Dieci anni di Strategia

Correva l’anno 2007 quando svelammo (e sventammo, almeno per un po’) i piani dell’Antica Segreta Società dell’Ariete: un granello di polvere nelle placide sabbie del tempo. Un decennio dopo riapriamo i vasi canopi, restituendovi accesso al sito rizomatico che si era perduto nei meandri misteriosi della rete e naturalmente al nostro allegorico romanzo. – Di cos’era poi l’allegoria? – Che Khnumm possa vegliare su di voi. Anzi siamo sicuri che lo stia già facendo… E ricordatevi sempre che «chi incontra il Demone muore, chi non muore diventa schiavo, chi non diventa schiavo diffonderà il demone.»

Qui il pdf: sda e qui anche in epub e mobi: www.kaizenlab.it/senzablackjack.html

e qui una guida alla scoperta della Strategia di Wu Ming 2

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È uscito!

copertina VoiVoi non siete qui

In libreria.

Una parola è poca e due sono troppe

Ispirarsi alla storia 4

andreotti_gelliIl Gatto e la Volpe…

Ci sono due personaggi che per almeno 30 anni hanno influenzato vite, economie, storie, leggi e fuorilegge del nostro paese. Io li chiamo il Gatto e la Volpe, molti li chiamano Belzebù e il Venerabile, all’anagrafe rispondono ai nomi di Giulio Andreotti e Licio Gelli. In Italia hanno gestito interessi, parlamenti, economie, hanno corrotto politici, arruolato militari e agenti segreti per oscuri scopi, hanno deviato inchieste giudiziarie e coltivato pericolose “amicizie” e tutto questo lo hanno fatto in modo sistematico e strutturale. Si può dire che sulla carrozza, o forse meglio, sul carrozzone “Italia”, uno era il cocchiere, l’altro il bigliettaio. E dicendo questo non dico niente di nuovo per gran parte degli italiani. Libri, film, documentari, giornali hanno raccontato la vita e le “opere” di entrambi, hanno teorizzato risposte più o meno plausibili ai misteri legati alle azioni e ai pensieri di Gelli e Andreotti. Non starò quindi a ripetere cose che già in altre sedi e in altri tempi sono state dette, esaminate, commentate e ricommentate. Quello che invece mi preme far notare e che forse potrebbe sorprendere e disorientare qualche nostro concittadino è che da quel carrozzone polveroso e malandato chiamato “Italia” i due signori in questione non sono ancora scesi. Sono ancora lì, invecchiati e forse stanchi, ai loro posti di comando, un po’ defilati dal palco al riparo dai riflettori del presente, ma comunque vivi e pronti a fare la loro parte. Per fortuna di nuovo in molti se ne sono accorti: giornalisti e scrittori che con poche forze e poco sostegno provano a far riemergere la verità dei fatti, tentano di far sapere al resto d’Italia e del mondo che il Gatto e la Volpe hanno forse perso il pelo ma non il vizio. Una di questi è la scrittrice e giornalista Antonella Beccaria che nel suo libro appena uscito, IL PROGRAMMA DI LICIO GELLI una profezia avverata?, chiarisce che le idee e le “proposte” del Piano di Rinascita Democratica dell’antico burattinaio della Loggia Massonica Propaganda 2 sono ancora in piedi, attualizzate e contestualizzate nel panorama sociopolitico odierno, e soprattutto riprese e sviluppate dagli attuali centri di potere in modo trasversale, cioè sia da destra che da sinistra (del libro dell’amica e collega Beccaria ci occuperemo meglio in un altro post). Un altro esempio sono i due giornalisti Provvisionato e Imposimato, che nel loro libro DOVEVA MORIRE, attribuiscono all’ex leader democristiano Giulio Andreotti delle precise responsabilità nella tragica fine dell’allora presidente della DC Aldo Moro. E questi sono solo alcuni esempi fra i tanti, di come i due galantuomini possano essere collocati al centro di grandi misteri italiani, per dirla alla Lucarelli. Io credo inoltre che l’Onorevole e il Venerabile si possano finalmente mettere in relazione fra loro, cioè si possano direttamente collegare le malefatte dell’uno a quelle dell’altro. Non sono pochi quelli che lo hanno sempre creduto, di nuovo giornalisti, scrittori e semplici liberi pensatori, ma oggi sono convinto si possa affermarlo con decisione e senza troppa paura di essere smentiti. E esistono almeno tre importanti fatti del passato in cui gli interessi dei due uomini di potere si sono incontrati fino a quasi sovrapporsi.

                      Il primo avvenne sull’aereo che il 20 giugno 1973 riportò Juan Domingo Peròn, o meglio, provò a riportare il capo di stato argentino nel suo paese natio dopo un periodo di esilio forzato in Spagna. È ormai accertato che sia Andreotti che Gelli erano fra i passeggeri di quel volo. Anni dopo, il ex-capo della P2 sosterrà che la sua amicizia con Peron era stata fondamentale per l’Italia, però non spiegherà mai il perché.

