
L’occhio che tutto vede
Sono l’arabo che si spara da solo sulla spiaggia. Sono Lo straniero di me stesso. Ogni mattina è lo stesso. Il mio socio G lo definisce “nichilismo alla cazzo di cane”. Dice che dovremmo farne definitivamente il nostro motto o forse addirittura un manifesto. Guardo fuori dalla finestra, lasciando che gli occhi spazino verso l’inutilità della pianura. Abito all’ultimo piano, non ci sono ostacoli tra me e l’orizzonte. Laggiù da qualche parte c’è il porto di Ravenna con le navi che salpano per la Grecia e il fantomatico traghetto per Catania. Tra le tante cose futili che il mio disco rigido cerebrale ha registrato nello scontare la sua condanna karmica c’è una scena dello sceneggiato a puntante di Lars von Trier, The Kingdom, in cui il dottor Helmer, costretto a lavorare in Danimarca perché cacciato da ogni sanatorio di Svezia, sale sul tetto dell’ospedale e osserva con il binocolo la costa svedese e il profilo delle centrali nucleari: “grazie o nere torri svedesi, col plutonio abbiamo messo in ginocchio i danesi, qui la Danimarca una cacata di gesso nell’acqua e lì la Svezia scolpita nel granito, danesi maledetti, danesi canaglia pezzenti.”
Non ci sono ostacoli, dicevo, tra me e le sirene del porto sull’Adriatico, l’angiporto di Igoumenitsa (in cui ho passato le più squallide 30 ore della mia vita), le taverne di Patrasso e il barocco siciliano, solo le grigie torri bolognesi che con il socialismo reale e le assicurazioni hanno messo in ginocchio, l’intera città: una cacata ocra tra pianura e colli.
Il mio sguardo spazia e inciampa nel grattacielo “la Meridiana” del 1960, un monolito alto 90 metri, – meno della Torre degli Asinelli, non sia mai – d’edilizia popolare degno di quello di Odissea 2001 che per anni ha svettato sulle teste delle scimmie bolognesi, che vista la sua incomparabile bruttezza hanno preso a prendersi a randellate il cranio da sole, fino a quando è sorta Barad-dûr, la torre oscura (Lugbúrz, nel linguaggio oscuro) sulla cui cima svetta l’occhio senza palpebra che tutto osserva e sulla cui facciata, come un monito, pulsa nella mia direzione la scritta abnorme Unipol (nel mio vocabolario sindarin / linguaggio oscuro, qualcuno ha cancellato la voce e così il significato di tale sinistra parola è andato perduto per sempre). 127 metri, 33 piani, 3 piani raggiungibili facilmente con 5 ascensori che portano agli uffici del gruppo finanziario, un albergo, un cinema multisala, un centro fitness e una piastra commerciale. Il grattacielo più alto della regione. Gli abitanti del monolito si sono lamentati perché Unipol-dûr toglie loro la vista, dopo che loro l’hanno tolta a tutta la città per più di mezzo secolo. Il filosofo Marilyn Manson ha ancora una volta ragione da vendere: ognuno è il negro di qualcun altro. 127 metri: più della stramaledetta torre degli Asinelli. Ma allora fate le cose per bene, salumieri che non siete altro, datemi uno skyline degno di questo nome. Vendete tutto agli arabi (non quelli morti sulla spiaggia di cui sopra), ma quelli che si sono comprati Londra: fatevi un giro sulla cabinovia della Emirates Air Line, godetevi la vista e prendete appunti, fate lo stesso in questa miserabile cittadina di pianura che si tiene un monolite degno della periferia di Bratislava per dieci lustri e poi tira su un misero grattacielo sgraziato. Trasformate la Cirenaica in Hoboken, NJ, lasciate che ogni mattina io possa osservare una Manhattan padana, una Kuala Lumpur della bassa, dalla mia finestra. Di più, una Dubai che si estende fino in Romagna. Fate girare l’economia, gentrificate, piantate acciaio, vetro e fibra di carbonio, lasciate che i grattacieli vengano su come funghi, da via Massarenti all’Adriatico. Sempre più alti, sempre più arditi, sempre più torrificanti. Fatelo sul serio, non lasciatemi con quelle due cacate di mezzi palazzi storpi e tristi, fate che anch’io possa dire, facendo il gesto del pugno: “grazie o nere torri bolognesi”. Sono sincero: voglio la gentificrazione, voglio la derattizzazione, la skylinizzazzione, la mordorizzazione di Bologna. Voglio spararmi da solo su una spiaggia, ma una spiaggia esclusiva, di lusso, sul tetto di un nuovo Burj Khalifa emiliano con vista mozzafiato à la Blade Runner.