto valica indisturbato la cancellata, attraversa la via e svolta al primo angolo. “Da questa parte” nonostante il buio, Beria si muove sicura tra le viuzze della città vecchia. “Dove ci stai portando?” geme la Duchessa. Si è storta la caviglia destra e si appoggia al ragazzo. Beria non risponde. Ancora una svolta e, in fondo al vicolo, appare la sagoma di un carro coperto, uno di quelli usati dall’esercito inglese per i rifornimenti. A cassetta siede un tipo tarchiato, indossa l’uniforme del Genio. I due cavalli da tiro si innervosiscono e scalpitano all’arrivo del gruppetto. “Samuel, sei tu?” “Sì, Madame” Beria riconosce la voce profonda e un po’ roca. Si tranquillizza. Rivolta alla Duchessa: “Saliamo sul carro, lì saremo al sicuro” “Vengo con voi” il soldatino si slancia per aprire il portello. Con un gesto affettuoso, Beria gli cinge il braccio: “Vuoi diventare un disertore? Ti farai impiccare, lo sai?” “Non importa, voglio venire con te. Ti proteggerò e…” Continua a leggere

La Sottile Linea Rosa 7

Capitolo 7 (Antonella Sacco)

12 novembre 1854, Comando britannico di Simferopoli

Russell, a disagio dentro la divisa, si muove lento nelle vicinanze del Comando, l’udito in guardia, pronto a svolgere il suo compito. È sicuro che le cose non potranno andare lisce, due contro tutti è davvero una speranza esagerata. Comunque non si pente di aver partecipato, l’arroganza di Halifax e la sua pretesa di inventare la verità lo hanno disgustato. E poi salvare la duchessa e la giovane Beria… il giornalista conserva nell’animo un fondo di cavalleria che gli impone di aiutare le due donne, non riuscirebbe più a guardare il suo viso riflesso nel bicchiere sapendo di non aver tentato di sottrarle alle grinfie del generale. Il silenzio che proviene dal Comando lo preoccupa, Fedor e Cardigan dovrebbero essere già dentro a quest’ora e non è possibile che siano riusciti a raggiungere i sotterranei senza farsi notare. Forse si sono imbattuti in un ostacolo imprevisto: ancora qualche minuto e darà il via alla sua azione di disturbo. In piedi davanti ad Halifax, Marina ascolta le sue parole e intanto riflette su come sfruttare l’occasione per tentare di fuggire, le probabilità di riuscirci sono senz’altro maggiori di quando si trova rinchiusa nella cella del sotterraneo. “Il vostro fedele Fedor è sparito, si è disinteressato di voi e della vostra sorte.” Annuncia il generale con soddisfazione maligna. “E così pure la vostra cosiddetta protetta, i miei informatori ne hanno seguito le tracce sulla via di Parigi. Siete sola.” È un odio assoluto e tangibile quello che trasuda dalle parole e dall’espressione del vecchio lord, ma la duchessa, con la sua impassibilità di giocatrice di biritch, riesce a celare il suo sgomento dietro un sorriso sprezzante, mentre cerca parole abbastanza taglienti per ribattere. Prima che possa parlare una voce esclama: “Menzogne. Sempre e solo menzogne.” Beria, con la rapidità e l’agilità di un gatto, si slancia verso il generale, brandendo la baionetta e lo colpisce con forza. Continua a leggere

La Sottile Linea Rosa 6

William Russell

Capitolo 6 (Alberto Noseda)