                    Il secondo è avvenuto qualche anno più tardi. Esiste un memoriale  scritto da Aldo Moro durante i 55 giorni di prigionia, i suoi ultimi, che venne sequestrato dalla polizia in un blitz nel covo delle Brigate Rosse di via Monte Nevoso 8 alla periferia di Milano, il 1° Ottobre 1978(1). In quell’occasione il capitano dei carabinieri Roberto Arlati e i suoi uomini arrestarono i brigatisti rossi Bonisoli, Azzolini e Mantovani e sequestrarono numerosi plichi di carte fra cui il memoriale di Moro. In seguito il colonnello Bonaventura si fece consegnare da Arlati il plico contenente gli scritti di Moro per fotocopiarli. Quando il giorno stesso in cui gli aveva presi riconsegnò i fogli al capitano dei carabinieri, questi si accorse che ne mancavano alcuni(2). Solo nel 2001 i due magistrati Mancuso e Padulo scopriranno in un archivio della Digos dei documenti contrassegnati dalla dicitura “Sequestro Moro, documenti ritrovati in via Montenevoso, elenchi appartenenti all’organizzazione Gladio“. Quasi sicuramente sono parte dei fogli scomparsi quando il plico era nelle mani di Bonaventura. Il 10 Ottobre 1990, inoltre, in un intercapedine dell’appartamento di via Mone Nevoso 8, sempre quello, erano stati rinvenuti un mucchio di fogli di carta, una pistola e un mitra. Tra i fogli ritrovati c’era anche il famoso memoriale, che però conteneva di 53 pagine in più. Nelle “nuove pagine” si parla del rapporto fra Andreotti e Sindona (uomo della massoneria di Gelli) e per la prima volta della struttura Gladio, l’organizzazione clandestina promossa dai servizi segreti italiani e dalla Nato per contrastare un’eventuale invasione sovietica dell’Italia(3). Quindici giorni dopo la scoperta dei fogli l’allora presidente del consiglio Giulio Andreotti sarà costretto per la prima volta ad ammettere in pubblico l’esistenza di Gladio, anche se la lista degli appartenenti all’organizzazione che verrà fornita ai giornalisti (622 nomi) sarà più stringata di quella ritrovata da Mancuso e Padulo nell’archivio della Digos (1909 nomi). Per conoscere il numero e il contenuto completo delle pagine mancanti (infatti nonostante le 54 pagine in più del 1990 e l’archivio Digos del 2001 si ritiene che esistano altre parti del memoriale) sarebbe stato interessante interrogare di nuovo il colonnello Bonaventura. Ed è infatti quello che aveva intenzione di fare il sostituto procuratore Franco Ionta, tuttora titolare dell’indagine sulle carte di Moro. Peccato che Bonaventura muoia il 7 novembre 2002, ufficialmente a causa di un arresto cardiaco.  

                   Il terzo, infine, avvenne durante il tentato golpe ai danni del governo italiano, fallito da Junio Valerio Borghese e i suoi uomini la notte del 7 dicembre 1970. È ormai risaputo che dietro Borghese operavano personaggi politici e istituzionali di primo piano. Per esempio è accertato che in quel di Genova si tenne una riunione fra gli aspiranti golpisti e i maggiori imprenditori liguri, fra cui l’industriale Piaggio. Si sa anche che al progetto golpista parteciparono alte cariche militari come il capo del SID Vito Miceli. Molti dei segreti di questa vicenda però, forse i più importanti, sono saltati fuori solo nel 1991 allorché il giudice milanese Guido Salvini, che stava effettuando indagini diverse, entrò in possesso delle registrazione fatte dal capitano Antonio La Bruna durante le sue indagini immediatamente successive al tentato colpo di stato. In quelle registrazioni l’imprenditore Remo Orlandini, uno dei golpisti, riepilogava gli avvenimenti e i protagonisti dell’operazione Tora Tora (nome in codice del golpe) a due agenti segreti infiltrati dal La Bruna nell’organizzazione paramilitare di Borghese. I nastri vennero in un primo momento consegnati a  Andreotti, allora ministro della difesa e quindi referente dei servizi segreti, e prima di essere resi pubblici vennero da questi epurati di alcune parti ritenute dal ministro “non importanti” o addirittura “nocive” per le indagini. Le registrazioni pervenute, o meglio, scoperte dal giudice Salvini sono invece le originali, prive di tagli e rimaneggiamenti. Mettendole a confronto con quelle “aggiustate”, Salvini si accorgerà che l’opera di cesoia effettuata da Andreotti è tutt’altro che marginale. Per esempio, nei nastri originali Orlandini riferisce che la notte del golpe, secondo i piani concordati, alcuni appartenenti alla Loggia P2, fra cui Licio Gelli, avrebbero dovuto rapire il capo di stato Giuseppe Saragat mentre esponenti della mafia siciliana dovevano eliminare il capo della polizia Angelo Vicari. Insomma, in quest’ultimo caso è Andreotti che si è dato da fare per il “collega” Venerabile. 

