La Sottile Linea Rosa 9-II

Florence Nightingale

Capitolo 9-II (Antonella Sacco)

21 novembre 1854, Comando britannico di Simferopoli

Un sergente introduce Cardigan da Raglan. I due si guardano freddamente: non c’è mai stata simpatia fra loro e adesso, a dividerli, c’è anche il marchese di Lucan e il ruolo da questi ricoperto neanche un mese fa, quando Cardigan si è trovato in testa alla sottile linea rossa e, obbedendo agli ordini ricevuti, ha portato alla distruzione la sua brigata. Gli oltre cento morti e i quasi centocinquanta feriti della battaglia del 25 ottobre sono tutti lì, nella stanza…
È Raglan il primo a parlare:
“Vi devo qualcosa, per un errore che non è mio. Potete andarvene, siete libero: non ci siamo visti, voi non eravate in quella taverna e non avete cercato di aiutare quel pazzo di un russo.”
“Fëdor Michajlovic non è un pazzo e lo sapete bene. Il folle era un altro.”
“Ci sono verità che devono essere taciute e il silenzio pagato con il sangue: questa volta la vittima sacrificale è il russo. Non potevamo sperare in niente di meglio: dopo aver fallito una prima volta, il nemico è riuscito nel suo intento di assassinare il compianto generale.”
Cardigan tace. Conosce abbastanza lord Raglan da sapere che niente di quanto potrebbe dire servirebbe a salvare la vita di Fëdor. Conosce abbastanza la vita da sapere che la verità è solo una delle tante menzogne che si raccontano in giro, è così che vanno le cose. Vanno così, le cose: soldati che muoiono per un ordine male interpretato, generali che non pagano per i propri errori, giustizieri che vengono giustiziati…
Cardigan se ne va senza parlare, un secco cenno di saluto, il minimo indispensabile per rispettare la differenza di grado.
Salvare Fëdor è un’impresa disperata, trovare Beria una impossibile… cosa gli resta dunque?

20 novembre 1854, una villetta poco fuori Balaklava

“Siete stato davvero gentile ad accorrere al richiamo di due donne cadute in disgrazia.” Mormora Marina Seminova porgendo la mano a Russell.
Il giornalista si inchina lievemente.
“Avete dei fedeli amici, dovreste saperlo.” Il suo tono sa di rimprovero. Beria trasale ma finge indifferenza. La duchessa domanda:
“Cosa intendete dire?”
Russell sospira, non ha bevuto abbastanza per raccontare.
“Mister William, vi prego. C’è qualcosa che dovremmo sapere?” Interviene Beria, con la sua voce di miele.
Russell sospira, non ha bevuto abbastanza ma racconterà.
“La notte in cui siete fuggita dal comando inglese nel campo c’era un’insolita confusione. Era causata da un’azione che aveva come scopo quello di liberarvi. L’intervento di miss Beria ha mescolato le carte e i vostri amici hanno perso le vostre tracce.”
Marina annuisce, ha capito. Tutto o quasi. Beria chiede ancora:
“E chi… Mister William, chi?” È un nome, che vorrebbe sentir pronunciare, uno solo fra i tanti che conosce. È un uomo a cui vorrebbe dover gratitudine, un uomo solo fra i tanti che l’hanno avuta.
“Non lo immaginate?”
La duchessa previene Beria:
“Fra tre giorni lasceremo Balaklava. Dobbiamo obbedire all’ordine di lord Raglan e imbarcarci per Odessa, rimanendo qui in incognito fino al momento della partenza. Vorremmo salutare i nostri amici, quelli a cui vi riferite.”
“Anche loro saranno felici di rivedervi e di sapere che siete sane e salve.”
“Allora li porterete qui?”
Russell annuisce e si accomiata.
“Non rimpiangerete a lungo questa insanguinata penisola, madame, ne sono certo.”
Fuori, il giornalista assapora con piacere l’aria fresca della notte.

