Eine Anime für Alle und Keinen (1 di x)

More about Pop filosofiaComincio oggi il primo feuilleton saggistico filosofico della storia umana (me le dico e me le canto da solo)… Dicevo, comincio oggi a pubblicare a puntate il mio saggio in creative commons, “Neon Genesis Evangelion – Un anime per tutti e per nessuno”, contenuto in Pop Filosofia, il volume a cura di Simone Regazzoni, fresco di stampa e uscito per i tipi de Il Nuovo Melangolo.

Non possiedo una filosofia in cui potermi muovere come l’uccello nell’aria o un pesce nell’acqua. Tutto quello che possiedo è un duello, e questo duello viene combattuto in ogni istante della mia vita tra le false consolazioni, che solo accrescono l’impotenza e rendono più profonda la mia disperazione, e le vere consolazioni, che mi guidano a una temporanea liberazione. Dovrei forse dire: la vera consolazione, perché a rigore non c’è per me che una sola vera consolazione, e questa mi dice che sono un uomo libero, un individuo inviolabile, una persona sovrana entro i miei limiti.

(Stig Dagerman, Il nostro bisogno di consolazione)

La speranza esiste in tante forme quanto è il numero degli uomini.

(SEELE)

AD 2015

Anno Domini 2000. Le fonti ufficiali ONU rilasciano una dichiarazione sull’origine del second impact, il cataclisma che ha sconvolto la Terra: un asteroide è precipitato in Antartide. L’impatto ha causato una leggera inclinazione dell’asse del pianeta, lo scioglimento dei ghiacci e i conseguenti sconvolgimenti climatici, dando il via a una guerra per la conquista dei territori non sommersi. La popolazione mondiale viene dimezzata. La verità è un’altra. Il cataclisma è stato causato da una spedizione al Polo Sud, che è venuta in contatto con un’entità “aliena”.
Quindici anni dopo, faticosamente, l’equilibrio geopolitico viene ristabilito sotto l’egida delle Nazioni Unite. Quindici anni dopo, come predetto dalla Pergamene del Mar Morto, l’apocalisse sembra prossima, annunciata dall’arrivo degli Angeli. Il primo di essi, Sachiel, è una creatura gigantesca che compare a Neo Tokyo 3, con l’intenzione di radere al suolo la città e penetrare nel sottosuolo. L’esercito, nonostante l’uso di armi nucleari, non riesce ad abbattere il messaggero divino. Nello stesso momento, il quattordicenne Shinji Ikari viene preso in custodia dal capitano Misato Katsuragi su ordine del comandante dell’agenzia speciale NERV, Gendo Ikari.
Nonostante l’attacco dell’Angelo, Misato riesce a portare Shinji nel sottosuolo della città, il geofront, dove si trova il quartier generale della NERV.
Gendo ha fatto chiamare il figlio, dopo averlo affidato a un tutore per dieci anni, con uno scopo preciso: farlo salire a bordo dell’unica chance che la razza umana ha per combattere gli Angeli: la macchina multi-funzione umanoide Evangelion, l’EVA 01, poiché il pilota ufficiale del prototipo, Rei Ayanami, è ferita gravemente.

Shinji non ha idea di come si possa manovrare un EVA e non sembra intenzionato a farlo. L’alternativa è fare salire a bordo Rei nonostante la sue condizioni critiche. Quando Shinji la vede arrivare spinta da alcuni medici su una barella, bendata e sofferente, si sente costretto a entrare nella “cabina di pilotaggio” e affrontare il nemico.

Il ragazzo si troverà coinvolto in una trama complessa e articolata, che metterà a dura prova la sua salute psicofisica, facendogli gravare sulle spalle il peso di ogni decisione e di ogni indecisione.

L’avvento di Sachiel non è che la prima prova che dovrà affrontare. Altri sedici angeli tenteranno di arrivare al cuore sotterraneo di Neo Tokyo 3, il terminal dogma, il luogo in cui è imprigionata la madre ancestrale del genere umano, Lilith, recuperata assieme al primo Angelo, Adam, nei ghiacci del polo e vera causa del cataclisma. Il contatto tra gli Angeli e Adam scatenerebbe il third impact, un altro, questa volta decisivo, disastro che spazzerebbe via per sempre la razza umana.
Qualcuno trama nell’ombra, si tratta della SEELE , un’organizzazione segreta che si cela dietro la NERV, che per portare a compimento il Progetto per il perfezionamento dell’uomo, cerca di provocare ciò che apertamente vuole impedire. Sarà proprio la SEELE a giocare un ruolo decisivo, quando invierà un nuovo pilota per affiancare Shinji e gli altri ragazzi che sono saliti a bordo degli EVA nel corso della serie (i children). Kaworu Nagisa, il quinto soggetto qualificato, si rivelerà essere non solo un adolescente, e unico vero amico di Shinji, ma anche il diciassettesimo Angelo. Lo scontro sarà inevitabile.