                       Una curiosità: utilizzando software peer to peer per il recupero di files, interviste audio e documentari che riguardassero Gelli e Andreotti ho scoperto che se si effettua una ricerca congiunta dei due soggetti, in pratica se si digita “Andreotti” e “Gelli” nella medesima finestra di research i risultati che si ottengono sono …0. Il Gatto e la volpe per il web sono ancora un mistero e noi tutti quindi speriamo, come ebbe a dire Beppe Grillo in uno dei suoi rari e memorabili interventi sui canali Rai, che una volta che il povero Giulio sarà passato a miglior vita si aprirà la scatola nera che cela sotto la gobba e finalmente si saprà tutto sui misteri d’Italia. Restiamo in attesa…

 

(1) La vicenda è narrata molto bene sul sito de La Storia Siamo Noi:                    http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=350

(2) Arlati lo racconta nel libro scritto col giornalista Renzo Magosso Le carte di Moro, perché Tobagi

(3) Interessante per capire la struttura e gli scopi di Gladio è il libro di Daniele Ganser: Gli eserciti segreti della NATO. Operazione Gladio e terrorismo in Europa occidentale.

Eerano belle giornate, li facevano scendere dall’aereo…

Esattamente due anni fa scrivevo questo su Carmilla:

Ogni fenomeno ha una sua spiegazione sociologica, sempre necessaria e sempre insufficiente. (Nicolás Gómez Dávila)

esmaSulla pagina della cronaca di Repubblica del 25 gennaio 2007 c’è un articolo a firma di Anna Maria de Luca: “Processo in Italia ai golpisti argentini.” (1)
Bene. 
Bene? 
La vicenda bene, ovvio. L’articolo male. Molto male. 
Tempo fa sull’ “Internazionale” Lisbeth Davidsen (2) scrivendo del giornalismo italiano si lamentava del fatto che esso non riporti i fatti ma si limiti a esprimere opinioni ammiccando ai lettori di riferimento.

Ma vediamo, nello specifico l’articolo della de Luca:

ROMA – Nella giornata della memoria, la sala bunker di Rebibbia echeggia di ricordi e dolore. Dante Gullo, leader della Gioventù peronista, al banco dei testimoni. È italo-argentino ed è stato prigioniero in Argentina per otto anni e otto mesi (dal ’75 all’83) senza mai essere processato. Ora lotta perché in Italia sia fatta quella giustizia che nel suo Paese è venuta meno a colpi di immunità.”
e poi: “Imputati, in base alle norme del diritto internazionale: Emilio Eduardo Massera, comandante della Marina militare argentina – uno dei pochi stranieri nelle liste di iscritti alla loggia massonica P2 sequestrate a Licio Gelli nel 1981 – e gli ufficiali del Grupo de Tarea 3.3.2 Jorge Eduardo Acosta, Ignacio Alfredo Astiz, Raul Jorge Vidoza, Antonio Vanek e Antonio Hector Febres. Sono accusati di crimini contro l’umanità. Ovviamente sono tutti contumaci: stanno in Argentina. Alcuni di loro sono latitanti, altri in attesa di giudizio […]

Dunque: In Argentina gli ex militari responsabili di crimini contro l’umanità sono immuni, latitanti e in attesa di giudizio. E quindi la giustizia deve essere fatta in Italia.
Un paio di domande sorgono spontanee:
– Se sono immuni come mai sono in attesa di giudizio e che motivo hanno per essere in latitanza? Che non siano proprio immuni?
La risposta è semplice: non sono più immuni.
– Giustizia deve essere fatta in Italia? E in Argentina che succede? Dobbiamo intervenire noi, perché loro, non sono in grado? Attenzione non si stanno mettendo in discussione i processi sacrosanti che si sono svolti e che si stanno svolgendo qui da noi, ma semplicemente il tono dell’articolo. Sarà un’impressione personale, ma ripensandoci bene, sembra di leggere tra le righe: In Argentina, è tutto marcio e corrotto e noi abbiamo il diritto morale di intervenire. Loro non ce la possono fare e quindi tocca a noi che siamo così progressisti e di sinistra… (l’ammiccata ai lettori di Repubblica è forse tutta qui) È davvero così?
In Argentina, le cose sono cambiate. Dopo l’elezione di Nestor Kirchner l’atteggiamento del Governo nei confronti delle persone implicate è completamente diverso da quello mantenuto fino al crac economico del 2001. 
La mediaborghesia progressista plaude all’operato del Presidente in carica (molti altri lo ritengono un demagogo populista, lontano anni luce dal socialismo); il ministro della difesa è una ex montonera; le Madri di Plaza de Mayo hanno marciato per l’ultima volta il giorno di Santo Stefano del 2006 dopo 25 anni e 1500 giovedì e Hebe de Bonafini, portavoce del gruppo, ha dichiarato che non marceranno più perché alla Casa Rosada non c’è più un nemico anche se molte altre associazioni di “Derechos Humanos” non sono d’accordo con lei.
img_0740Kirchner è apparso a reti unificate il 29 dicembre 2006 (3), in occasione della scomparsa di Luis Gerez, testimone chiave a uno dei processi in questione, affermando: “[…] Sono poco più di cento giorni che mani anonime hanno sequestrato il testimone del caso Echecolatz, Jorge Julio López. Sono due giorni che non abbiamo notizie del testimone del caso Patti, Luis Gerez. Tutto fa pensare che, in entrambi i casi, sia responsabile la mano de obra desocupada (4) ossia elementi paramilitari e parapoliziali, che vogliono mantenere la loro impunità.
Si tratta della stessa metodologia che venne utilizzata nello storico giudizio alla giunta militare: ricattare per ottenere impunità. In quel momento ottennero le leggi de Obediencia Debida y Punto Final (5) […] Noi non cederemo davanti al ricatto. Non permetteremo che si fermino i processi. Al contrario chiediamo celerità alla giustizia affinché giudichi, affinché si giunga una volta per tutte a giuste sentenze e affinché gli assassini stiano nel posto in cui devono stare. In carcere. Parte del problema che stiamo affrontando riguarda la lentezza della giustizia, come alcune libertà concesse e riconosciute a delinquenti contumaci in modo inspiegabile. Le istituzioni pubbliche, a tutti i loro livelli […] devono riaffermare la loro inequivocabile posizione di difesa dello Stato di Diritto. Rispetto dei diritti umani, e applicazione severa della legge, sono più che convinzioni personali, rappresentano la decisione sociale di vivere in uno Stato di Diritto.” (6)

