Epilogo Criminale

Tempo fa le Officine Wort ci hanno chiesto di partecipare al romanzo totale “Chi ha ucciso Lucarelli” con un epilogo “fuori concorso”. Quell’esperimento è poi diventato un libro pubblicato dall’indomita Bacchilega di Imola. La tentazione di innescare un Nastro di Möbius e di darsi al pastiche letterario fu grande, come la confusione sopra e sotto il cielo…

La pioggia a un funerale è sempre melodrammatica. Se ne sta in disparte, lontano da occhi che nonostante il tempo potrebbero riconoscerlo. Canton l’ha stupito. Farsi seppellire al cimitero degli stranieri, degli atei… un colpo di teatro davvero di gran classe per un uomo che sembrava tutto tranne che creativo. L’ictus che l’ha stroncato si è ridotto a una semplice nota informativa. Un foglietto volante tra il vortice di carta che scompiglia forsennato la sua scrivania ogni giorno. Niente e-mail, niente sms, niente tecnologia. Solo carta, un enorme archivio di carta. Decenni per esaminarlo e poche ore per distruggerlo, in caso.
Se ne va prima che la cerimonia sia finita. Le scarpe scricchiolano dispari sul ghiaino bagnato. La zoppia si è accentuata negli ultimi tempi. Le dita che stringono il manico dell’ombrello sono segnate dall’artrite, non sente più indice e medio.
In strada lo attende la berlina grigia. Si osserva riflesso nel finestrino. Un vecchio, ormai. È ora di cedere il passo. Deve solo terminare di valutare i candidati possibili. Tastare il terreno. Nessuno di loro sembra persona pronta ad accettare l’incarico. Come lo è stato lui a suo tempo, quando il Vecchio gli ha passato il testimone. Le labbra dovrebbero incresparsi in un sorriso. Non lo fanno. Non c’è nulla da sorridere. Canton gli mancherà. L’ha seguito nella sua carriera, l’ha seguito come una nota a margine, un post-it. Una carriera insignificante sulla scacchiera del gioco importante. Un diversivo, una debolezza. Ma anche un modo per mantenersi ancorato alla realtà. Si fa presto a scivolare nel limbo grigiastro che si cela dietro le quinte. Il complotto complotta contro di te. Sempre.
Roma scorre fredda oltre il vetro fumè. L’autista è vestito a lutto, anche se non ha messo piede nel cimitero. Scialoja si massaggia la coscia. Il dolore si acuisce quando il tempo volge al peggio. Si concede ancora un minuto di malinconia in ricordo dell’amico poi consulta l’agenda. L’ordine del giorno. Tra i vari appunti c’è la questione della morte dello scrittore di gialli da risolvere. Un altro tassello del quadro generale.
L’ascensore che lo porta nel suo studio cigola e geme. Impermeabile e ombrello gocciolano sul pavimento di linoleum. Non ci sono specchi. Come non ce ne sono all’interno dell’appartamento anonimo in cui trascorre ormai tutto il tempo, scandito da un’insonnia feroce. L’arredamento è identico a quello che ha lasciato il suo predecessore. Anche il telefono, grigio antracite, è rimasto lo stesso. Non funziona più ma è ancora lì, al fianco di un apparecchio più moderno. Attacca il trench all’appendiabiti, si siede. Un sospiro, un massaggio blando alle tempie, poi chiama.
“Hanno fatto progressi?”
La voce dall’altro capo è squillante, un accento bolognese appena accennato. “Hanno chiuso il caso.”
Scialoja, riprova a increspare le labbra. Non succede nulla. “Bene. Fategli avere le prove.”
“Ma così…”
“Il suo lavoro non è discutere.”
“Eseguirò.”
“Mi tenga aggiornato sugli sviluppi. Voglio sapere come reagiranno e cosa faranno. Poi si consideri sospeso dal servizio.”
“…”
“Non chieda spiegazioni. Faccia come le è stato detto.” Riaggancia. Quell’ultima frase non l’avrebbe mai pronunciata prima, avrebbe semplicemente tolto l’operatività all’uomo di Bologna, senza dire nulla. È il segnale che è giunto il momento di ritirarsi. Un paio di faccende da sistemare e poi basta. C’è bisogno di qualcuno più giovane, brillante e pronto. Già ma pronto a cosa? Per cosa ha lavorato negli ultimi trent’anni? Per chi? Per lo stato? Lo stato… Lo stato non esiste. Ha smesso di crederci molto tempo fa. Eppure per fare quello che fa, che ha fatto, ci vuole convinzione. No, di più: ci vuole fede. E la fede non si può spiegare. La sua fede è una fede nell’equilibrio. L’Italia è un paese in bilico. Un equilibrista sull’abisso della storia e come ogni bravo equilibrista fa credere al pubblico di non essere in pericolo. Per poterlo fare ha bisogno di persone come lui. Persone in grado di tendere la corda e mantenerla tesa senza esitazioni e in ogni circostanza. L’equilibrio non è una questione ideologica o politica. L’equilibrio sfiora la metafisica. Eppure con la metafisica non si regge nessuna corda. L’azione è l’unica via. L’antizen è la soluzione.
Lucarelli. Un ingranaggio del sistema, un ingranaggio che ruota al contrario. Come molti altri. Osservando la macchina da un’altra prospettiva però ci si accorge che per funzionare a dovere deve avere rotelle che si muovono in entrambe le direzioni.
Fornire le prove del fatto che tutta l’indagine sia andata fuori pista e che le conclusioni siano del tutto sbagliate è contribuire all’equilibrio, è far ondeggiare il cavo. Non per far cadere l’equilibrista ma per evitare che cada dall’altra parte. Lasciare il pubblico senza fiato per un istante solo per farlo sospirare di sollievo un attimo dopo. Fa tutto parte dello spettacolo, della macchina.
Prende dal cassetto le foto degli sbirri al lavoro sul caso Lucarelli. Le sfoglia e le mescola come fossero figurine. Uno di loro è il candidato inconsapevole alla sua sostituzione. Nessuno lo riterrebbe adatto, ma non lui. Sa che non accetterà mai, come il Vecchio sapeva che lui non avrebbe accettato il compito. Eppure da decenni è lì, chiuso in quell’ufficio polveroso, inchiodato alla scrivania, celato allo sguardo del mondo a lottare con la forza di gravità che trascina l’equilibrista verso il baratro.

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