Eine Anime für Alle und Keinen (3 di x)

More about Pop filosofia

L’altro

Il problema dell’altro, per esempio in Heidegger, ha a che fare con la riflessione sul linguaggio quale sede dell’intersoggettività:

Il discorso è esistenzialmente coorigianrio alla situazione emotiva e alla comprensione […] La comunicazione non è il trasferimento di esperienze vissute, di opinioni o di desideri, dall’interno di un soggetto all’interno di un altro. il con-Esserci è già essenzialmente rivelato nella situazione emotiva comune e nelle comprensione comune. Nel discorso il con-essere viene viene partecipato ‘espressamente’; dunque esso è già, ma non è ancora partecipato perché non è ancora afferrato e appropriato

e ancora: “[…] l’aprimento essenziale dell’Esserci al con-essere con gli altri. Il sentire è l’apertura primaria e autentica dell’Esserci al suo poter-essere più proprio, come ascolto della voce dell’amico che ogni Esserci porta con sé.”

Emmanuel Lévinas obietterebbe che in questo modo si privilegerebbe solo l’interesse gnoseologico, fraintendendo il ruolo filosofico del concetto stesso dell’altro. Insomma il darsi come oggetto per un soggetto dell’altro non può partire solipsisticamente dal pensiero, ma dovrebbe trovare il cominciamento stesso della filosofia nell’altro stesso. Più che una questione teoretica, quindi si tratterebbe di una questione etica.

Il darsi di un oggetto per un soggetto… e se l’oggetto, l’altro, fossi io? L’intersoggettività, l’aprimento essenziale dell’Esserci al con-essere cosa sarebbe?

Gli Angeli hanno varie forme, alcuni sono umanoidi, altri sono creature mostruose a forma di ragno o di animale abissale, altri ancora sono virus informatici, batteri o semplicemente dei poligoni fluttuanti. Uno di questi, Leliel, nel sedicesimo episodio, è una sfera. Si tratta di un’entità quadridimensionale, la cui quarta dimensione è il Mare di Dirac: la zona dei numeri immaginari, un modello teorico del vuoto visto come un mare infinito di particelle di energia negativa. La sfera è solo l’ombra di Leliel, l’Angelo vero e proprio è il “buio” sotto la sfera. L’Eva 01 affronta la sfera senza successo e viene inghiottito dal vuoto. Shinji rimane ore all’interno del nulla. Il supporto vitale si va spegnendo e il ragazzo comincia a delirare. Si troverà a fare i conti con la sua vita ma soprattutto con se stesso (un se stesso bambino) all’interno di un vagone di treno deserto.

Shinji: Chi sei? Chi sei?

Shinji: Shinji Ikari

Shinji: Quello sono io.

Shinji: Io sono te. Ciascun individuo ha dentro se stesso un altro se stesso; ogni individuo è in effetti costituito da due diversi se stessi.

Shinji: Due se stessi?

Shinji: Il se stesso che è soggetto osservante e il se stesso che è oggetto osservato Ogni oggetto d’osservazione ha però natura molteplice ed esistono quindi molteplici Shinji Ikari: lo Shinji Ikari che è dentro il tuo animo, lo Shinji Ikari che è nell’animo di Misato Katsuragi, lo Shinji Ikari dentro Asuka Soryu, lo Shinji Ikari dentro Rei Ayanami, lo Shinji Ikari dentro Gendo Ikari. Ognuno di essi è un diverso Shinji Ikari, ma sono tutti il vero Shinji Ikari. Tu hai paura degli Shinji Ikari contenuti nelle altre persone. (16 – Malattia mortale, e poi…)

Al termine dell’ossigeno, del riscaldamento e delle funzioni minime di sopravvivenza, Shinji è arrivato al limite della sopportazione psicofisica. Rannicchiato, infreddolito, non ha più forza. L’unica cosa che vuole è essere da un’altra parte. Il suo istinto di autoconservazione si trasforma in volontà. Una richiesta di aiuto. Una scelta di vita. Al ragazzo, avvolto dal liquido LCL come dal liquido amniotico (ormai torbido), affiorano i ricordi della madre, e all’improvviso l’EVA 01 si risveglia, anche se dovrebbe essere senza energia. Si risveglia, squarta l’Angelo in un tripudio di sangue e ne esce come un feto dal grembo, rivelando tutta la sua spaventosa potenza.