– Se noi (assieme agli spagnoli, agli svedesi, ai francesi, ai tedeschi…) mettendo alla sbarra i criminali del “Proceso de Reorganización Nacional”, alla fine degli anni ‘90 – inizio 2000 (7) abbiamo avuto il merito di aprire il vaso di Pandora, per quale motivo non lo abbiamo fatto prima? In Argentina durante il “Proceso” sono scomparsi circa 3000 cittadini italiani e nessuno ha detto o fatto nulla. Anzi fatto sì. All’ambasciata italiana di Buenos Aires vennero installate delle porte di sicurezza come quelle delle banche per impedire che i nostri connazionali si rifugiassero tra le pareti dell’edificio. E se non fosse stato per l’allora giovane Console Enrico Calamai che si trovò a gestire, rischiando la vita in prima persona, il consolato divenuto l’unico ‘riparo’, altre 412 persone non si sarebbero salvate.
I giugno 2005, il “Clarin” di Buenos Aires riporta che “lo Stato italiano, tramite un documento firmato dal premier Silvio Berlusconi, si è costituito parte civile querelante contro l’ammiraglio Emilio Massera e altri cinque repressori della “Marina de Guerra”, membri del Grupo de Tareas 3.3.2 e della ESMA che sono accusati di aver sequestrato, torturato e assassinato tre cittadini italoargentini durante i famigerati “Vuelos de la Muerte” durante il periodo della dittatura in Argentina.
Il governo di centrodestra ha seguito la linea del precedente governo intrapresa da Prodi e D’Alema. Nel 2005 la Corte d’Appello ha confermato definitivamente la sentenza di prima istanza del 2000, per la quale sono stati condannati all’ergastolo i generali Guillermo Suárez Mason e Santiago Omar Riveros e a 24 anni cinque membri della “Prefectura” (8)
Se siamo tanto bravi a fare ciò che in Argentina (almeno secondo Repubblica) non sono in grado di fare, perché lo abbiamo fatto solo ora? Svezia e Francia per esempio (con pochi loro cittadini scomparsi) hanno alzato un polverone enorme e hanno denunciato il governo argentino già all’epoca del “Proceso”. 
Quindi, prima della fine degli anni ‘90 / inizio 2000, questi personaggi erano immuni pure nel nostro paese e non solo in Argentina, nonostante i desaparecidos con passaporto italiano.
Allora perché solo ora? Quali interessi sono venuti meno?
gelliUna possibile risposta si legge tra le righe dell’articolo della de Luca: P2. Non solo l’ammiraglio Massera, ma anche Videla e tutta la cricca era iscritta alla loggia. Licio Gelli, Umberto Ortolani, Roberto Calvi e Monsignor Paul Marcinkus fecero un sacco di buoni affari in Sudamerica quando l’intera area geografica era in preda a una crisi con tassi di inflazione mostruosi grazie ai contatti con i militari.
Il 1 gennaio 1980, a Buenos Aires, Roberto Calvi inaugurò la nuova sede del Banco ambrosiano de America del Sud nello stesso palazzo degli uffici di Massera e di Videla mentre Gelli era incaricato d’affari argentini in Italia.
Massera era in contatto con l’ammiraglio Torrisi nel Belpaese per questioni di traffico d’armi e buona parte dei 6.000 miliardi di armamenti spesi dal generale Videla, dal ‘76 in poi, sono affluiti nelle casse delle industrie italiane. Ortolani aveva preceduto Calvi aprendo il Banco financiero di Montevideo, ma si rese comunque necessaria la rapida espansione dell’Ambrosiano, con le garanzie dello Ior, in tutto il continente visto il volume d’affari in crescita. Da queste banche sono passate molte operazioni di traffico d’armi e di petrolio e i traffici con la Tradeinvest dell’Eni, fino al finanziamento di 21 milioni di dollari concesso al PSI. Esaminando i conti di una di queste banche, il Banco Andino, alla fine del ‘81, gli ispettori della Banca d’Italia scoprirono un buco da 1.000 miliardi.
Nello stesso periodo, anche il gruppo Rizzoli vide una grossa crescita editoriale in Sudamerica, mentre il “Corriere della Sera” in Italia pubblicava le interviste di Roberto Gervaso a Videla e Somoza e censurava gli articoli sui desaparecidos del corrispondente argentino. 
Ma questa è solo la punta dell’Iceberg. Gli attori del copione si moltiplicano a vista d’occhio. La Fiat, l’Ansaldo, la Breda, l’IRI, l’Agusta, il Partito Socialista Italiano (Durante la guerra delle Malvinas una delegazione argentina, guidata dal segretario del partito socialista argentino Ammirati, si incontrò con Craxi per ottenere la revoca dell’embargo posto dal presidente del Consiglio Spadolini e dal ministro degli Esteri Colombo. Cosa che avvenne, con il sostegno di PSI e PCI. Della delegazione facevano parte anche i Macrì, gli industriali argentini, rappresentanti degli interessi della Fiat) senza contare che c’era in ballo la questione della costruzione del Subte (la metro) di Buenos Aires da parte di imprese legate al PSI… Tutte cose che si trovano in rete e negli incartamenti di alcuni processi dimenticati (9).
E poi, bisogna considerare anche che tutte le fabbriche italiane in Argentina, durante la dittatura, smisero di avere problemi con i sindacalisti, con le “teste calde”, con gli “operai facinorosi” che, puff, scomparvero.
Ripeto si tratta solo della punta dell’Iceberg. Ma in parte spiega alcune cose. E allora italiani brava gentaglia.