Questa a grandi linee la trama di Neon Genesis Evangelion, o meglio uno dei tanti fili, quello più superficiale, che compongono l’intreccio complesso e stratificato dell’anime. Quello che segue è una delle possibili ma parziali riflessioni che sono scaturite dalla visione dell’opera di Hideaki Anno e dello studio Gainax.

Fenomenologia della narrazione

Dal punto di vista narratologico, già a partire dal secondo episodio, se la fabula si fa progressivamente nebulosa, l’intreccio è un continuo susseguirsi di implosioni, frammentazioni, analessi. Il punto di vista si moltiplica, l’introspezione e il soliloquio si sostituiscono all’azione, anche sul versante della fotografia e della regia siamo più vicini al cinema d’autore che alle pellicole d’azione o fantascienza e tanto meno d’animazione.
Per l’anime firmato da Anno, si potrebbe parafrasare il sottotitolo di Così parlò Zarathustra: Neon Genesis Evangelion – un anime per tutti e per nessuno. Un sottotitolo che evidenzia il carattere fenomenologico dell’ermeneutica applicata a questo testo e che può dare spazio a un altro tipo di constatazione. Al di là delle chiavi interpretative del pensiero nietzschiano si può supporre che la lettura dello Zarathustra trovi in chiunque vi si approcci, addetti ai lavori e non, un riscontro simile. Dopo aver sfogliato l’ultima pagina ci si sente spaesati, non è un trattato filosofico che dispiega il sistema mondo in modo razionale, passo a passo, preciso e distante dalla vita come Plutone dal Sole. Nonostante “l’attentato” alla comprensione però qualcosa si muove nelle viscere, qualcosa rimane. Allo stesso modo, dopo la sigla di chiusura dell’ultimo episodio di Evangelion, qualcosa “sconquassa le budella”, qualcosa che ha a che fare con la Verità e le verità. Qualcosa che mina il reale stesso. A cosa ho assistito? Cosa ho visto, cosa mi ha affrontato?

Lo spaesamento non è dovuto però alla cripticità della trama, o ai vari passaggi al limite del comprensibile, c’è dell’altro. Qualcosa di forte, di emozionalmente intenso e di metafisicamente rilevante.

Shinji fissa il soffitto. Un soffitto sconosciuto. Come si è trovato lì? È solo la seconda puntata. Nella prima è andato in scena un classico dell’animazione giapponese, o almeno per tre quarti della puntata, si tratta di un classico, anche se rivisto e corretto nella grafica, nello stile e nel mecha design, in base a gusti più contemporanei. Un adolescente, sale per la prima volta a bordo di un robot sofisticato per affrontare un mostro alieno che minaccia la terra o più nello specifico Tokyo e il Giappone. Una storia vista diverse volte negli anni d’oro dei robot giganti, dallo scanzonato Trider G7 al realistico Gundam.

L’attacco alieno proprio al paese del sol levante è un topos dell’immaginario dei “cartoni animati” ed è forse collegabile al trauma collettivo della nazione dovuto allo sgancio della bomba atomica sul suolo patrio. La narrazione avrebbe per così dire interiorizzato la Storia, facendo di Hiroshima e Nagasaki un endocetto, un archetipo, che volente o nolente si riverserebbe nelle trame di chi costruisce un certo tipo di storia. Ma se fino a qualche decennio fa, l’attacco geograficamente mirato non trovava spiegazioni nel copione (perché mai un invasore alieno, o chi per lui, dovrebbe conquistare o annientare la terra partendo dal Giappone?) e si adattava a intrecci, spesso inconsistenti e ripetitivi, nel caso di Neon Genesis Evangelion c’è un perché drammaturgico “logico”.