Qualcosa di perturbante

Il se stesso che è oggetto per un soggetto e soggetto per un oggetto. C’è qualcosa di perturbante nelle macchine multi-funzione umanoidi Evangelion. Sono, ovviamente, un oggetto per un soggetto. Ma non sempre, o meglio non solo. Normalmente i “robot” sono immobili nei loro hangar (immersi fino alle spalle in un liquido rossastro); senza pilota non si muovono, di più, anche con il pilota a bordo, nel caso venga staccata loro la “corrente”, fornita da un lunghissimo cavo, l’umibilical cable, che li collega a vari punti della città, dopo cinque minuti si spengono. Eppure sia l’EVA 00, il prototipo, sia l’EVA 01 si sono mossi di propria volontà. Lo 00, durante un test di attivazione, all’interno dell’hangar, come impazzito ha preso a pugni la cabina da cui i suoi creatori e alcuni tecnici lo osservavano, causando danni fisici al suo pilota, Rei. L’EVA 01 invece, sembra agire di propria volontà in diverse occasioni, già prima dello scontro con Leliel, come nel secondo episodio, quello durante lo scontro con Sachiel. Come già visto, Shinji è appena salito a bordo, non sa pilotare l’EVA e quest’ultimo viene massacrato dall’Angelo. Nel momento in cui si interrompe ogni contatto tra la cabina di pilotaggio e il quartier generale, il ragazzo sembra spacciato ma con un urlo ferino l’EVA si ridesta in preda a quello che viene definito berserk, una furia cieca che lo spinge a combattere, fino alla distruzione del nemico.

L’EVA 01 si rianima anche durante un attacco al quartier generale. Shinji si trova su una passerella che corre proprio davanti alla testa del robot, crollano alcune parti sopra di lui, e l’EVA lo ripara con la mano gigantesca dai detriti. Durante un’altra disperata battaglia, l’EVA va in berserk ed è senza alcun controllo, la corazza (che non è protettiva ma costrittiva come dice la dottoressa Akagi) si sfalda e l’EVA si rivela per quello che è: una temibile creatura fatta di carne, dagli istinti primordiali che si avventa, avanzando a quattro zampe, sull’Angelo e lo divora in un bagno di sangue. (19 – Battaglia da uomo).

Nella seconda parte dell’anime scopriamo che Gli EVA sono umani. Sono una specie di clone di essere umani in cui è stata “inserita” l’anima di una persona. Nel caso dell’EVA 01 si tratta dell’anima primigenia della madre di Shinji. Ed è per questo che in pratica solo Shinji può pilotarlo. Il tasso di sincronia tra pilota e robot è alto perché, quando il ragazzo sale a bordo è come se tornasse nel grembo materno, lo stesso vale per Asuka e l’EVA 02, ma non per Rei. L’EVA protegge il suo passeggero come una madre proteggerebbe i cuccioli.

Tutti i compagni di classe di Shinji sono orfani di madre e potenziali piloti di EVA (radunati apposta nella scuola semideserta di Neo Tokyo 3 dall’istituto Marduk, l’istituzione addetta alla ricerca e alla selezione dei piloti), e infatti vedremo uno di loro salire a bordo dell’EVA 03 nel diciassettesimo episodio. (17 – Il quarto soggetto qualificato). Le unità Evangelion rappresentano l’istinto materno allo stadio primitivo. Con tutta la furia e la violenza che questo comporta.