Un’altra cosa rimane misteriosa tra le altre. Per quale motivo la sinistra italiana ha solidarizzato e sostenuto gli esuli cileni con decisione dopo il colpo di stato di Pinochet e non ha fatto altrettanto con quelli argentini? Che sia una specie di solidarietà di partito. In fondo gli argentini erano peronisti. Né socialisti, né comunisti. Ma sto solo ammiccando.
(1) http://www.repubblica.it/2007/01/sezioni/cronaca/processo-aieta/processo-aieta/processo-aieta.html
(2) cfr. Il mito del giornalismo in “Internazionale” n° 661 del 29 settembre / 5 ottobre 2006 – Lisbeth Davidsen è corrsipondete del danese quotidinao “Politiken” e del rete Tv2.
(3) Lo ha fatto per la seconda volta. Non era mai successo nella storia del Paese.
(4) I militari e poliziotti rimasti disoccupati dopo le epurazioni delle forze dell’ordine dalle persone coinvolte con la dittatura.
(5) Due leggi che impedirono i processi per i crimini della dittatura militare. Approvate tra il 1986 ed il 1987, sono state abolite dal Parlamento argentino nel 2003, poco dopo la nomina del presidente Nestor Kirchner. La decisione ha consentito l’avvio di numerosi processi in aula in cause che già coinvolgono più di 500 accusati tra militari e civili. La Corte Suprema argentina ha dichiarato incostituzionali le leggi della Obbedienza dovuta e del Punto finale il 14 giugno 2005.
(6) cfr. http://www.presidencia.gov.ar/Discurso.aspx?cdArticulo=4496
(7) cfr. Desaparecidos – La sentenza italiana contro i militari argentini, a c. di G. Miglioli, manifestolibri 2001 
(8) cfr. http://www.clarin.com/diario/2005/06/01/elpais/p-01201.htm
(9) cfr. http://www.fondazionecipriani.it/Scritti/palermo.html

Notturno a Villa Wanda

Lo ha dato in pasto al pubblico aretino, non senza problemi, il copyleft festival dell’anno scorso, è stato pubblicato da Carmilla e da Argo con una speciale introduzione ad hoc e nonostante questo in molti ce lo chiedono ancora. Be’ ecco il nostro famigerato “Notturno”.

1.

wanda“O Cecco, ma tu lo sai, te, che un amico del mi’ cugino, il Vanni, c’è entrato e non l’hanno visto più?”
“Seee!”
“Ti giuro su la mi’ mamma, manco la polizia l’ha cercato. Per farti capire, eh.”
“Su la tu’ mamma?”
“Giuro. Ed era uno grande, sai, mica un cittino. Avrà avuto diciott’anni.”
“Vabbe’.”
“Mentre invece un altro ha provato a passarci la notte e…”
“Scomparso pure lui?”
“Impazzito. L’hanno ritrovato la mattina dopo nei dintorni della villa che non riconosceva la destra dalla sinistra. Ora pare che sta all’ospedale psichiatrico di Firenze.”
“E pure questo me lo giuri su la tu’ mamma.”

