Depeche Mode – Black Celebration (Mute 1986)

Oggi i Depeche Mode sono pesi massimi dell’industria musicale, al pari di U2 e R.E.M., si sentono ovunque, fanno il sold out dal vivo, escono con dischi eleganti e ben scritti, contando su un Martin Gore a livello di songwriting stellare. Hanno anche molto appeal, nonostante probabilmente non lo cerchino sempre. Ma i Depeche Mode hanno un passato glorioso nell’immaginario mondiale della new wave, l’ondata alternativa pop/rock degli anni ’80. L’acerbo e bellissimo Construction time again, la perla riconosciuta Some great reward, più tardi Music for the masses – recensito nei 600 di Blow Up – e Black Celebration, album del 1986 sempre per la Mute records. Questo disco ha un fascino diverso e unico, per certi versi dal mio punto di vista è la massima espressione artistica dell’allora quartetto di Basildon, Essex. Certamente la più rituale, celebrativa. La celebrazione del nero, appunto. La morte è dappertutto, ci sono mosche sul parabrezza, tanto per cominciare, a ricordarci che potremmo essere spazzati via stasera. Fly on the windscreen alza subito il tiro, dopo la liturgia del brano di apertura. Poi una serie di ballate e pillole pop di melodia e dolcezza, firmate Martin Gore, a dimostrare che rabbia e oscurità sono solo aspetti di una personalità profonda e completa. Livello qualitativo altissimo. Poi A question of time, martellante e sintetica. Stupenda. I testi bucano la mente, ti si appiccicano addosso, girano perfetti, forse anche a causa dell’averli imparati a memoria senza capirli davvero, anni prima. Effetto sorprendente. A seguire la canzone più tipicamente Depeche Mode, per come li ha vissuti il sottoscritto: Stripped. Notte, freddo, ambientazione industriale. Vestiti di pelle nera, facce pallide, tagli di capelli aerodinamici. Prendere a martellate un’auto, bruciare con la fiamma ossidrica una televisione. Lasciare la città, spogliarsi di tutto. Lascia che ti veda nudo fino all’osso. Lascia che ti senta prendere decisioni senza la tua tv. Che ti senta parlare solo per me. Here is the house è gommoso pop intelligente, un marchio di fabbrica negli anni per i DM, poi ancora emotività teenager e vera con World full of nothing e Dressed in black. Infine New dress, a spiegare come stanno le cose. I Depeche Mode di quegli anni sono stati un simbolo per moltitudini di giovani sparsi per il globo come pochi altri gruppi hanno saputo fare. Il loro gusto musicale e artistico, la loro visione del mondo, l’approccio politico e ‘contro’ nelle liriche, supportati dalla miscela irresistibile di melodia, atmosfere cupe, gusto pop e venature dark/industriali hanno tenuto per lungo tempo alta la bandiera di una generazione per fortuna sopravvissuta ai paninari e agli yuppies. Gli stessi che oggi, forse, a capo di affermate agenzie pubblicitarie, li mettono in filodiffusione nei loro loft affollati di creativi in mezzo mondo. (KZA)