Si potrebbe forse azzardare che l’EVA sia, in senso nietzschiano un superuomo, un evoluzione dell’umano? No. L’uomo, per Nietzsche, è il ponte tra la bestia e il superuomo. E l’Evangelion è decisamente bestiale. Eppure già dalla prima puntata viene detto chiaramente; da Misato, da Ritsuko, dal padre di Shinji, Gendo e dal suo vice, Fuyutsuki; che l’Evangelion è l’unica arma che l’umanità ha per sopravvivere agli attacchi degli Angeli, anzi per sopravvivere in assoluto. Perché? Qui l’intreccio narrativo si complica parecchio, una parte interessante potrebbe essere quella che a che fare con il Progetto per il perfezionamento dell’uomo e La SEELE.

M. Heidegger, Essere e Tempo, pp. 204 – 206

Quello che ha fatto Levi Strauss, in antropologia, valorizzando etnologicamente l’alterità culturale, o Michel Foucault nella ricerca di un altro rispetto alla razionalità con la sua Storia della follia.

La modalità berserk è uno stato di furia non prevedibile dell’attività di un EVA. L’unità si attiva nonostante l’assenza di alimentazione e si comporta come avesse vita propria.

Rei è un clone della madre di Shinji. Potrebbe pilotare anche lo 01 e viene usata come base per il cosiddetto dummy plug. Una sorta di pilota virtuale che possa funzionare negli EVA senza bisogno del pilota in carne e ossa. Nell’EVA 00 c’è l’anima della madre di Ritsuko, che aveva una relazione con il padre di Shinji e che ha strangolato Rei, una delle Rei, da bambina. Per questo l’EVA 00 tenta di distruggere Gendo ed è in conflitto con Rei.

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Eine Anime für Alle und Keinen (2 di x)

More about Pop filosofia Neon Genesis Evangelion? Carta carbone da Wikipedia:

Shin Seiki Evangerion, comunemente noto anche come Evangelion, è un anime di 26 episodi del 1995 creato dallo Studio Gainax, sceneggiato e diretto da Hideaki Anno. È uno dei maggior successi (sia commerciale che di critica) dell’animazione giapponese, ed è considerato tra i migliori anime di sempre. Parallelamente alla serie televisiva è stato ideato un adattamento manga per opera di Yoshiyuki Sadamoto (il character designer della serie), che presenta alcune differenze nello sviluppo della sceneggiatura. Nel corso degli anni, sono stati inoltre pubblicati da altri autori tre manga spin-off della serie animata.

Uno dei maggior successi (sia commerciale che di critica) dell’animazione giapponese.” Si tratta di una descrizione metatestualmente relativa alla cornice stessa in cui si trova questo testo: una raccolta di scritti che osserva la cultura pop attraverso lo specchio della filosofia.

Evangelion è un opera pop. Ha riscosso successo in patria e, in un secondo, tempo nel resto del mondo. Ha avuto delle ripercussioni culturali, ha innescato alcuni meccanismi di consumo relativi al merchandising e si è transmedialmente “spalmato” tra vari mezzi di comunicazione (cinema, videogiochi, web, fanfiction, fumetti, modellismo, giochi di ruolo ecc. ecc.). Ma questo lo rende davvero, intimamente, pop?

In termini macroscopici, quali sono le caratteristiche del pop? La complessità narrativa rientra tra esse?

Potremmo azzardare un “sì certo” come risposta. Eppure Evangelion ha una complessità drammatica che implica una stratificazione concentrica di possibili interpretazioni e comprende un’altrettanto intricata serie di riferimenti ipertestuali e interdisciplinari da far impallidire il più spericolato spettacolo teatrale d’avanguardia. Non solo; la fabula e l’intreccio, si fanno talmente ingarbugliati e densi da sfiorare l’incomprensibile. La mole di dettagli più o meno velati o sottaciuti, per non parlare di quelli del tutto omessi, è tale da rendere, Evangelion un’opera bifronte, essoterica ed esoterica come lo Zarathustra. Per comprendere certi snodi della trama, spesso bisogna ricorrere ad appoggi esterni, al lavoro di qualche fan che con pazienza e perizia si sia messo a guardare e riguardare ogni singolo episodio, esplorando ogni dialogo, anche il più banale, alla ricerca di un dettaglio, di un appiglio, o che abbia raccolto interviste e interventi dell’autore, Hideaki Anno, in varie convention o magazine per appassionati. Evangelion ha bisogno di una guida alla visione e della prontezza di riflessi tipica di uno spettatore allenato a usare il telecomando. Play. Pausa. Consultazione della “guida”, Play, Pausa…