23 novembre 1854, verso e poi al Comando britannico di Simferopoli

Cardigan porge la mano a una donna velata aiutandola a scendere dalla carrozza.
“Venite, Duchessa.”
Marina si appoggia al suo braccio e cammina in silenzio al suo fianco. La notizia che l’inglese le ha portato l’ha sconvolta più di quanto accetti di ammettere anche con se stessa: il sacrificio di Fëdor, che ha liberato lei e tutti dal pericoloso e spietato Halifax, è qualcosa a cui non è preparata. I suoi sentimenti per lui sono sempre stati ambivalenti, amore e odio, disprezzo e ammirazione, desiderio e fastidio: mai definiti, mai ben riconoscibili. Un’altalena che ha sempre avuto un aspetto eccitante, divertente. Fino a quel momento. La morte cambia tutto, spazza via il superfluo e quello che resta è un sordo rimpianto che, Marina ne è sicura, non si cancellerà mai.
Cardigan ha ottenuto da lord Raglan il permesso di accompagnare la duchessa in un’ultima visita a Fëdor Michajlovic, ma il giorno successivo, nel quale è fissata l’esecuzione, lei dovrà partire per Odessa, non le è stato concesso di rimandare.
I soldati di guardia si scostano per lasciar passare la coppia, il frusciare degli abiti di Marina si mescola con il tintinnare delle chiavi.
Quando lei varca la soglia della cella di Fëdor, Cardigan si dilegua discretamente, scortato dal secondino.
I due rimangono immobili e in silenzio per alcuni secondi, poi si avvicinano e si stringono le mani:
“Sono felice che tu sia salva e libera.”
Marina, per una volta, non trova le parole, forse perché non è una risposta ironica che cerca o forse perché sono troppe quelle che non gli ha detto e che vorrebbe dirgli.
“Ti ha fatto del male?” Chiede Fëdor.
“Non ne ha avuto il tempo.” Nel pronunciare la frase ha un fremito: neppure lui, Fëdor, ha più tempo, gli resta un solo giorno.
“Mister Russell ci ha raccontato della vostra azione, siete stati audaci al limite dell’incoscienza.”
“Quanto occorreva per non essere prevedibili. Ma non parliamo di questo, adesso.”
Si guardano, le loro bocche si sfiorano, Marina poggia le mani sulle spalle di Fëdor e lui la stringe fra le braccia: il bacio diviene appassionato, per un breve istante il passato si trasforma nel presente e il presente è un futuro lontano.
È Marina a staccarsi per prima: “Non posso pensare a domani…”
Lui sorride e dice con tono leggero appena velato di amarezza:
“In fondo sono fortunato: la gente ha paura di morire, soprattutto perché non sa quando morirà. Io invece lo so. E ora che sei qui, niente e nessuno può più farmi del male.”
“Sei un pazzo.”
“Lo hai sempre saputo.”
Un leggero colpo di tosse proviene dal corridoio: Cardigan si avvicina alla cella.
“Duchessa, dobbiamo andare, mi spiace.”
Lei fa cenno di aspettare, un altro poco. Fëdor le carezza una guancia.
“Ti avrò al mio fianco. Per sempre.”
Marina è una donna che non piange, è un lusso che non si è mai concessa, e non fa eccezione nemmeno questa volta, segue l’inglese senza voltarsi indietro.

24 novembre 1854, una villetta poco fuori Balaklava

Cardigan non si stanca di guardare Beria e di carezzarle i capelli, e pensa a come sono stati terribili i giorni in cui non sapeva più niente di lei. In realtà di lei sa solo quello che vede e cioè che è bella e giovane e che la desidera come mai gli è capitato con un’altra. Pensa anche che se lei andrà a Odessa con Marina, lui, forse, non la rivedrà. E questo è un pensiero intollerabile.
C’è qualcosa che potrebbe impedire la sua partenza, qualcosa che nessuno si aspetta da lui e che forse darebbe luogo a uno scandalo, per quanto ci si possa curare degli scandali in quella terra massacrata dai combattimenti. C’è qualcosa:
“Beria.”
“Sì.” Mormora lei.
“Sposiamoci. Non riuscirei a stare di nuovo lontano da te.” Con un gesto rapido e delicato insieme prende dalla tasca l’anello di rubini e glielo infila al dito, carezzandole il dorso della mano.
Beria ritira la mano, guarda lui, poi l’anello e si domanda per quale curioso destino adesso il gioiello sia tornato a lei.
Pensa che altri le hanno proposto il matrimonio, ma era nell’estasi di un amplesso o si trattava di ragazzi, come il soldatino qualche notte prima.
“Avevi detto di amarmi, un giorno.” Dice ancora l’inglese.
“Tu non mi conosci.”
“Conosco di te quello che mi basta. Sposiamoci.”
“Ma il mio passato…”
“Non voglio saperlo. Voglio solo te. Solo con te riesco a sfuggire per qualche minuto al ricordo di quella valle maledetta… solo con te riesco a credere che la mia vita non sia ancora finita.”
Beria sospira, tira su le gambe e le abbraccia. Se solo potesse cancellare certe cose allora, forse, direbbe di sì. Perché c’è sempre il momento in cui anche l’uomo più innamorato scopre di non poter accettare che la sua amata sia stata di altri, e lei non tollera l’idea che Cardigan prima o poi le rinfacci le relazioni che ha avuto, per diletto o per dovere.
L’ombra di un sorriso le illumina il volto: nonostante tutto è bello cullarsi per un attimo in quell’illusione. Lei, proprio lei, diventare lady Cardigan, vivere a Londra, dimenticare tutto il resto…
Entra Marina, elegante negli abiti da viaggio.
“Beria, cara, sei pronta? Dobbiamo andare al molo.”
“Duchessa, Beria non verrà con voi.”
Le due donne si voltano verso Cardigan.
“Conoscete gli ordini del generale Raglan. Non può rimanere qui.” Ribatte Marina, che ha intuito cosa intende l’inglese, ma vuole sentirglielo dire.
“Come mia moglie sì.”
Sentimenti contrastanti si agitano nell’animo della duchessa. È contenta per Beria, ma nello stesso tempo l’idea di tornare in Russia senza di lei le pare un’assurdità. Improvvisamente Marina si sente schiacciare dal peso della solitudine. Fëdor sta per morire, Beria si sposa: a lei cosa resta?
Lo smarrimento dura un attimo, soffocando un sospiro mormora rivolta a Beria:
“Giura che sarai felice.”
Poi ammonisce Cardigan: “Se mia figlia soffrirà per causa vostra saprò farvela pagare.”
“Non potrei mai farti del male.” Dice piano Cardigan, dopo che Marina è uscita. Beria tace, ha un nodo in gola e le lacrime agli occhi, in pochi istanti la sua vita è così mutata.