“No, questo no.”
“Perché?”
“Perché il mi’ cugino non lo conosce di persona. Il sentito dire non lo si può controllare. Non la rischio, la mi’ mamma. Ma era sempre per farti capire, no?”
“Cioè? Farmi capire cosa, grullo?”
“Che a far la nottata in quella villa lì ci vogliono le palle, cittino.”
“Per me son solo voci.”
“Voci ‘na sega. Ma lo sai chi ci si mette contro? Lo sai di chi è quella villa, no?”
“Lo so sì, se no mica sarebbe una prova di coraggio, giusto?”
“Ma tu lo sai che quello là, a ottant’anni suonati fa le orge e glielo mette in culo alle guardie del corpo, e se quelli protestano li mena pure?”
“Ma non dire…”
“Ma tu lo sai che trent’anni fa si è travestito da secondino e ha portato un caffè col veleno in galera a un tipo che gli rompeva le palle? Ma lo sai che quello là, dopo tutti ‘sti anni, i processi e le condanne che ha avuto, ancora ministri e capi di governo gli leccano i piedi? Che alla villa è tutto un andare e venire quotidiano di politici in cerca di favori? Gente importante, eh, mica sottosegretari!”
“…”
“Ma tu lo sai che quando un giornalista di qui si era messo in testa di fare un servizio sulla sua vita senza la sua autorizzazione, com’è come non è, lo hanno trasferito per direttissima in Culilandia a contare le pecore?”
“Esagerato.”
“Io esagero? Cazzarola c’è chi dice di averlo visto volare. E uno, lo conosco io, che giura che quello là è immortale perché al crocicchio di una strada di campagna in provincia di Pistoia ha fatto un patto con un diavolo nero che strimpellava la chitarra.”
“Evvabbe’ ora abbiamo pure Licio Gelli in versione Pistoia Blues.”
“Zitto per carità, non dire il nome.”
“Ma tu ci vieni o no con me, Dante?”
“Sul serio ci vai?”
“Hai sentito che ho promesso, no? Una notte intera nel parco di Villa Wanda: scavalco il muro di cinta prima di mezzanotte e ci rimango almeno fino alle cinque di mattina. L’hai visto Guido come rideva con quella faccia da cazzo, mentre Bea mi guardava. Io non gliela dò mica vinta, a Guido. Tanto, che ci vuole? Il parco è enorme, entro da dietro e me ne sto buono buono qualche oretta. Che sarà mai, un gioco da ragazzi, mica ci devo entra’ sparando. Poi vediamo se c’ha ancora voglia di ridere, lo sciorno. Alò, ci vieni?”
“…”
“O Dante…”
“Va bene, ci vengo. Però tu con Guido scherza poco. È parente lontano di quello là.”
“Madonnina, sei fissato sei!”

2.

calviCecco andò a prendere Dante a casa, altrimenti c’era il rischio si tirasse indietro. In motorino non dissero una parola per tutto il tragitto. L’aria di collina era fresca e il borbottio del motore era l’unico rumore nel giro di chilometri. Dante, dietro, reggeva una scala estraibile d’alluminio e ogni tanto, fra la salita e lo squilibrio dovuto al peso, il motorino sbandava un po’. In prossimità della villa deviarono per non passare davanti al cancello piantonato sempre da una volante, fecero il giro largo e si fermarono dal lato opposto del parco. Guido, Bea e altri due amici erano già lì.
I due scesero dal motorino, Cecco lo assicurò con una catena, poi si diressero al muro. Fecero appena un cenno della testa al gruppetto e presero ad armeggiare con la scala, allungandola e appoggiandola in modo da non farla scivolare.
“Piantatela per benino ‘sta scala. Non vorrei che vi faceste male prima ancora che vi prendano a calci in culo.” Guido non si fece scappare l’occasione per un’ultima dose di sarcasmo, ma il tono non era più sicuro come il giorno prima. Sembrava subire anche lui l’influenza nefasta di quello là, come lo chiamava sempre Dante. Tutto quel timore reverenziale Cecco non lo capiva proprio. Suo padre gli aveva pur spiegato che il Gelli era stato un intrallazzone di prima categoria, a capo di una loggia segreta tipo Rotary ma molto più segreta e molto più potente, gli aveva raccontato per sommi capi la vicenda del Banco Ambrosiano e di un tizio impiccato a Londra, sotto il Big Ben gli sembrava d’aver capito. Ma in fondo era roba vecchia e quello era un vecchio, fatto e finito, mica Bin Laden. Quando Cecco lo aveva visto dal vivo, l’unica volta in vita sua, gli aveva dato pure l’impressione di essere simpatico. E poi c’erano gli occhi di Bea, scuri, grandi e umidi come quelli di una cerbiatta. Anche adesso lo stavano guardando, quegli occhi, mentre saliva sui pioli, e per loro il muro lo avrebbe scavalcato anche se ad attenderlo oltre ci fosse stato davvero Bin Laden.
Cecco si mise a cavalcioni del muro, attese che anche Dante, più titubante, arrivasse in cima, poi tirò su la scala, appoggiandola al lato interno, in modo da assicurarsi una via d’uscita. Un cenno d’intesa col compagno e un ultimo sguardo a Bea. Ci voleva un’uscita di scena romantica e ironica, degna del suo gesto sprezzante. Si baciò le punte delle dita e ci soffiò sopra in direzione di lei, sorridendo. Poi saltò giù.

3.