12 novembre 1854, Comando britannico di Simferopoli

I due uomini si guardano in faccia per l’ennesima volta. “Strani tempi fanno strani amici, vero?” dice il più alto.
“Si, non avrei mai pensato ci saremmo trovati a lottare insieme.” replica l’altro con una punta di acido
Il vento freddo penetra attraverso le uniformi e l’umidità lo mantiene attaccato alle ossa. Una maledetta domenica sera come tutte le altre, tanti bravi ragazzi che vorrebbero essere altrove, a casa la maggior parte, ma comunque in qualsiasi altro posto tranne che questo. Poca voglia di scherzare attorno ai fuochi, una fiaschetta fa un giro tra le mani congelate, le risate sono forzate; dentro qualche tenda si affogano i problemi tra le gambe di una paesanotta locale, che i sottufficiali hanno fatto finta di non vedere scivolare tra le ombre del campo. Tutti hanno il diritto di sopravvivere come credono.
“È ora di muoversi: speriamo solo che l’irlandese non si faccia prendere dal panico.”
“Speriamo solo che l’irlandese non si faccia ammazzare…”
Le due guardie della cavalleria di Sua Maestà, che le mostrine identificano come soldati scelti, si avviano verso la costruzione centrale del comando portando il rancio serale ai commilitoni di guardia.
10 novembre 1854, una taverna affollata di Simferopoli

L’odore di sudore, tabacco scadente e paura latente riempiva densamente il locale. I due uomini al tavolino fissavano la bottiglia di vodka a buon mercato e i bicchieri che avevano una parvenza di trasparenza.
“Fed..” “Nessun nome. I nomi possono essere pericolosi anche in un posto come questo.”
“Scusa, sono solo nervoso… ma sei sicuro che Car… ehm… lui verrà?”
“Certo, è l’unico modo per lui per poterla rivedere.” Michajlovic non era per niente sicuro di questo, ma non poteva rendere Russell ancora più nervoso; tanto dipendeva da Lord Carrigan, e lui non aveva altre idee al momento. Anche Russell poteva alla fine dimostrarsi utile. Il giornalista dal canto suo non aveva mai visto il russo così attivo e determinato, gli eventi degli ultimi due giorni lo avevano galvanizzato: non dormivano dalla precipitosa fuga da Capo Saryc e Russell non vedeva l’ora di un buon sonno, l’ultimo incontro con il generale Halifax l’aveva portato molto vicino ai suoi limiti fisici. Continua a leggere

La Sottile Linea Rosa 5

Capitolo 5 (di Vanes Ferlini)

8 novembre 1854, villetta di Capo Saryc

 

Irrompono di notte, annunciati solo dal rumore dei tacchi sul marmo, con le uniformi inamidate che non hanno mai conosciuto il campo di battaglia.
La Duchessa Seminova è ancora sveglia, seduta al secretaire. Sta scrivendo una lettera.
La cadenza dei passi sulle scale risuona come la marcia del destino incombente.
Brucia il foglio sulla fiamma della candela. Giusto in tempo: tre tocchi alla porta. Lei non risponde. La porta si apre e la faccia di marmo dell’ufficiale inglese pronuncia la frase di rito. Sorpresa, sgomento, indignazione. La vestaglia di organza si agita nella camera, urla tutto il suo disprezzo. Un gelido invito a vestirsi, la porta si richiude. Marina Seminova rimane a contemplarsi allo specchio. Sorride: qualcuno pagherà, per questo.

9 novembre 1854, Comando britannico di Simferopoli

“Strappata da casa mia nel cuore della notte, deportata come un volgare delinquente… Quando la notizia giungerà a San Pietroburgo…” la Duchessa lascia la frase in sospeso, una mannaia a mezz’aria.
Seduta di tre quarti sul bordo della poltrona, indossa un impeccabile completo da matinée, assai indicato per le passeggiate a corte ma poco intonato con gli uffici austeri del Servizio Informazioni.
L’ufficiale, al lato opposto della scrivania, non è in grado di sostenere lo sguardo tagliente della donna. Preferirebbe trovarsi all’assedio di Sebastopoli piuttosto che interrogarla. Troppo enigmatica, troppe amicizie altolocate (da entrambe le parti).
“Madame, non dovete considerarvi prigioniera ma piuttosto…”
“Signor Colonnello” lo interrompe lei in tono spregiativo (quanto veleno sa mettere una donna in sole due parole) “come dovrei considerarmi allora?”
“Madame, vi prego…”
La porta dell’ufficio si apre con violenza, entra un Generale anziano. Corporatura robusta, barba e baffi bianchi, fronte alta incorniciata di radi capelli. La pelle olivastra, somigliante a quella degli indù. Continua a leggere

La Sottile Linea Rosa 4

L’appello

Capitolo 4 (Francesco Casanova)

4 novembre Balaklava

L’orrore avvelena la memoria.

