Tempo d’estate, tempo di feuilleton… Era il 2005 quando lanciammo il romanzo totale gothic western ambientato in Sudtirolo “SPAURACCHI”… forse il migliore di sempre… Rieccolo a puntate:

Novembre 1866, Nei dintorni di Maso Corto
“C´è qualcosa nel ghiaccio…” I bambini accorsero curiosi al richiamo di Matthias, affacciato al vecchio pozzo nel bosco. “È vero. Ma cos´è?” Circondavano il cilindro di pietre lanciando pigne e ciottoli sulla superficie dura e trasparente. Un rumore alle loro spalle li fece voltare di scatto. “Papà! Guarda, c´è qualcosa nel pozzo.”
Il boscaiolo si avvicinò al figlio e agli altri bimbi con un sorriso bonario sulle labbra. Quando guardò nel pertugio, spostò la testa da un lato per scrutare meglio la forma scura nel ghiaccio. Poi si voltò, nervoso, aprendo le braccia per allontanare i ragazzini. “Via di qui. Andate in paese a chiamare il borgomastro, presto.”
Come una crisalide nell´ambra, un corpo rannicchiato giaceva nel gelido cristallo.
Febbraio 1867, boschi della Val Venosta
L´uomo accucciato fece scivolare il fango tra le dita valutandone la consistenza, poi si pulì la mano strofinandola sui pantaloni corti di pelle. Si alzò in piedi, scostando dal volto le piume del cappello.
A ogni passo una collana di denti di maiale tintinnava sul petto. “È passato di qui. Non più di otto,dieci ore fa.” Le tre figure attorno annuirono e ripresero il cammino con le alabarde in spalla. Mentre risalivano il ripido sentiero, l´uomo in coda si fermò un attimo a osservare il cielo, poi scosse il capo.
“Cosa c´è Hans?” Qualcuno aveva notato il gesto.
“Non sono convinto, Sigfried. Non può essere stato lui. Lo conosco da troppo tempo.”
“Tutti noi pensavamo di conoscerlo.” Sigfried allungò il passo, lasciando Hans a guardarsi intorno. Gli sembrava di aver visto un bagliore tra il fitto della boscaglia.
Le unghie dure, irregolari e affilate strisciavano sulla lama. Nascosto tra le fronde, poteva osservare il Saltner dai capelli corvini scrutare i boschi, mentre gli altri tre arrancavano più avanti. Le pesanti giacche di pelle marrone contrastavano col grigio delle rocce. Poteva quasi sentirne l’odore. Per un istante gli parve di incrociare il suo sguardo. Poi si alzò in piedi e si volse, scomparendo silenzioso nella macchia di abeti. Corse per un lungo tratto, evitando con meccanica precisione i rami appuntiti. Sembravano trappole messe apposta per graffiare il viso e le vesti di chi si fosse avventurato nel bosco, ma non riuscivano nemmeno a sfiorare il fuggitivo, Der Geist, come di recente era stato ribattezzato. Arrivato al limitare del bosco, poco prima di un dislivello scosceso, si fermò un attimo per prendere fiato. Appoggiato a un albero, guardò verso la conca sottostante. Gli occhi chiari ne accendevano il volto sporco di terra, lampeggiando come lame nell’oscurità. Ristette alcuni minuti, immobile. Strinse le pupille nel tentativo di mettere a fuoco il casolare, alcune centinaia di metri più in basso. Una costruzione di pietra e legno, lineare e ben rifinita, con accanto un capanno più rozzo ma assai ampio. Due sillabe gli affiorarono alle labbra, senza che quasi se ne accorgesse, la voce ridotta a un sibilo dall’inutilizzo delle corde vocali. Da mesi non parlava più con nessuno.
“Pe-ter.”
Settembre 1866, in una falegnameria alle porte di Parcines
“Ecco vedi, basta alzare qui e il gioco è fatto.” L’uomo con gli occhiali azionò la leva al centro del marchingegno. Non appena il rullo agganciato alla tastiera concluse il giro, Martin il guardaboschi estrasse il foglio dal macchinario e lo osservò in controluce. “Stupefacente… i caratteri sono perfetti, non c’è la minima sbavatura. Come hai detto che si chiama?”
“Macchina per scrivere.” Rispose il falegname, pulendosi le lenti sul grembiule.
“Macchina per scrivere. Macchina per scrivere” fece eco Gottlieb, il nano, che scomparve dietro la porta trascinando con sé una borsa piena di attrezzi.
Il Saltner lo guardò uscire, poi sorrise. “Che razza di aiutante ti sei trovato? Comunque prevedo grandi fortune per te, Peter. Alla fiera di Vienna la acclameranno come l’invenzione del secolo.”
“Io mi accontenterei di un bel gruzzoletto. Tutti fanno affari a Vienna…”
Martin strinse fra le mani la fibbia di ferro sopra i pantaloni corti. ”Questa l’ho presa da un polacco l’anno scorso, in Austria. Cinque fiorini…”
“Si fanno affari con i forestieri, è vero. Due anni fa sembrava che tutti volessero la mia Mitterhofer n°1, la prima macchina che ho costruito. Danesi, americani, perfino i messi dell’imperatore: si dice che Francesco Giuseppe sia generoso con i sudditi che dimostrano inventiva.”
“Con i potenti! Con quelli sì che è generoso…”
Il falegname abbozzò un sorriso. “Ancora problemi con il Vicario?” Pose la mano sulla spalla del Saltner per consolarlo. Lui scosse il capo, lisciandosi i baffi.