gokuDante, rimasto solo in cima, cominciò a sentire l’ansia sfarfallare nelle budella. Brancicò la scala e scese, scivolando un paio di volte sui pioli. Che cazzo gli era venuto in mente a Cecco di saltare giù da tre metri e passa? Voleva dare ragione al Guido rompendosi una gamba prima di cominciare? Non appena i piedi toccarono terra, si guardò intorno. Cecco non si vedeva più. Era mezzanotte meno un minuto.
“Ceccooo” Chiamò a bassa voce, senza ottenere risposta. Si passò una mano sulla fronte per detergere il sudore ma non fece altro che sporcarsi la fronte di grasso. Le mani gli si erano impregnate quando le aveva appoggiate sul parapetto del muro di cinta, che ne era ricoperto. Bestemmiò e si avviò verso gli alberi. Cecco si era di certo addentrato nel boschetto per togliersi dalla vista. Una volta in mezzo agli alberi, si guardò attorno, proseguendo per qualche metro, ma dell’amico non c’era traccia.
Dante udì un rumore di rami spezzati e una specie di respiro lontano, un flebile latrato. La sua mente formulò un pensiero che finora non lo aveva nemmeno sfiorato: cani. Solo uno stupido non lo avrebbe previsto. E lui si sentiva terribilmente stupido. Al diavolo pure Cecco, ora sarebbe tornato alla scala e se la sarebbe data a gambe. Si voltò verso il muro, ma quello che vide gli tagliò il respiro: la scala non c’era più.
Cominciò a sudare freddo e gli tremarono le gambe. In un secondo valutò la possibilità di scavalcare senza l’aiuto della scala, ma ci sarebbe voluto Goku di Dragon Ball per un’impresa simile, non certo Dante Bombardini da Cortona. Nei successivi due secondi si immaginò mentre andava a denunciarsi al grande vecchio chiedendogli pietà. Doveva ricordarsi come cavolo lo chiamavano i suoi adepti, eccellenza, maestro, sua serendipità? No, venerabile, ecco, venerabile.
Era ancora perso nella fantasia autopunitiva, quando qualcuno gli toccò la spalla. Fece un balzo in avanti e cacciò un urlo soffocato, prima di mettere a fuoco la sagoma di Cecco. Anche lui con il viso sporco di grasso. Sembravano due marine improvvisati.
“Calmo, cittino oh.”
“Macheccazzofaimaremmaimbruttita!” Dante si trattenne a stento dal gridare, ma l’affanno gli faceva saltare le pause. Indicò il muro dove c’era la scala. Cecco annuì.
“L’ho messa via io, nascosta fra gli alberi. Vuoi mai che fanno una ronda di controllo e ci beccano per una bischerata così.”
“Chi fa una ronda di controllo?” Dante era al limite della sopportazione nervosa.
“E che ne so? Loro… qualcuno. Non si sa mai, no?” Cecco appariva invece in pieno controllo, anzi quasi spavaldo, sovreccitato. “La scala è laggiù,appoggiata a quel platano. Ora ci piazziamo qui, buonini, e ci rilassiamo per qualche ora. Te lo dicevo che era una passeggiata.”
“E i cani?”
“Quali cani?” Cecco non appariva affatto turbato. “Rilassati,” Cecco lo fece sedere per terra, forzandolo un po’. “Respira profondo, uno due tre, così, bravo. Prenditi una mentina, dai, eccotene una delle mie. Tranquillo. E ora dimmi, hai visto cani?”
“No, in effetti no, ma prima, quando ti sei allontanato, ho sentito come un respiro lungo, lontano. Non umano.”
“Magari ero io” concluse Cecco, sistemandosi con la schiena appoggiata alle radici esposte di un tronco. E quest’ultima affermazione, chissà perché, fece crescere ancora l’ansia di Dante.

4.

Capitan HowdyPassò la prima mezz’ora. I due non parlavano e le chiome ondeggianti degli alberi contro il cielo notturno incombevano sulle loro teste. Sembravano mani, mani gigantesche pronte ad afferrarli, sempre più vicine, sempre più minacciose. Dante sentiva freddo, un freddo strano, interiore. Anche lui era appoggiato alle radici di un albero, e a un tratto gli sembrò si muovessero come tentacoli. Fece per alzarsi ma senza riuscirci. Immobilizzato e inerme. Un respiro gli si avvicinò da dietro, sempre più pressante e famelico. Dante chiuse gli occhi e pregò fosse Cecco. Non ci sono cani, niente cani. Fa che sia Cecco fa che sia Cecco fa che sia… Aprì gli occhi e si voltò: accanto a lui c’era proprio l’amico, inginocchiato, gli occhi chiusi. Dante tirò un sospiro di sollievo, poi Cecco aprì gli occhi: pupille e iridi erano scomparse per lasciare posto alla sclera. Aveva gli occhi bianchi. E sorrideva.
Dante urlò a squarciagola senza emettere alcun suono. E continuò a gridare muto anche quando Cecco gli strisciò vicino alla faccia e aprì la bocca su un’impressionante chiostra di denti aguzzi. Poi Dante si svegliò. Cecco lo stava scuotendo: “Che cazzo c’hai da piagnucola’ in quel modo, o grullo? Pari un cagnolino scannato.”
Dante grondava sudore acido, il cuore come un rullante e in bocca polvere. Si guardò attorno, ma tutto appariva normale. Gli alberi erano alberi, Cecco era sempre Cecco.
Le ombre della notte avevano perso quell’aura minacciosa del sogno e non si muovevano più. O forse no. Cos’erano quelle figure nere e smilze che schizzavano fra gli alberi?
“Che roba è quella, Cecco?”
“Cosa?”
“Quelli là, Cecco sono…”
“Tranquillo, solo illusioni ottiche. Sono le quattro meno venti, abbiamo quasi fatto. Sei troppo impressionabile tu.” Cecco stava per mettersi a ridere, ma non gli fu possibile.