24 novembre 1854, porto di Balaklava, battello per Odessa

Delusa per l’assenza di Russell, Marina percorre la passerella di legno e sale sul battello. Due soldati la seguono con i bagagli e il comandante l’accoglie con un inchino impeccabile. Potrebbe essere un viaggio piacevole, dopo tutto, se non fosse sola.
In piedi vicino al parapetto guarda senza vederla la folla affaccendata del porto, i suoi pensieri sono altrove, in altri luoghi e altri tempi. Davanti ai suoi occhi le scene si susseguono come se contemplasse dei quadri appesi in una galleria: un gruppo di intellettuali intorno a un tavolo, lei che cammina con Fëdor parlando di poesia, il matrimonio con Seminov, Ferenc che suona, le riunioni della Confraternita, le partite a biritch, il figlio nato morto e il terribile incendio che le regala la piccola Beria… sospira, Marina. Una porta si chiude ma un’altra si aprirà, forse a Odessa o forse a Mosca, o a San Pietroburgo, ancora non ha deciso dove andare, negli ultimi giorni troppe cose sono successe e troppo in fretta, ma una donna come lei sa sempre ricominciare, per quanto difficile sia…
Un rumore raggiunge la sua coscienza: passi veloci sul pontile, voci concitate.
“Presto, sta per salpare.”
Un uomo avvolto in un mantello sale sul mercantile, un altro resta sul molo. Marina guarda l’alta figura e non crede ai suoi occhi; mentre l’imbarcazione si allontana dondolando dalla banchina, si volta verso l’uomo sul molo e gli fa un cenno di saluto con la mano: ha intuito di dovere a lui questo regalo.
Pochi istanti dopo l’irlandese torna verso la città, il foglio su cui ha scritto l’articolo da inviare al suo giornale è ripiegato nella tasca. Non prova alcun rimorso nel sapere che in Inghilterra leggeranno una bugia, o meglio, una verità addomesticata, come ha detto a lord Raglan. È stato facile convincerlo, a lui occorreva un’esecuzione e un cadavere, e ha avuto entrambi: fucili caricati a salve, Fëdor che cade giù e il suo corpo vivo che viene sostituito da quello di un soldato morto in battaglia. Fëdor che parte per Odessa sotto falso nome e un articolo che domani annuncerà  la sua morte, Giustiziato l’assassino del compianto lord Halifax. Compianto da chi, questo non è dato saperlo.
William Russell pensa che fra pochi giorni prenderà un periodo di riposo, andrà a Costantinopoli, lontano dalla guerra, dal sangue, dagli intrighi, dalla morte. Prende dalla tasca la fiaschetta d’argento e la porta alle labbra; beve e crolla il capo, sa che non esiste alcun luogo abbastanza lontano dalla morte e dalla guerra, non dopo che uno ne è stato testimone. Le storie private in qualche modo vanno a posto, addii o matrimoni le concludono, ma la storia degli uomini, quella che i posteri sono soliti indicare con la “S”maiuscola, continuerà ad arrotolarsi su se stessa, infido serpente, spirale senza fine, folle corsa verso un domani che sarà uguale a un qualche ieri.

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