La spedizione al polo che scatena il second impact è nipponica, e fa capo alla SEELE. Nel 2015, quando i nati nell’anno del cataclisma, sono appena adolescenti, all’improvviso gli Angeli attaccano Neo Tokyo 3. L’assalto delle schiere angeliche è guidato dall’istinto, dall’attrazione verso Adam (e Lilith) che è rinchiuso nel terminal dogma.

Shinji si trova a fissare confuso il soffitto di una stanza d’ospedale a causa dello scontro con il nemico del primo episodio e di cui non conosciamo l’esito.

Lo spettatore non sa cosa sia successo. Come il ragazzo, si risveglia a sua volta dallo choc. L’analessi, nella seconda puntata, mostra tutta la brutalità del combattimento tra l’Evangelion e l’Angelo, e per chi è abituato a lame rotanti e compagnia bella è del tutto inaspettata.

Dopo che Shinji è salito a bordo del “robot”, viene scagliato nel mezzo della battaglia. Un elevatore lo porta dal quartier generale sotterraneo della NERV tra le strade della città evacuata. Shinji cerca di manovrare ma con scarsi risultati. Sachiel afferra l’EVA 01 per il collo e con una specie di lancia luminosa a percussione comincia a colpirlo con estrema violenza all’altezza dell’occhio. Se nei cartoni degli anni ‘70 c’era da chiedersi cosa diavolo avesse il pilota da urlare tanto, magari stringendosi l’arto corrispondente a quello del suo robot colpito dall’avversario di turno, in Evangelion viene messo in chiaro fin da subito che pilota e macchina sono in simbiosi e quello che prova la seconda, prova il primo. E Shinji urla, fino a perdere i sensi. Sotto i colpi della lancia dell’Angelo, la corazza dell’EVA cede e uno spruzzo enorme di sangue schizza dalla sua testa.

Cosa è successo dopo? Come ha fatto il pilota a salvarsi e risvegliarsi in ospedale? Che fine ha fatto l’Angelo? Ma soprattutto che cosa è l’EVA? Perché sanguina?

Quando a Shinji inizia a tornare la memoria, rammenta che alla fine della battaglia, l’EVA 01 si è fermato di fianco a un grattacielo di vetro e acciaio. Ricorda di aver osservato il riflesso dell’Evangelion, che ha perso il “casco”, e di aver visto in preda al terrore un’enorme occhio umanoide vibrare di vita.

Per salire a bordo il pilota deve entrare in una capsula oblunga, l’entry plug, una volta dentro, una specie di liquido amniotico sommerge l’abitacolo e “annega” senza troppi convenevoli il passeggero, fornendo ossigeno ai polmoni. L’entry plug viene inserito da una gru, tra il collo e la schiena, nel tronco dell’EVA. La strumentazione non è complicata, un paio di cloche legate al sedile, e la visuale è a 360°, come se uno schermo avvolgesse l’intero abitacolo rimandando le immagini esterne da telecamere omnidirezionali. Per manovrare una macchina così complicata però, lo spettatore più smaliziato, potrebbe obiettare che un paio di semplici leve non sono certo sufficienti. E infatti il pilota per poter muovere l’EVA deve avere un tasso di sincronia mentale adeguato. Il suo stato psicologico e neurologico è fondamentale. In sostanza per poter guidare l’Evangelion deve essere un tutt’uno con esso. La cloche diventa un accessorio a cui aggrapparsi o con cui gestire le comunicazioni con la base ecc. ecc. ma è la mente a dover fare tutto il lavoro. Banalmente si potrebbe dire che l’EVA cammina se il pilota pensa di camminare, ed è per questo che il dolore provato dalla macchina è quello che prova il pilota. La connessione può essere interrotta dal quartier generale in ogni momento se ritenuto necessario dal direttore delle operazioni il capitano (poi maggiore) Misato Katsuragi o dal comandante della NERV.

Per Rei, come per Asuka (il pilota dell’EVA 02), ci vorrebbe un intero scritto a parte.

Seele: anima in tedesco.
Moltissime inquadrature fisse in Evangelion hanno a che fare con la comunicazione, con i mezzi che collegano le persone tra loro e che sembrano tacere: un telefono, i cavi della luce, una segreteria che lampeggia. ecc. ecc. Una scena particolarmente efficace, nel terzo episodio, vede Shinji fuggire da Neo Tokyo 3 in treno. L’inquadratura è fissa sul ragazzo, piegato su se stesso, isolato dalle cuffie del walkman, mentre i passeggieri vanno via via scendendo fino a lasciarlo solo.
Nietzsche, F., Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno.