Un disco dei Beatles, per quanto complesso possa essere negli arrangiamenti, nei testi, nella costruzione della melodia e del ritmo, non ha bisogno dello stesso livello di attenzione, di analisi, di conoscenza della materia, di studio di un disco di Arnold Schönberg per essere apprezzato. Evangelion è quindi un’anomalia. Ha il successo di un disco dei Beatles (con le dovute proporzioni) ma la “difficoltà” di un’opera dodecafonica. Lo stesso succede per esempio in “opere pop” come Lost, John from Cincinnati, Flash Forward, Fringe, Battlestar Galactica, o in anime e manga come Eden, Death Note, RahXePhon, Berserk ecc. ecc.

Neon Genesis Evangelion però risale al ‘95, quando ancora i tubi catodici trasmettevano Beverly Hills 90210 e Dawson’s Creek, il cui intreccio era tutto tranne che complesso, e il pubblico generico non era abituato a certe tematiche e costruzioni narrative. Evangelion poi è un anime, un “cartone animato”, e per quanto oggi sembri ridicolo ritenere l’animazione consumo esclusivo dei più giovani, nel decennio scorso si faticava ancora, per lo meno ad alcune latitudini, ad abbattere questo pregiudizio; e infine comunque, con la mappa adeguata l’Isola di Lost è esplorabile, Evangelion no. Né con la “guida”, né affrontando le eventuali letture propedeutiche che vanno dalla Cabala, alla Bibbia, da Freud a Schopenhauer, da Kierkegaard a Nietzsche da Kant a Buddha, da Darwin a Heidegger… Insomma un prodotto difficilmente inquadrabile nella categoria del pop tout court, che però ne ha lo stesso le caratteristiche e la portata. Si tratta di un’opera olistica. La somma delle parti che la compongono è più o altro dal tutto. Non è un caso quindi che rivedere Evangelion, dopo una riflessione post rem sui suoi livelli di lettura, possa renderlo diverso rispetto alla prima visione. Gli Eva, gli Angeli, l’AT-Field, i personaggi stessi possono assumere un valore metaforico che trascende il contenuto formale di ciò che stiamo vedendo.

Oggetto per un soggetto

Già da subito, lo scontro tra l’angelo Sachiel e l’Eva 01 (1- L’attacco dell’Angelo, 2 – Soffitti sconosciuti) potrebbe essere letto, parzialmente ma legittimamente, come una riflessione sul tema dell’altro. Chi è l’altro? Cosa comporta venire in contatto con l’altro? Cosa cerco nell’altro?

In Evangelion sembrerebbe un topos centrale, tanto da ritornare quasi in ogni episodio e venire esplicitata nel terzo episodio da uno scambio tra due personaggi principali della serie, la dottoressa Ritsuko Akagi e il capitano Misato Katsuragi. Parlando di Shinji, Ritsuko dice a Misato che il ragazzo sta vivendo il dilemma del porcospino: tanto più due esseri si avvicinano tra loro, molto più probabilmente si feriranno l’uno con l’altro. (3 – Un telefono che non squilla) Allegoricamente potrebbe succedere proprio questo nello scontro: l’Eva 01 si avvicina all’Angelo, all’altro, ne supera la barriera emotiva, l’AT-Field, e viene in contatto con il nucleo, con l’essenza intima dell’altro. La cosa però è molto, molto dolorosa. Addirittura letale per uno dei due. A restare in piedi sarà il più adatto a vivere.

Ma cosa significa il più adatto a vivere? Più avanti nel corso della narrazione si scopre, o meglio si intuisce, che gli Angeli, i “mostri” che attaccano l’umanità, i nemici, gli altri: non sono che diverse possibilità di esistenza, altre forme di una possibile evoluzione dell’umano. Solo il più adatto può sopravvivere, la convivenza è impossibile. Adatto non significa più forte. Non è una questione darwiniana, è semmai una questione di volontà, al limite del nietzschiano. Il più adatto alla vita è colui il quale vuole vivere. Gli spunti forniti dall’anime, però come già detto non sono affatto lineari, e il carattere stesso del protagonista rimette in discussione – di nuovo – tutto.

