Carefree

carefreeHo la sfortuna di lavorare da molti anni per una società di Londra, con una posizione che richiede l’utilizzo della lingua inglese almeno quanto di quella italiana. Di norma sarebbe una bella cosa, dopotutto come sappiamo bene la ‘i’ di inglese fa parte delle magnifiche quattro (o cinque?) ‘i’ – risparmiatemi l’elenco per favore. Però non si tiene conto di una discriminazione al contrario, chissà perchè molto in voga nel nostro paese: sei ridicolo se parli inglese con l’accento giusto. Non dico che ti devono fare un applauso, e capisco che talvolta chi vuol fare il saputello accentui la pronuncia in modo troppo enfatico e faccia sorridere, ma da qui a essere additato tra le risa generali come novello Alberto Sordi from Kansas City ce ne vuole.
Ma prima di arrivare all’accento, è interessante anche analizzare le storpiature di termini stranieri nel linguaggio comune, a beneficio – stando a chi le sostiene – della praticità e dell’utilizzo facile da parte di tutti. Quindi, per esempio, la parola che fa da titolo in questo post, noto prodotto di igiene intima, non si legge in inglese come si dovrebbe, con un ovvio significato etimologico, ma ‘all’italiana’ e senza significato alcuno. Divertente. Perchè? Non si sa. Forse lo hanno deciso i creativi del Branding di qualche multinazionale dei prodotti di consumo, quelle che da sole (o meglio in tre o quattro) controllano il 60/70% dei prodotti nei supermercati. Per qualche curioso motivo, queste società globalizzano tutto tranne il nome, che deve rimanere locale e ignorante. Anche se onestamente ci vedo lo zampino italico. Posso immaginare lo scambio di battute tra manager:
‘Ma sei matto? Carefree (pronunciato giusto)? E come fa a dirlo la massaia quarantenne di Frosinone?”
“Scusa, non può imparare?”
“La massaia?”
“Perchè?”
“Sei licenziato.”
E l’altro manager, anche lui giovane e di mentalità vagamente aperta. Sarà gay o comunista.
“Ma anche Carefree (pronunciato come si scrive) deve impararlo, allora cosa cambia? Anzi, passo dopo passo l’inglese lo imparerebbero tutti, se cominciassimo a utilizzarlo in modo corretto..”
“Giusto, ma sei licenziato anche tu.”
Comunque, nell’Italia di internet, dei cellulari di nuova generazione e di altri inutili e costosi marchingegni tecnologici, in fondo l’inglese ormai lo masticano in molti. E arriviamo al nocciolo della questione: pronunciare corretto è sbagliato? Socialmente inopportuno? Parrebbe di sì. E pronunciare sbagliato è corretto? Anche qui, sì, stando alla dinamica di livellamento verso il basso che spesso noi italici sembriamo adottare. Del tipo: visto che siamo tutti messi male, dove credi di andare tu con quell’accento da fighetto? Mi rendo conto che forse qualche amica o amico, durante la nostra adolescenza, dopo un corso di lingua a Boston si è resa insopportabile con quella pronuncia più falsa che altro – BASTON, RIGHT? – che non andava via nemmeno cinque anni dopo il viaggio. E ci ha fatto odiare l’inglese ben pronunciato. Oppure un’altra amica o amico che, dopo essere stata in vacanza-studio a Cambridge per quel TOEFL di cui tuttora ignoro peculiarità e utilizzo (conosco solo il prezzo, eccome), fingeva di non ricordarsi più l’italiano quando si andava a bere in gruppo il sabato sera. D’altronde, in televisione l’inglese è più maccheronico che al mercato rionale, e benemeriti presentatori e soubrette dai cachet importanti non sono in grado di tirar fuori una frase in lingua straniera decente, davanti al George Clooney o Xavier Bardem di turno (tranne Raffaella Carrà, e ho detto tutto).
Perchè non danno qualche serie televisiva ‘pilota’ in lingua originale, su qualche lungimirante canale? Non sarebbe un brutto inizio, vista la popolarità riacquistata dei telefilm di oggi. Perchè non ci si sforza di leggere e parlare inglese con il giusto accento? Certo, fino a quanto l’immagine del native speaker in tv è quella del tizio delle Iene che fa il professore di inglese… Zappa sui piedi, la chiamerebbero altrove. Orgoglio coatto, che di per sè non è un concetto sempre sbagliato, per quanto mi riguarda. Ma in questo caso è meglio essere un pelo più esterofili e meno italo-centrici nella visione del mondo, aiuta anche a capire che non siamo i depositari della verità nelle cose: da come si rifà un letto alla valorizzazione del personale in una ditta. Anche se siamo certo maestri nel far scivolare le responsabilità altrove. La dolce vita italiana, la conoscono tutti. Un’esistenza col sole in faccia, occhiali scuri, sorriso stampato, senza preoccupazioni. Una vita carefree.