Cfr. M. Heidegger, Che cosa significa pensare?: Chi è lo Zarathustra di Nietzsche.
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Crossover. Per una filosofia popular (6 di 6)

Il network

I saggi raccolti in questo volume non teorizzano la pop filosofia. Bensì la praticano. In molti modi. Affrontando i differenti volti dell’universo pop: dalla pop music alla TV dei reality, dagli anime giapponesi al graphic novel, dal cinema di genere alle serie TV.
Essi condividono un’aria di famiglia, piuttosto che una definizione. Danno vita a un network filosofico.
Per restare nel pop, si potrebbe dire che i differenti autori hanno lavorato alla maniera di un famoso gruppo di simpatiche canaglie protagonista di una serie TV cult degli anni Ottanta, The A-Team. “Evasi da un carcere di massima sicurezza, si rifugiarono a Los Angeles vivendo in clandestinità. Sono tuttora ricercati, ma se avete un problema che nessuno può risolvere – e se riuscite a trovarli – forse potrete ingaggiare il famoso A-Team“, recitava l’introduzione italiana agli episodi.
In ogni episodio della serie, veniva il momento in cui l’A-team, per combattere la propria battaglia, creava ingegnose macchina da guerra modificando normalissimi oggetti d’uso quali auto, moto, ecc.
Lo stesso accade qui.
Ripensamento e trasformazione pop dell’idea deleuziana di macchina da guerra.
Qui oggetti vari della cultura di massa e pezzi di filosofia sono stati presi, decostruiti e riassemblati per dar vita a una macchina da guerra in forma di libro.

Indice

0. Crossover (Per una filosofia popular), di Simone Regazzoni
1. Neon Genesis Evangelion (Un anime per tutti e per nessuno), di Jadel Andreetto
2. 300 (Allegoria e guerra), di Wu Ming 1
3. Il mucchio selvaggio (Viaggio al termine dell’eroismo western), di Simone Regazzoni
4. Watchmen (Il triste tropico del dottor Manhattan), di Girolamo De Michele
5. Asterios Polyp (Mitografie della decostruzione), di Francesco Vitale
6. This is it (The King of Pop) , di Peter Szendy
7. Romanzo Criminale (La produzione di storia e l’esistenza dell’Italia), di Lorenzo Fabbri
8. Mad man (L’esposizione del pensiero), di Tommaso Ariemma
9. Grande Fratello (Le due morti di Jade Goody), di Giulio Itzcovich
10. The King (Il regno ® è infetto), di Laura Odello
11. Sex and the City (Indizi per un’erotica contemporanea), di Francesca R. Recchia Luciani

LA SETTA DEGLI ASSASSINI…

Chi erano gli “Assassini”? Feroce setta araba che agiva sotto l’effetto della cannabis? Oppure proto-filosofi orientali che sognavano il paradiso in terra?  Per molto tempo si è creduto che il termine assassino derivasse dalla consuetudine che avevano i membri di questa comunità di consumare hashish prima di effettuare incursioni sui nemici. In realtà, secondo studi recenti, pare che l’origine di questo termine sia ben diversa. Ma andiamo con ordine. Intorno al 1080 Hassan-I-Sabbah aveva dato origine nella Persia orientale al movimento degli Ismaeliti Nizari, sostenitori del califfo Nizar, in guerra con il fratello per l’eredità del trono di Persia. Hassan era già un personaggio leggendario presso i suoi contemporanei che lo avevano soprannominato il Vecchio della Montagna e su cui raccontavano storie fantastiche e dicerie. Fu l’abate Arnoldi di Lubecca che per primo attribuì erroneamente ai Nizari metodi sanguinari per trasformare i propri discepoli in killer spietati: “Lui trasporta questi iniziati tramite l’ebbrezza (dell’hashish ndr.) in uno stato di estasi o di demenza e poi gli si presentano in sogno dei maghi che gli mostrano delle cose fantastiche, gioie e delizie”. La tesi droga=omicidio fu poi confermata da studiosi successivi, come per esempio il tedesco Louis Lewin, autore del libro “I veleni nella storia mondiale”, che citava le ricerche di Silvestre De Sacy del 1809, secondo cui risulta chiaro che i nizari facevano uso di canapa indiana, i cui effetti erano  noti solo a pochissimi durante il violento dominio della setta che mantenne profondamente segreta questa conoscenza, dato che potevano utilizzarla per i loro scopi politici. Secondo lo psicoterapeuta viennese Hans Georg Behr però, la ricerca di De Sacy era viziata da intenti politici: nel 1800 Napoleone aveva annunciato il primo divieto della cannabis della storia recente, che allora provocò una reazione contraria.Il lavoro di De Sacy venne non a caso finanziato per intero proprio dal Bonaparte e da quel momento non solo la violenza della setta dei Nizari viene attribuita all’hashish, ma la violenza in genera si legherà in modo indissolubile al consumo di canapa indiana, concetto che è resistito fino ai giorni nostri. Ma per confutare il paradigma nizari=hashish=violenza basterebbe riportare i primi tre articoli della “costituzione” della setta di Hassan-I-Sabbah:

1. Nessuno può venire dominato contro la sua volontà. Vale solo la collaborazione tra dei dirigenti liberamente riconosciuti. Chi esercita il potere con altre condizioni, appartiene alla morte.

2.Le attuali forme statali sono inumane. Solamente la distruzione di tutti i potenti e di conseguenza della voglia di potere, renderà possibili delle condizioni paradisiache sulla terra. Chi sacrifica per questi obbiettivi la sua vita, andrà in paradiso.

3.La società futura non conoscerà la proprietà privata, ma vivrà nell’amore libero e con la proprietà comune. Un acconto di questo paradiso il credente lo può assumere di tanto in tanto con la comunione festosa dell’hashish.

Siamo di fronte a una sorta di proto-socialismo frikkettone, Marx che incontra John Lennon con otto secoli di anticipo sulla storia, e soprattutto è chiaro che la comunione con l’hashish per i Nizari è festosa. A riprova di ciò in un testo nizaro è scritto che dal momento in cui un adepto riceve un incarico egli deve astenersi dalla canapa e soprattutto si fa notare che “l’hashish rende leggiadri. Il pugnale non colpisce, dal momento che il cuore è incline alla dolcezza”. Nel 1090 la setta degli Assassini conquista la fortezza di Alamut (la mitica montagna raccontata dalla matita di Hugo Pratt e da altri poeti e scrittori), sulla cima di una montagna; la rocca resterà loro sede per diverso tempo e per molti studiosi che si rifanno agli scritti di Burchard, un cronista inviato in oriente da Federico Barbarossa, il termine assassini deriverebbe dalla parola Heysessini, letteralmente “i signori della montagna”, Alamut appunto. Il professor Simone Assemani, docente di lingue orientali a Padova, da un’origine abbastanza simile del termine; secondo i suoi studi deriverebbe da “Al sisa” che significa rocca o fortezza. Purtroppo a tutt’oggi nel sentire comune sia la setta degli Assassini sia il consumo di hashish sono erroneamente accostati al concetto di violenza. È il nostro mondo occidentale che oggi come allora, continua ad avere delle conoscenze approssimative del variegato mondo arabo. Come scrive Farhad Daftary in “The Assassin Legenda” (London 1994) gli europei del Medioevo impararono molto poco sull’islam e sui musulmani e la loro conoscenza ancora meno informata degli Ismaeliti Nizari si tramutò in poche osservazioni superficiali e in percezioni erronee e frammentarie raccolte dalle storie dei crociati dalle altre fonti occidentali. Oggi, nonostante la tecnologia a nostra disposizione, la situazione non è cambiata: per la maggioranza degli occidentali, italiani in testa, la conoscenza sul mondo arabo si limita a qualche notizia presa dal telegiornale dell’una e a un paio di articoli letti qua e là sui settimanali di approfondimento. Vi ricordate il fastidio che si prova quando si va all’estero e si incontra qualcuno del posto che appena ci identifica come italiani ci apostrofa con un perentorio: “Italiani? Pizza e mandolino!!”

Fonti: Enrico Fletzer su Soft Secrets n°1- Discover Publisher 2010

Cosa bolle in pentola 2

… Sul versante “solista” il vostro affezionato kai zen di quartiere J, ha consegnato qualche settimana fa, il suo contributo a un’antologia di carattere filosofico dedicata alla cultura pop, che uscirà nella prima parte del 2010.
Ci sono voluti Nietzsche, Kant, Cioran, Lévinas, Camus, Sartre, Heidegger, Hume, Dagerman e un’altra manciata di pensatori ad aiutarlo nell’impresa di esplorare un anime piuttosto noto.