Shinji non sa perché vive e non sa se vuole vivere. La vita fa male. Vivere significa entrare in contatto con gli altri, e allora la felicità è fare quello che agli altri fa piacere, fare quello che dicono gli altri per piacere agli altri ed essere accettati appagando il proprio bisogno di consolazione. Ma è così? Per quale motivo Shinji entra nell’Evangelion, se la cosa, può essere dolorosa per il corpo quanto per la mente?

Shinji, si dimostra del tutto incapace di relazionarsi, fisicamente e sentimentalmente con chiunque, la sua barriera difensiva, il suo AT-Field, è perennemente alzata e quando tenta di abbassarla prova dolore. Shinji si difende proprio come un riccio, e quando tenta di avvicinarsi a qualcuno si fa e fa male. Per questo anche nei momenti di tensione erotica il contatto non avviene, come quando prova a baciare l’altro pilota dell’EVA, Asuka, nel sonno e poco prima che le sue labbra tocchino quelle di lei si ritira. Allo stesso modo, all’inizio del film prodotto dopo la conclusione regolare della serie , Shinji, seduto al capezzale di Asuka in coma, dapprima prova a scuoterla per farla rinvenire, urlando che ha bisogno di lei, poi quando non ci riesce, si allontana e si masturba osservando il suo corpo. Il suo sentimento confuso ma potente nei confronti della ragazza, lo respinge. Non la tocca, non la bacia, non le parla. Si allontana ed esprime il suo amore per lei senza contatto per poi mormorare tra sé: “sono un verme”. (Neon Genesis Evangelion: Death and Rebirth: Rebirth)

Note:
Il carattere di Shinji potrebbe essere letto come eventuale metafora del fenomeno degli hikikomori, gli adolescenti giapponesi barricati per anni nelle loro camere e isolati dal mondo.
Wikipedia è un buon punto di partenza. Altrettanto interessante è il lavoro svolto dal sito italiano dedicato all’anime: http://www.evaitalia.tk/
L’eccezione a conferma della regola era, nel caso dei telefilm, X-Files e in quello dei manga, Alita.
C’è voluto molto più che l’avvento dei Simpson per sradicare l’equazione cartone animato = prodotto esclusivamente per l’infanzia o per l’adolescenza.
Absolute Terror Field: lo scudo protettivo generato da EVA e Angeli. Nelle ultime puntate viene spiegato che L’AT-Field è anche la barriera dell’animo, è il confine dell’individualità umana. Hideaki Anno ha preso a prestito il termine dalle teorie psichiatriche relative all’autismo e allo stato di terrore assoluto in condizioni di violazione grave del dominio dell’Io.
A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, p. 396. “Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.”
Asuka con cui Shinji con cui condivide diverse caratteristiche relazionali e psicologiche.
Abbiamo scelto di non considerare, se non in via del tutto marginale, i lungometraggi successivi alla serie, realizzati per cercare di spiegare, senza troppo successo, i molti punti oscuri della trama e soprattutto del contestato finale. Come annotava Wittgenstein “Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere” e provare a spiegare la fine di Evangelion è non tacere nonostante non si possa parlare.

I 57 livelli dell’illuminazione

Che volete che vi dica? Lo sanno tutti che arrivare a Bologna da una città di provincia è come per Pinocchio arrivare nel paese di balocchi. E i primi dieci, quindici, livelli dell’illuminazione si bruciano così. Non v’è dubbio.
La prima volta che misi piede al Livello 57 era una notte nebbiosa e umida, ovviamente, e fu per un concerto di non so neanche più quale improbabile gruppo di noise rockabilly o country metal. La seconda, sempre immersa nella foschia, stavo già rischiando la vita a cinque metri d’altezza su di un’impalcatura che ondeggiava come una barchetta di carta in piena tempesta, a tendere dei cavi elettrici spelacchiati e tutti scintille, per il concerto successivo. Fu così che la mia frequentazione del centro sociale divenne rapidamente incessante. Ho sempre amato il rischio… Continua a leggere

Ispirarsi alla storia 2

berserk

CHI ERANO I BERSERKIR ?