5.

gelli

Arrivarono da dietro, in silenzio, come fossero sempre stati nascosti dietro i tronchi ai quali i due ragazzi si erano appoggiati. Dante si sentì trascinare sulla schiena, ma era quasi del tutto insensibile. Non provava dolore e non riusciva a vedere nulla attorno a sé. Sentiva solo i rumori del suo corpo e di quello dell’amico che venivano trascinati. Fino a una radura. Qualcuno armeggiò attorno alle sue braccia e alle gambe, poi più nulla. Passarono minuti interminabili. Cercò di mettersi seduto, per sentirsi meno inerme ed esposto, ma non ci riuscì. Dovevano avergli assicurato polsi, caviglie, gomiti e ginocchia al terreno. Spalmato come marmellata sul pane. Per quel che poteva vedere dalla sua posizione, alzando appena la testa, anche Cecco si trovava nelle stesse condizioni, a pochi metri da lui. Provò a chiamarlo. Ma una luce accecante spazzò via la notte e lui apparve. Seduto su una sedia con braccioli imponenti, un trono nel mezzo del prato, proprio fra Dante e Cecco. Seduto ma più in alto di loro, più forte di loro. E più calmo. Vestito di bianco. Giacca, pantaloni, gilet, camicia e cravatta. Bianchi. Scarpe. Bianche.
Guardò i due ragazzi attraverso le lenti dalla montatura leggerissima. Annuì sorridendo. E cominciò a parlare. “A questo dunque sono ridotto? A un giochino trasgressivo per adolescenti? La casa stregata di Arezzo?” Una pausa, come aspettasse una risposta, ma Cecco taceva e Dante non aveva fiato nemmeno per respirare. Si stava pisciando addosso.
“Venite qui, da un povero vecchio che vorrebbe ormai solo oblio e poesia. Venite qui, con la vostra arroganza, strafottenza, con la vostra ignoranza. Nutriti e pasciuti con i generi di conforto che quelli come me hanno combattuto per assicurarvi. E vi mettete a giocare a Mezzanotte è suonata nel mio giardino. Non è tanto per la violazione di
domicilio, sapete. È la mancanza di rispetto che fa male. È constatare che la vostra generazione manca di volontà, di punti di riferimento. Manca di spiritualità, ecco… di spiritualità.”
Dante capiva appena le parole del venerabile, gli ronzavano le orecchie, era confuso, ma il tono dell’uomo in bianco era penetrante.
“Non è che non vi perdoni. Certo che vi perdono, bambini, miei piccoli trucioli di sogno, frammenti di stelle. Ma il perdono senza l’esempio è inutile, come un aratro senza la bestia che lo tira.” Il venerabile si alzò in piedi e Dante lo vide circonfuso da una luce candida, i contorni del corpo resi incerti e tremolanti dal riverbero. Si avvicinò a Dante. Rapido e lieve, come se i piedi non toccassero terra. Un fantasma chinato sul suo volto mentre la luce continuava a fluire dal corpo. Portò le mani agli occhi di Dante, e queste si riempirono all’improvviso di un gigantesco cuore insanguinato. Ancora brulicante di vita, pulsava e si muoveva. Il venerabile lo strinse appena e quello sussultò, come sussultava il cuore nel petto di Dante. “Dio mette nelle mani del giusto il cuore che batte nel petto degli uomini valorosi. Sii valoroso, giovane Dante, e terrò il tuo cuore sempre in palmo di mano.” La luce tornò ancora più forte, inghiottì tutto il corpo del venerabile, lo fece pulsare proprio come un cuore, lo innalzò a parecchi metri da terra, e poi lo spense, cancellandolo dal cielo notturno.
Dante si ritrovò libero nella radura ormai buia, dove sembrava non fosse successo nulla. L’amico accanto a lui, l’espressione sconvolta.
“Hai… hai visto anche tu?” Chiese Dante.
Cecco rispose solo: “Maremma.”
All’unisono voltarono la testa al muro di cinta: la scala era lì ad attenderli. Non si chiesero né come, né perché. Corsero solo come pazzi, si arrampicarono e saltarono giù. Erano le cinque e tre minuti.
Guido era già andato a dormire, ma gli altri erano ancora lì. Dante cominciò a raccontare mentre Cecco stava zitto limitandosi ad annuire.

6.

Cecco attende seduto su una poltrona di velluto verde. È la seconda volta che varca la soglia di quel salottino, uno dei tanti della villa.
L’uomo entra con passo sicuro, vestito nero, poco più di quarant’anni.
“Lo zio?” chiede Cecco.
“Lo zio è impegnato, puoi dire a me.”
“Tutto alla grande. Dante sta raccontando in giro. Lo ha visto decollare, addirittura. Che roba c’era in quella mentina?”
L’uomo fa solo segno di sì con la testa. “Bene.” Gli porge una busta spessa. Cecco la apre e conta le banconote.
L’uomo prosegue. “E di’ a tuo padre che per quell’affare può stare tranquillo.” Fa per andarsene, ma Cecco lo trattiene. “Come avete fatto il trucco della luce?”
“Fosforo sugli abiti. E un mantello nero al momento di farlo sparire.”
“Posso sapere perché?”
L’uomo sorride: “Le storie sono importanti, Cecco. L’America non l’hanno fatta grande i cowboy, ma i film sui cowboy.”