Nella sua mente il ricordo di sé viene cancellato dai corpi mozzati e dalle urla disperate di uomini che tentano invano di rialzarsi sulle gambe ormai perdute mentre, con stupore moribondo, guardano le proprie braccia mozzate.
Lord Cardigan non riesce a rispondere alle domande di Beria ed il calore di quel magnifico corpo non riesce a riscaldare il gelo che da quel giorno si è impossessato della sua anima. Beria gli chiede di ricordare la carica, lui non può. Non ricorda. Ha solo immagini davanti agli occhi; immagini sconnesse e allucinanti che gli rinnovano l’orrore e gli impediscono di far riaffiorare i suoi pensieri e la sua volontà durante quei momenti tragici. “Non ricordo mia adorata.” La voce è un soffio lugubre.
Beria è sorpresa dal cambiamento repentino. Fino a pochi istanti prima il volto del Lord era rilassato e sorridente mentre giocava con i suoi capezzoli e sussurrava al suo orecchio.
Beria conosce bene quei momenti e sa quanto si possa approfittare del potere della propria femminilità per far parlare anche il più riservato degli uomini. Tecniche antiche quanto il mondo. Aveva pensato fosse giunto il momento ideale per chiedergli le ragioni di quella inspiegabile carica nella valle. La valle della morte l’avevano presto ribattezzata. Continua a leggere

La Sottile Linea Rosa 3

CAPITOLO 3 (di Alberto Noseda)

3 novembre 1854, piano terra della villetta di Capo Saryc

La duchessa accarezzava i tasti del pianoforte come stesse sfiorando seta pura. Era stato difficile scovare un Bsendorfer in quel luogo dimenticato dai piaceri della civiltà, dei ranghi sociali e ormai anche da Dio, ma suonare era il suo modo per distaccarsi dal freddo controllo che aveva sul suo mondo e tutti quanti la circondassero: poteva lasciar vagare libero il pensiero senza preoccuparsi del presente. Il sole al tramonto era ormai scomparso dietro le colline, ma il riflesso della luce era ancora sul lembo di mare visibile dalla vetrata. Non c’era un alito di vento e il mare giocava a essere un’unica distesa di piccole onde ambra e blu scuro.
Lo “studio” che stava suonando le riportava a galla un passato piacevole, in un mondo più semplice. Aveva avuto il piacere di conoscere Ferenc Liszt una decina di anni prima, a un gran ballo a Kiev; era un’estate torrida, con fiori che appassivano a vista d’occhio, e il vino mai del tutto fresco nonostante l’impegno dei servi a mantenerlo nel ghiaccio. Eppure tutto questo caldo non sembrava toccare Ferenc: lontano, freddo, impassibile di fronte al turbinio di aristocrazia russa e non. Si limitava a salutare tutti con un gesto del capo e a scambiare pochi convenevoli, finche’ i loro sguardi non si erano incrociati. Il resto dell’estate era passato in un modo tale che la duchessa non avrebbe mai più pensato a Ferenc come a un uomo freddo e distaccato, tutta la passione della sua musica era lì sempre con lui, pronta a esplodere: violenta ma gentile, forte ma dolce, impetuosa eppure semplice.
Come sua figlia, Beria. sua figlia non figlia. L’andante dello studio ora risuonava più malinconico, mentre lei ricordava quando l’aveva salvata da quel rogo a Istanbul, la notte maledetta, il paziente lavoro di mesi andato ormai in fumo, la casa in fiamme che cadeva a pezzi, il pianto disperato e lei che correva fuori, con questa minuscola creatura tra le braccia; e l’aveva tenuta come sua, sua, SUA. Niente al mondo avrebbe potuto toglierle questa figlia, a lei, duchessa Seminova, che non avrebbe mai potuto concepirne un’altra. Se avesse saputo piangere forse una lacrima sarebbe scesa, il suo carattere e il suo controllo glielo impedirono, ma smise di suonare. Continua a leggere