“Stavolta ha superato i limiti. Ho pizzicato ancora i suoi figliastri nella vigna di Müller, mentre si portavano via tre ceste di fragolino… Li ho presi per le orecchie entrambi, li ho fatti spogliare e li ho spediti a casa con il sedere all’aria. Dico io, sono il Saltner, lo posso fare. E invece il giorno dopo il Vicario mi viene a cercare con le guardie, porci servi del denaro, e mi costringe a pagare una multa di trenta fiorini per abuso dell’esercizio di guardavigne al di fuori dei confini assegnati. Nella notte, l’infame si era comprato i filari dove avevo colto in flagrante i ragazzi, che sono proprio al confine. Ha cambiato le mappe delle proprietà e anticipato la data di acquisto di due giorni. Il tutto avallato dal sigillo dell’Impero. Così adesso risulto io l’intruso. Figlio d’un cane. non finisce qui.”
Peter Mitterhofer tirò un lungo sospiro, era abituato a queste storie. Da sempre aveva vissuto sulla pelle i soprusi del potente di turno. Persone senza scrupoli disposte a tutto. Günther Fromm, il Vicario, ne era un esempio: aveva fatto internare il fratello Karl per poter intascare la sua fetta di eredità. Un giovane ingenuo e un po’ bizzarro ma di buon cuore, finito in manicomio senza un perché. Mitterhofer conosceva bene Karl: grazie alle sue grandi doti di falegname lo aveva preso con lui in bottega, fianco a fianco ogni giorno per parecchi anni. Poi l’orribile fine, imprigionato dal fratello arrivista e meschino. Maledetto Fromm.
“Porta pazienza, Martin. Tra qualche mese avrai finito il turno nei campi e queste sventure saranno solo un ricordo sbiadito. Allora potremo farci sopra una grassa risata. E una sana bevuta.”
Febbraio 1867
Il laboratorio di Peter Mitterhofer era una costruzione tozza e squadrata, posta a pochi metri dall’abitazione padronale. Mastro Peter aveva l’abitudine di recarvisi anche dopo cena, per spendere qualche ora a lavorare alla luce delle lampade a olio. Pochi tocchi di cesello per conciliare il sonno. La serata era rigida e ventosa, Gottlieb il nano si era appena congedato ritirandosi nella stamberga che il padrone gli aveva affittato, appena fuori il recinto del maso. Dopo aver salutato l’aiutante con un cenno, il falegname si affrettò a entrare nel capanno per sottrarsi alle sferzate della tramontana.
Richiusa la porta alle spalle si addentrò nel buio, cercando di accendere il lume sul tavolo da lavoro. All’improvviso, una vibrazione nell’oscurità lo fece sobbalzare. Afferrò uno degli scalpelli da legno, il primo a portata di mano, e si girò in direzione del rumore. “Chi c’è?”
Il movimento fu rapido e secco come il vento. Mitterhofer avvertì appena un dolore al polso, e subito si rese conto di essere stato disarmato. La mano destra gli formicolava; le dita, rese insensibili dal trauma, stringevano il vuoto. Poi una massa scura lo spinse sul tavolo, premendogli uno straccio polveroso sulla bocca. Infine un sibilo gli giunse all’orecchio, come se arrivasse da un’altra dimensione: “Ma-stro. Pe-ter.”
Riconobbe subito la voce, anche se meno viva e squillante di come la ricordava. Rilassò appena i muscoli, l’aggressore si allontanò verso la finestra.
Der Geist aprì un’anta, di poco, facendosi illuminare da un raggio di luna. La luce grigio argento ne disegnò il profilo marcato contro il buio. Il volto triangolare, aguzzo, incorniciato dai capelli lunghi, resi stopposi dallo sporco e dall’umidità. Il corpo robusto ma agile, coperto da una vecchia blusa di pelle scamosciata, zuppa di fango. Un bagliore si riflesse sulla fibbia del cinturone, sopra i Lederhosen.
Rimase così, immobile, respirando piano e fissando il vecchio artigiano. Mastro Peter socchiuse gli occhi lasciandosi cadere su una sedia. Poi parlò. “Non ho mai creduto che tu fossi un assassino. Tanto per mettere le cose in chiaro…” Si fermò un attimo, massaggiandosi il polso ancora dolorante, quindi riprese. “Sono venuti a interrogarmi la sera stessa del ritrovamento. Non mi hanno chiesto della giovane uccisa, solo se ti conoscevo, se sapevo dei tuoi problemi con Günther… Non sapevo nemmeno fosse sua figlia, quella poveretta.
Io gli ho risposto: «Chi non ha mai avuto problemi col Vicario?», ma non ho detto altro. E non ce n’è stato bisogno, in molti sapevano.”
Der Geist continuava a fissarlo senza alcuna espressione. Silenzioso. Mitterhofer non aveva paura ma si sentiva a disagio. “Hai fatto male a sparire. Non trovandoti, scaricheranno la colpa su di te. Era la figlia di un uomo importante, il borgomastro ha dato molta attenzione al fatto. Tutti i Saltner della valle sono stati incaricati di darti la caccia. Chi non c’è ha sempre torto…”
Il fuggitivo fece un movimento impercettibile, come un piccolo sbuffo. Poi l’anta si richiuse e la sua figura sparì nell’oscurità. Mitterhofer sentì ancora quel rantolo disumano vicino all’orecchio: “A mo-do mio, Ma-stro Pe-ter. A mo-do mio.”
Un flusso di vento gelido investì il viso dell’artigiano. Der Geist era già scomparso.
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