Se dico Berserkr cosa viene in mente a un giovane d’oggi che si interessa d’arte? Un sacco di cose, immagino. Il fumetto manga di Miura, per esempio, oppure il ciclo di romanzi fantascientifici di Saberhagen. O ancora il mitico videogioco degli anni ’80, il gruppo EBM degli APOPTYGMA BERZERK e quello metal dei BERSERK. Sono tantissimi e tutti diversi i riferimenti che il termine Berserkr (al plurale Berserkir) richiama alla mente. Facciamo un po’ di ordine allora, cominciando col vedere l’origine di questo termine. Secondo il dizionario etimologico Cleasby-Vigfusson deriverebbe da “berr”, orso (dal tedesco baer) e serkr, maglia (dallo scozzese sark cioè shirt), “cappotto d’orso” quindi. Sembra invece non trovare riscontro l’interpretazione etimologica del termine che vorrebbe la prima parte “berr” tradotta con “bare” (“nudo” in inglese) ottenendo quindi una traduzione che suona più o meno “a torso nudo”. Chi erano dunque i Berserkir? Principalmente erano guerrieri vichinghi che attraverso un giuramento al dio Odino (massima entità degli dei vichinghi e nordici in genere) entravano in possesso, secondo la mitologia, di poteri soprannaturali che li rendevano insensibili alle ferite a al fuoco. Venivano  assoldati dai re nordici danesi e norvegesi come truppe d’elite e durante le battaglie combattevano nella prima fila dello schieramento, completamente nudi e coperti solo da pelli d’orso o di lupo (in questo caso il nome si tramutava in ulfhednar -“mantello di lupo”). Si narra anche che, prima di ogni scontro per effetto del giuramento a Odino, entrassero in uno stato di agitazione fisica e psichica conosciuto col termine di berserksgangr. Questo stato viene così descritto: il soggetto comincia a tremare, battere i denti ed è pervaso da una sensazione di freddo nel corpo. La faccia si gonfia e cambia colore. Segue una grande rabbia, l’ululare e una forte propensione alla rissa. Quando la rabbia svanisce, il berserkr è completamente stremato, condizione che perdura anche per diversi giorni. Non sono poche le saghe che descrivono questi guerrieri negli avamposti dell’esercito schierato a battaglia, mentre ululano, sbattono la spada sugli elmi, mordono i loro scudi e infine si avventano sul nemico come animali assetati di sangue. Pare che l’unico modo per fermarli fosse asportare loro il cuore oppure la testa, in quanto erano completamente insensibili al dolore e in preda a un raptus che spesso li costringeva ad attaccare non solo gli avversari ma anche gli alleati. In alcune saghe, per esempio, si narra che dei berserkir, una volta terminata lo scontro col nemico, per esaurire la propria furia omicida avessero attaccato e saccheggiato dei villaggi amici, violentandone le donne. Nella leggenda di Hrolf Kraki, invece, il campione berserk di quest’ultimo, Bothvar Bjarki (personaggio che è stato fonte di ispirazione anche per il buon vecchio Tolkien) stando a quel che si dice, combatteva con le sembianze di un grosso orso. Anche nella Saga di Volsunga il guerriero Sigmund e suo figlio Sinfjotli indossavano pelli di lupo, usavano il linguaggio dei lupi e ululavano quando attaccavano. Tornando ai riferimenti prettamente storici pare che Erik il Rosso, colui che scoprì l’America quasi 500 anni prima di Colombo, fosse un berserk e Harald Bellachioma (Harald I di Norvegia) era fra quei re prima menzionati che usava questi potenti guerrieri come truppe d’elite. In generale quasi tutti i re pagani del nord utilizzavano queste soldati come guardie del corpo: una squadra di dodici uomini è la formazione più comunemente riportata nelle fonti. Anche durante le battaglie navali, che fra i popoli del nord erano frequenti, i feroci guerrieri consacrati a Odino avevano un posto in prima fila. Combattevano infatti sul castello di prua della nave del re; lo spazio tra la poppa e la mezzeria era chiamato rausn, o difesa avanzata, e questo era il posto destinato ai berserkir. Ma la loro fortuna nelle fredde lande del nord era purtroppo destinata a finire con l’avvento del cristianesimo. Intorno all’anno mille in Islanda (il primo vescovo islandese viene consacrato tale nel 1056) la furia dei berserkir fu in pratica dichiarata fuori legge e i ferini combattenti furono considerati come una sorta di demoni satanici; le saghe del periodo li rappresentano come buffoni pazzi adatti soltanto a essere fatti a pezzi da un vero eroe. Anche nella penisola scandinava Erik Jarl di Norvegia nel 1015 lì bandì dal regno seguendo la legge cristiana. In pratica nel 1100 i berserkir organizzati erano spariti. Spariti per entrare nella leggenda.

NUOVE TEORIE SUI BERSERKIR

In tempi recenti il tema è tornato d’attualità. Soprattutto l’analisi e lo studio sulla condizione di berserksgangr ha portato alcuni studiosi ad avanzare delle teorie suggestive. Secondo il professore statunitense Jesse L.Byock, questa rabbia potrebbe essere stata causata dal morbo di Paget, che comporta l’ingrossamento delle ossa del cranio e come prova a sostegno cita le teste grosse e sgradevoli di Egill Skallagrimssonar nella saga di Egil. Altri associano la condizione di rabbia e tremore incontrollato all’epilessia e all’isteria. In particolare la tesi sull’epilessia risulta interessante se pensiamo che l’essere Berserk era una condizione ereditaria come quella di epilettico. C’è infine chi crede che le società dei feroci guerrieri nordici facesse uso di infusi a base di amanita muscaria, un fungo allucinogeno, i cui effetti sono molto simili a quelli provocati dal berserksgangr. Ragionando sul fenomeno anche al sottoscritto è venuto l’ardore di azzardare qualche teoria che non ha a che fare né con la scienza, né con la storia, ma più che altro con le credenze mitologiche che in passato, ma anche ai nostri giorni, si sono tramandate di generazione in generazione nelle culture occidentali ma non solo. Penso alla figura mitica dei lupo mannaro o del vampiro, per esempio. Il fatto che per uccidere questi guerrieri bisognasse staccar loro la testa o il cuore, che si vestissero da lupi e che parlassero come loro e soprattutto che a volte rivolgessero la loro rabbia anche contro amici e alleati, in pratica contro chiunque gli si parasse davanti non può non farmi tornare alla mente i licantropi e i figli del buio assetati di sangue umano che hanno regalato tante notti insonni alle nostre generazioni. Che tutto sia nato in una fredda landa del nord una notte di 1300 anni fa? La cosa non mi stupirebbe. D’altronde i miti e gli archetipi nascono e si trasformano nel tempo e nello spazio da sempre: il mito del guerriero invincibile che sfida e sconfigge l’uomo-bestia inferocito e cattivo,  il brutto e deforme incompreso che si rifugia nella solitudine e anche il numero di dodici (penso agli apostoli) soldati alla corte del re, devoti e instancabili servitori (anche se poi nel caso degli apostoli ce n’è uno che tradisce). Figure e numeri che tornano dal profondo della storia, per rivelarsi sotto nuove forme e nuove pelli. Quelle di lupo e di orso dei berserkir.  

 

Fonti:

– wikipedia on web: http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale

Johannes Bronsdsted: I VICHINGHI – Einaudi Tascabili

Rudolf Portner : L’EPOPEA DEI VICHINGHI – Garzanti Editore

ARCHEO Attualità del Passato n°2 Febbraio 2009 – Mensile De Agostini

I. Heath e A. McBride: THE VIKINGS – Osprey Publishing